Le mirabolanti avventure estive di un Azzurro e una Rossocrociata (Parte 4)

 

Il primo teorema sui brividi afferma che “Un brivido è un brivido”. Frase tautologica, ripetuta tante volte ma che riassume nella sua banalità un mondo di verità. Il secondo postulato sostiene che “Un brivido tira un altro brivido”. Quest’ultimo concetto fu ripreso dalla Rossocrociata che lanciò un ulteriore dose di benzina su un incendio di fomento che divampava già da giorni. Fu lei infatti a posticipare di un giorno la partenza, non più giovedì bensì venerdì dopo pranzo, un prolungamento accolto con entusiasmo e soddisfazione dall’Azzurro.

Il mercoledì fu la volta della chiesa dei cappuccini in Via Veneto, quella con la cripta trasformata in una specie di ossario, uno scenario macabro ma carico di fascino, una cosa che oltre tutto il giovane italiano non aveva mai visto. Davanti ad un panino enorme l’Azzurro provò ad imbastire una sorta di offerta-proposta matrimoniale per ottenere i vantaggi di un secondo passaporto dal valore notevole ma l’elvetica non fu così accondiscendente, soprattutto perché non era troppo entusiasta di uno scambio alla pari: il passaporto italiano non lo desiderava. Le Domus a Palazzo Valentini, il ritorno a casa ed il giro a San Lorenzo con passaggio davanti al Verano, prima del celebre tiramisù di Pompi furono i titoli di coda di un’altra puntata. Un’altra giornata finiva in archivio con giovedì che iniziava a farsi largo e che avrebbe portato i due a Cinecittà per un tour coinvolgente in particolare per quel che riguardava i set cinematografici della Roma Imperiale, del Borgo medievale e di Un Medico in Famiglia che scatenò una ingiustificabile ondata di fomento nel volto dell’Italico.

Trascinati da un flusso emotivo non arginabile la serata terminò a Campo de Fiori, tra discorsi sul futuro e interpretazioni varie di tutto ciò che era accaduto. Era l’ultima nottata insieme prima della partenza ma ci fu tempo anche per altri momenti da ricordare, così come lo spaesamento del giovanotto italiano per tornare alla macchina.

Impossibile arrestare le lancette, impraticabile procrastinare ancora la partenza, il tempo inchiodava per la prima volta i due avventurieri che si diressero verso la stazione Termini alle 13.00.

Al binario 6, numero tanto caro all’Azzurro, si consumò l’arrivederci approfittando della pazienza del capo treno che aveva già il fischietto in bocca. Nessun imbarazzo ma quel senso di tristezza classico di quando una grande avventura volge alla fine, quando per una volta il fomento viene superato dalle scadenze e dai doveri. Trentasei ore dopo lei infatti sarebbe ripartita per Dublino, dove si erano incontrati casualmente e mai salutati. Travolti da undici giorni inattesi, avvolti da un alone perpetuo di carica si salutavano con quei puntini di sospensione che sono la coda immancabile in situazioni del genere, punti che rimandano ovviamente a quello che accadrà in seguito, puntini di sospensione che ti auguri di trasformare in punti esclamativi. Prima o dopo.

 

« Sì, perché il ciclone, quando arriva, non è che t’avverte. Passa, piglia e porta via. E a te, ‘un ti rimane altro che restare lì, bòno bòno a capire che, forse, se ‘un fosse passato, sarebbe stato parecchio, ma parecchio peggio »

 

(Leonardo Pieraccioni – Il Ciclone).

 

 

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FINE