Quando volevo fare il giornalista

 

Diciamo che per circa dieci anni, gli ultimi dieci a dire il vero, ho sognato di fare il giornalista come lavoro, l’ho desiderato però con una convinzione maggiore rispetto a quella con cui sognavo di fidanzarmi con Sophie Howard (già vi vedo che ora aprite un’altra scheda per mettere su “Google immagini” questo nome, voi, gente non anglofila), poiché mi sembrava un’idea un pochino più facile da realizzare.

Credevo che diventare un giornalista fosse qualcosa bene o male fattibile. Aspiravo a questo mestiere quando andavo al liceo, ho scelto l’università con un obiettivo preciso e ho iniziato a fare qualcosa per inserirmi in questo mondo negli ultimi anni.

Arriva però un giorno in cui capisci che in fondo quello non sarà mai il tuo lavoro e non magari perché tu non sei all’altezza ma prevalentemente perché non ti viene permesso, perché non hai chance e nemmeno speranze.

Ricordo che anni fa lessi una frase che mi è sempre rimasta in mente: “Diventiamo adulti, il giorno in cui capiamo che i nostri vecchi sogni non si possono realizzare”, penso proprio di essere a quel punto, magari sto semplicemente diventando grande.

Certe idee non si maturano in giorni, ovvio, ci vuole più tempo ma dopo un po’ capisci che i margini non ci sono, che le cose non dipendono da te, tu non puoi fare tanto di più: sei in balia di altri.

Non credo di poter essere compreso, non ho tanti amici che ambivano a fare un certo mestiere (sempre lo stesso) e poi hanno dovuto rinunciarci ad una certa età.

Non mi sono mai immaginato diversamente nell’ultimo decennio e forse ho commesso un grave errore, non ho conoscenze e capacità per poter fare tante altre cose, i miei studi rimangono molto poco spendibili sul mercato, soprattutto oggi.

Farò altro nella vita, cosa di preciso non lo so, presumo che sarà qualcosa di frustrante semplicemente perché dubito del fatto che mi possa piacere o stimolare come quel mestiere che per un po’ ho potuto anche assaporare da vicino lo scorso anno.

Ecco, lo scorso anno, in dieci mesi è come se mi avessero spianato con una ruspa, togliendomi un pezzo alla volta una serie di punti di riferimento, qualche speranza, la fantasia e il piacere di pensare che certe cose siano fattibili.

Mi pare tutto davvero improbabile, soprattutto quando hai bussato con la tua mano a tutte le redazioni e la risposta nemmeno l’hai ricevuta, dato che sei considerato meno di nulla. Diventa impossibile crederci quando nella lettera di motivazione scrivi e specifichi che tu sei disponibile a lavorare a ZERO, per imparare, per capire e migliorare, consapevole che la gavetta è necessaria.

Tenere duro e crederci sono frasi fatte, quelle che non digerisco perché le reputo vuote e cristallizzate, il mio realismo mi obbliga a guardare le cose nella loro essenza e a rendermi conto della situazione senza troppe chiacchiere.

Se non ci sono spiragli nemmeno così che vuoi pensare? Andrò a fare il magazziniere da qualche parte, il commesso, l’operaio, o che cazzo ne so, il call-center però no, mi rifiuto con tutto me stesso pur avendo il massimo rispetto di chi ci lavora.

Volevo fare il giornalista, una volta, fino a poco tempo fa, lentamente ho capito però che fidanzarmi con Sophie Howard è più facile, o almeno ho più possibilità.

Stasera la contatto su Twitter.

 

 

“Va all’università, ha il lavoretto, c’ha la ragazza che forse lo considera un cretino ma in fondo a lui va bene così, per lui, lei, è una top player. Convivono, si fanno la vacanzetta, ma fra un po’ dovranno aumentare la dose e faranno un figlio. Lui si che ha capito tutto, altro che…mica è ‘n cojone come me…”

 

(Questo me sa che lo riconosci Gabriè)

Quando volevo fare il giornalistaultima modifica: 2013-08-03T15:45:15+02:00da matteociofi
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