“Ecco Variale, ariva Eto’o e je famo male…”

Ci mancava una pagina intercontinentale, nel senso proprio che dopo tanti giri nazionali ed europei, era quasi doveroso completare questo ulteriore step e trascorrere tempo insieme in un altro posto, magari dall’altra parte dell’Atlantico.

A me e a David mancava questo passaggio e ora nel nostro libro dei ricordi è presente anche questa ultima pagina che sicuramente sfoglieremo molto spesso in futuro.

Sono stati 15 giorni che non si possono paragonare alle esperienze precedenti, anche solo per il troppo tempo condiviso quotidianamente che mette Toronto 2016 su un piano unico rispetto a Atene, Madrid, Stoccolma o Sofia.

Ieri sera, mentre sistemavamo il tavolo per creare un piccolo campo da gioco dentro casa, anche l’ultima idea-cazzata si materializzava fra la soddisfazione generale. Due settimane in cui il tempo ha remato contro, le condizioni fisiche non sono mai state perfette, eppure abbiamo sempre trovato lo spunto per rendere i momenti comunque ricchi: di risate, di battute, di tormentoni, insomma di qualcosa, come se fosse un crimine sprecare qualche minuto senza lasciare il segno.

La prova generale di convivenza è stata superata a pieni voti. Quindici giorni in due in uno spazio cosi piccolo non è proprio una passeggiata, eppure non c’è mai stato un problema, con un Catto padrone della cucina, soprattutto in versione lavapiatti.

Se dovessi condividere casa, come ho sempre pensato d’altra parte, fra le persone che conosco, il ragazzo di Fiuggi potrebbe essere l’unico valido room-mate.

Come al solito siamo stati accompagnati dai nostri storici tormentoni mentre altri personaggi ci hanno fatto compagnia arricchendo il nostro tempo. Il presidente Ferrero su tutti, oltre alla coppia Caressa – Bergomi, Vittorio Sgarbi, Edoardo, Biscardi, “I Ritals”, Antonio e La Bionda, Joseph l’ungherese, senza dimenticare Alfredo e Fabi, ancora una volta la persona più citata seguendo una nostra follia: quella del Duomo che ci segue 24 ore al giorno tipo Grande Fratello chiamando la povera malcapitata per mostrarle le nostre gesta.

In due settimane ci siamo finiti una bottiglia da un litro di Campari, regalo del Catto, e mangiati non so quante patatine. L’aperitivo delle 19 è diventato presto un momento fisso della giornata, il prologo alla sagra delle frescacce serali.

Quindici giorni in cui c’è stato spazio praticamente per tutto: derby, NBA, hamburger, Crocodile, birre, acqua tonica, padellate di verdure cotta per David, il referendum, le canzoni italiane, lunghe camminate, racconti, riflessioni serie e sconcezze di rara volgarità, oltre alla magnifica serata a Woodbridge con il già leggendario Franco.

Finisce in archivio quest’altra bella storia, onestamente credo sia stato il modo migliore per chiudere un 2016 lungo, intenso, portatore di insegnamenti e di qualche bel momento soprattutto nella seconda parte.

Quando ci siamo salutati stasera eravamo sicuri di aver fatto tutto quello che potevamo e volevamo. Soddisfatti, senza rimpianti e forse senza quel pizzico di malinconia che sempre ci coglie alla fine di un qualcosa. Forse perché fra 22 giorni ci ritroveremo intorno ad un altro tavolo, senza Campari ma con una pizza ed un supplì, quelle cose che solo l’Italia, sì, la nostra Italia, ti può regalare.

Viva il Catto, sempre. Traaa!

Ultimi aggiornamenti

Ma che poi, come direbbe il buon Giancarlo, un post lunedì lo avevo anche scritto e a dire il vero era venuto anche bene, poi però l’ho salvato male ed è andato perso. Parlavo delle prime sensazioni con il Catto a casa, quello stesso Catto che però per aver sottovalutato il peso del fuso orario era stato di conseguenza rimandato all’esame pratico di Patente da viaggiatore intercontinentale fascia A. Promossa invece la bottiglia del Campari che il velocipede del Basso Lazio ha potato e che ieri abbiamo visto essere quasi terminata. In tutto questo, veniamo da una settimana fresca e poi fredda, con nevischio e temperatura al limite dello zero e un cielo molto dublinese di cui avremmo fatto a meno volentieri.

Un altro weekend è intanto arrivato e abbiamo deciso di non spingerci oltre i confini cittadini e ancora meno oltre quelli canadesi. Il tempo dovrebbe migliorare, ma le nostre condizioni di salute non sono le migliori, credo più le mie che quelle del signor Catto.

Io ho uno di quei raffreddori che mi hanno reso celebre al mondo, esploso potente fra domenica sera e lunedì. Lui invece paga a mio avviso un clima infame e delle temperature che soprattutto quando si palesano all’inizio per la prima volta fanno male un po’ a tutti, e per tutti intendo noi abituati ad inverni meno rigidi.

Di questa settimana il momento di maggior fomento è stato il mercoledì a Woodbridge, ospiti ad un ristorante da un amico del padre di David: il signor Franco di Veroli divenuto rapidamente idolo indiscusso. La cena passerà alla storia così come il cibo che ci siamo ritrovati davanti: cervo per antipasto e fettuccine al fagiano a seguire.

In tutto questo, canzoni italiane accompagnate dalla chitarra del signore calabrese al tavolo e quel misto di Canada italianizzato ma con quella forma bizzarra di una Italia che per noi non esiste più.

Il viaggio di ritorno da questo posto sperduto a nord di Toronto è diventata la classica situazione semi estrema che ci ha spinti al limite del fomento. Fra la neve, il tassinaro pakistano che capiva ma cercava il colpaccio, l’autobus aspettato per 20 minuti (e potevano essere molti di più) che ci ha portati alla metro, le canzoni italiane tirate fuori random e cantate in bello stile, due metro, un tram, la tisana a casa quando era mezzanotte passata, insomma, al netto di tutto questo e degli acciacchi fra anni ne parleremo ancora di questa serata.

Ci aspettano ancora momenti di fomento, indubbiamente, i nuovi tormentoni sono venuti fuori spontaneamente come al solito e ci stanno trascinando, c’è ancora il Crocodile, la partita di basket per cui abbiamo comprato i biglietti giovedì sera, la distilleria, un lungo weekend da vivere con più sole e il mio lunedì off.

Insomma, avanti così, ci riposeremo in un altro momento, anche perché si dorme sempre meno e il trasloco dell’ufficio prosegue serrato e sta creando notevoli e preventivabili problemi.

The final Catt-down

Il Catt-down è iniziato da martedì, da quando siamo entrati nella settimana finale di attesa prima dello sbarco del nostro Eroe Sacro qui in Canada. Più passano i giorni e più una sorta di entusiasmo cresce, dico una sorta perché è un misto di qualcosa di non noto che però scalda.

Probabilmente è solo il piacere di vedere qualcuno che appartiene alla mia vita, a quella reale e storica intendo, ma so che c’è dell’altro. Ho la sensazione di avvicinarmi ad una specie di vacanza emotiva, gioiosa e divertente, due settimane che per me in particolar modo saranno tutt’altro che rilassanti perché non ci sarà un momento di pausa e le di ore di sonno caleranno ulteriormente. Ma va bene così. Anzi, deve essere così.

Due settimane “A tutto Catto”, che significa a tutto gas sotto il punto delle cazzate. Un’onda anomala di rare dimensioni sta per travolgerci e io ne sono ben consapevole, spero che valga lo stesso per il giovanotto di Fiuggi.

Non c’è nulla di analogo nella nostra storia ormai ultradecennale, qualcosa di simile sono i tre giorni in Svezia nel maggio del 2011, quando andai a trovarlo nella foresta di Huddinge mentre viveva la parte finale del suo Erasmus, ma qui, a Toronto, sarà tutta una altra storia. Sarà tutto XXL, come la cultura nord-americana impone: la città, i giorni a disposizione, forse anche il freddo.

Sarà un capitolo nuovo tutto da scrivere che si andrà ad aggiungere a quelli precedenti, ad aggiornare una storia composta anche di viaggi e città in cui abbiamo camminato insieme.

Spero che per il nostro amico Catto possano essere 15 giorni ad alto tasso di fomento, sarà da solo per diverse ore al giorno, allo stesso tempo però so che avrà un buon equilibrio fra indipendenza e compagnia, potrà insomma sperimentare diverse sfumature e gestire a suo piacimento i momenti durante la giornata.

Le idee per impreziosire questa avventura già ci sono ovviamente, la convivenza in un piccolo spazio presumo darà più spunti di cazzate che altro. Soltanto l’idea di spostare il tavolo per creare un corridoio tale da giocare con la pallina, o tirare almeno due rigori, regala un contorno chiaro della situazione. Estrema, e per questo stimolante.

Se il Velocipede del Basso Lazio riuscirà a tenere la barra dritta e a non farsi prendere da nessuna ventata di malinconia su quello che poteva essere e non è stato con il Canada a fare da sfondo, saremo un pezzo avanti. La riuscita di qualcosa di epico potrebbe essere davvero alla portata.

Manca poco, pochissimo, ricordo quando faceva caldo, l’estate torontiana impazzava e il Catto parlava di “scollinare” guardando i biglietti aerei sui vari portali, ora invece ci siamo sul serio, l’attesa è finita e il Gallo è pronto ad attraversare l’oceano di nuovo dopo tre anni e mezzo.

Sarà tutta un altra storia però, una storia di brividi e frescacce, perché come cantava De Gregori, “Due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai, potranno scegliere imbarchi diversi saranno sempre due marinai”.

– Vabbe ma usi sempre la solita citazione?

– Sì.

Ci siamo, pronti e determinati, con la voglia di tirare a lucido lo spirito di quegli andati e goduti a Via Columbia.

 

‘Namo Catto! Here we go…

La mia estate – I referendum su se stessi

Il 31 luglio chiude il mese ma soprattutto manda in archivio l’intensa settimana della GMG, la più lunga e difficile a livello lavorativo del 2016 con tanto di sabato annesso. Sei giorni su sette a raccontare in onda tutta quello che stava succedendo in Polonia con le sei ore di fuso-orario a non facilitare il lavoro. Eppure, mentre l’ultimo notiziario è stato impacchettato e tecnicamente delivered, vengo contattato dalla “Ragazza di Richemont” che mi comunica di essere in città nel pomeriggio. Il messaggio non nasconde l’intenzione di incontrarci e così le prometto che le farò sapere come andranno le cose durante le ore successive. Tutto fortunatamente fila liscio e quindi esco da casa e ci mettiamo d’accordo su dove vederci, io, lei e la Goddaughter che è arrivata da una settimana. Mentre mi preparo per uscire però, ricevo una risposta da “Sonja Ibrahimovic”. Le avevo scritto infatti in mattinata cercando di indirizzare una precedente conversazione in una direzione più consistente.

Sono pronto per andare e vedo la notifica del messaggio ma decido di non aprirlo. È una scelta chiara con una motivazione precisa anche se me la giustifico a modo mio: “Non voglio sape’ i risultati dagli altri campi, adesso giochiamo sta partita”. Nella stupidità della frase, brillante metafora, risiede però una verità più grande e la capacità di isolare i fatti ed evitare che situazioni parallele possano accavallarsi e occupare in modo sbagliato la mente.

La notifica rimane tale, non apro il messaggio e mi lancio verso il molo con la bici. Parcheggio e poi mi dirigo verso il bar. Passiamo un’ora piacevole, con la Goddaughter perennemente in silenzio, forse imbarazzata, io intanto mi bevo la mia Sangria e poi ci incamminiamo verso la stazione. Il treno le attende, ma mentre attraversiamo la strada, guardo la ragazza da Richemont da dietro e penso: “Va bene tutto, ma certo che l’asticella l’ho tirata giù abbastanza, forse troppo. Io, quello che ama la bellezza e il gusto estetico…” Mi dico questo, mi viene non so perché in mente mio padre, che mi guarda forse con sguardo ammonitorio e ci salutiamo.

Ho la sensazione che possa essere anche l’ultima volta che ci incrociamo, ma non la totale certezza. Torno a casa e so che devo leggere il messaggio di “Sonia Ibrahimovic”, un po’ come guardare il Televideo a pagina 202 per leggere i risultati delle altre partite. Non mi aspetto granché ed infatti la risposta non regala grandi sorprese, anzi lei è molto brava a sviare la questione, in fondo c’è un no elegante e la cosa mi tocca davvero pochissimo. Mi sfiora appena, come successo pochi giorni prima per la “Dama Nera”. Di fatto è un 2-0 senza troppi giri di parole ed è una delle cose migliori che mi possano accadere in quel preciso frangente.

Il concetto “Dentro-Fuori rapido” è stato applicato, le gestione del no inizia ad essere diversa, scivola in maniera leggerissima, quasi impercettibile e la nuova dimensione mi spiazza. Mi sorprende perché ha davvero un qualcosa di speciale. Un sapore praticamente sconosciuto.

Il pensiero diventa presto “Vabbe, pazienza, venerdì è un’altra partita…” ed è il principio su cui si comincia a basare il mio approccio, un qualcosa che non mi è mai appartenuto ma che inizio a praticare ottenendo inaspettatamente una serenità completamente nuova.

I referendum su se stessi, così ribattezzati dal fine psicologo di Hong Kong cominciano a trovare meno spazio. Sì perché entro finalmente nell’ordine di idee che ogni situazione non può essere più vissuta in un determinato modo, e nemmeno considerare come tutto un voto di qualcun altro su se stessi. Finisce quella idea, ma questo succede perché altri punti sono stati definitivamente fissati e tutto ciò è una semplice conseguenza.

Siamo a un punto di svolta che si mixa bene con quanto di buono pensavo già prima, la capacità di leggere e capire alcune cose con anticipo. Dal weekend successivo, da venerdì pomeriggio 6 agosto, avrò conferme importanti in tal senso non abboccando ai giochetti da ragazzina, della simpatica “Ragazza di Marsiglia”…