Definire la felicità

 

Alcune settimane fa, mentre andavo a Viterbo da mio padre su RDS parlavano di felicità, o meglio, di come si possa definire una cosa tanto grande, astratta e importante nella vita di ciascuno di noi. Percorrendo il lungo pezzo di statale prima di entrare finalmente in città, ho potuto ascoltare le opinioni di alcuni radioascoltatori e i loro giudizi, riflessioni che mi hanno in parte soddisfatto, mentre altre non mi hanno per niente convinto. Io onestamente non saprei dire tantissimo sulla felicità. Il punto è uno: il benessere è felicità? Cioè, stare bene significa essere felici? E soprattutto da cosa si riconosce la felicità?. Non lo so, ho delle idee a tal proposito e provo a riordinarle.

Sono certo di essere stato molto felice in alcuni momenti della mia vita, in particolare negli ultimi anni, diciamo dal 2006 in poi. Sono stato quasi sempre bene e poi ho avuto dei picchi straordinari, ma allo stesso tempo ricordo come se fosse ieri una calda mattina di agosto del 2009 quando mentre stavo per andare a prendere la macchina sotto casa mi chiesi: “Ma io sarò ancora felice in vita mia?”. A questa domanda esistenziale, che scaturiva da un periodo piuttosto cupo, non trovai risposte, anzi la sensazione da cui fui pervaso era quella molto vicina ad un NO. La vita mi stupì a più riprese e a quell’interrogativo dopo un po’ di tempo risposi con un Sì, un sì a caratteri cubitali. Ultimamente mi è ricapitato di farmi quel genere di domanda e la risposta è stata sempre NO, una negazione molto decisa oltretutto.

Spesso mi capita di osservare gli altri, di sentire ciò che dicono e penso che molti di loro in fondo fingano bene, o meglio, la loro superficialità ha dipinto loro un bel mondo, ma nell’animo non sono certo che siano felici. Giorni fa sono rientrato mezz’ora sul mio profilo di Facebook e guardando quasi tutte le bacheche dei pochi amici che ho sul social network, ho percepito una grande gioia. Sembravano tutti contenti e non lo dico perché ora “il giardino del mio vicino è sempre più verde”, no, per me non è così, lo dico perché ho percepito questo alone di contentezza, che a mio avviso è anche molto strumentale, di apparenza, per far vedere agli altri che stiamo bene. Mostrare la propria felicità obbligatoriamente, vera o finta che sia, mi sembra una cosa al giorno d’oggi molto trendy, alla fine per me è sempre meglio mostrare ciò che si è, senza maschere, è la strada più conveniente. Credo che per essere felici uno si debba saper guardare dentro e capirsi, non deve essere piatto e tanto meno superficiale, non deve avere paura di ascoltarsi, dei propri sentimenti e di ciò che sente.

La persona felice inevitabilmente deve essere stata triste, altrimenti non potrà mai riconoscere certe cose.

 

 

Di seguito, riprendendo il gioco di RDS, metto le mie personalissime definizioni di felicità.

 

1)      Felicità significa non voler essere mai altrove.

2)      La persona felice non ha mai bisogno di qualcosa altro o di qualcun altro rispetto  a ciò che già ha.

3)      La felicità sono undici maglie nerazzurre che corrono dietro ad un pallone.

4)      La vera felicità è non aver bisogno di felicità (Seneca).

 

 

 

 

“Rabbia stupore la parte l’attore

dottore che sintomi ha la felicità”

 

Mi fido di te – Jovanotti