«Otto cose che ho imparato in Brasile»

di Alfredo Spalla

Ci siamo. È arrivato il momento di tirare qualche somma, far sapere a tante persone che sto bene e dire ciò che sento otto mesi dopo essere partito per il Brasile. Naturalmente grazie a David e Matteo, ai quali ho gentilmente chiesto questo spazio in prestito. Chi mi segue nonostante la distanza sa che, con una certa frequenza, scrivo su alcuni giornali e siti. Spesso parlo del Brasile, ma quasi mai riesco a raccontare il mio Brasile, la mia esperienza di vita. Beh, finalmente posso farlo. E in totale libertà. Per l’occasione ho scelto di fare un post che renderà felici gli amanti di Google Analytics e mi aiuterà a riassumere otto cose che ho imparato negli otto mesi lontano da Frascati. (Attenzione, post ad alto rischio di retorica!)

1. IL BRASILE NON È L’ITALIA

«Il Brasile non è l’Italia», l’affermazione, al limite del banale, è di quelle che ti farebbero esclamare: «Grazie al c….. che il Brasile non è l’Italia». Eppure, pensandoci bene, non è così scontata. Nel senso che il Brasile non è l’Italia nello stesso modo in cui il posto dove sei cresciuto non è lo stesso nel quale hai scelto di vivere. Per poter apprezzare una realtà differente, bisogna saper azzerare le proprie convinzioni, trascurare le proprie abitudini. Ho cominciato a sentire San Paolo un luogo familiare quando ho imparato a bere il caffè espresso più lungo del solito; quando ho rinunciato a cercare il Parmigiano D.O.P. e quando non mi sono più stupito davanti a una bottiglia di lambrusco venduta a 10 euro al supermercato. Per adattarsi ci vuole tempo: essere routinari non aiuta, essere italiani ancora meno. Siamo abituati bene, ma apriamo la mente con la stessa frequenza con cui Borghezio dice cose sensate.

2. LE PERSONE UMILI

Nella mia vita non mi ero mai relazionato con tanta frequenza con persone con un basso livello d’istruzione e/o con seri problemi economici. E non parlo di gente che guadagna 600 euro al mese con contratto a progetto, parlo di persone che lavorano 12 ore al giorno, guadagnano 270 euro al mese, mantengono famiglie numerose e vivono senza acqua corrente. Potersi confrontare, seppur superficialmente, con questa categoria di persone, mi ha insegnato che la forza di volontà non conosce fine. Capire, osservare, chiacchierare e non giudicare in base al portafoglio: non ci riescono nemmeno i brasiliani, che si danno del «povero» a vicenda. Riuscirci è stata una grande conquista personale.

3. A NOSSA CASA É ONDE A GENTE ESTÁ

C’è una canzone di Arnaldo Antunes, un cantautore brasiliano, che dice una cosa molto semplice e che nel tempo ho imparato a fare mia: «A nossa casa è onde a gente está, a nossa casa é em todo lugar» (https://www.youtube.com/watch?v=suJugh8-cts) . Tradotto brevemente: «La nostra casa è il posto in cui stiamo, la nostra casa è ovunque». Sarà che negli ultimi sei anni ho affrontato sei traslochi (Rocca di Papa; Campus; Via Gregoriana; Alphaville I; Alphaville II; San Paolo centro), ma sono giunto a questa semplice conclusione: ci sentiamo bene nel posto in cui viviamo l’amore. Il luogo fisico è abbastanza indifferente. In questo momento «la nostra casa», la mia e di Fabi, è a San Paolo, ma, come sapete, siamo piuttosto mobili. (sopra trovate il link del video, qui quello del testo della canzone: http://letras.mus.br/arnaldo-antunes/91579/ )

4. IL PORTOGHESE

Se c’è una cosa che ho imparato (e bene!), in otto mesi di Brasile, è il portoghese.

5. GLI ITALIANI

Nelle mie esperienze ho sempre cercato di evitare gli italiani all’estero. Chi viaggia con frequenza sa benissimo di cosa stiamo parlando. Un’altra cosa, però, è vivere all’estero. Nel bene o nel male siamo sempre una comunità, che si auto-sostenta anche all’interno di una città di 20 milioni di abitanti. Ci si aiuta a vicenda per il semplice fatto di avere la stessa cittadinanza. Non è poco, fidatevi.

6. NON FERMARSI MAI (E SAPERSI ACCETTARE)

Paradossalmente, il mio giorno più difficile in Brasile è stato il 14 luglio, la notte dopo la finale del Mondiale fra Argentina e Germania. Avevo appena concluso una grande esperienza professionale, ma ero già angosciato dal dover fare qualcosa di più. E non mi succedeva un mese dopo, ma a poche ore di distanza. Come ho detto a mia madre, penso che questa mia voglia di superarmi sia un grande dono, ma anche una condanna. In quest’aspetto penso di dover “maledire” mio padre: l’altro giorno via Skype mi raccontava, al limite dell’esausto, di sensazioni simili. Pretendere molto da se stessi non è sempre un bene, ma l’importante è sapersi accettare. 

7. UN ELENCO DI COSE PRATICHE (E MENO PRATICHE) CHE HO IMPARATO A FARE IN BRASILE

Crescere un cane; amare un cane; usare la carta di credito; girare video; montare video; parlare in radio; mangiare fagioli; usare la pentola a pressione; sopportare i centri commerciali; sopportare il caldo; convivere con il rumore; percorrere grandi distanze; usare Dropbox; rinunciare all’iPhone e passare a Samsung; sorridere alla cassa; risparmiare acqua; calcolare i fusi orari; scrivere di politica; trattare sui prezzi; mangiare meno pane; aspettare in fila; fare il churrasco il sabato; bere il succo d’arancia a pranzo; convertire rapidamente reais-euro; apprezzare il sushi.

8. A NON RISPONDERE A UNA DOMANDA IN PARTICOLARE

C’è un’ultima cosa che ho imparato a fare molto bene negli ultimi mesi, ovvero non rispondere alla domanda frequente: «Quando torni in Italia?». Ho imparato a prendere tempo, replicare con battute o mentire. La verità è che non rispondo perché non lo so nemmeno io. E perché per il momento non me lo chiedo ancora. Ma torno, state tranquilli che torno. Tchau!

La vita dopo il Mondiale

Parto da un dato: ho visto 41 partite integrali (senza quindi perdere un minuto) delle 64 disputate in questo Mondiale, se consideriamo anche qualche spezzone e il problema delle gare a mezzanotte e di quelle in contemporanea alla terza giornata, posso dire di essere estremamente soddisfatto della mia performance, un record personale difficile da poter battere in futuro.

Finita l’avventura brasiliana è tempo di bilanci, per quanto mi riguarda è stata una coppa del mondo magnifica, bella e spettacolare. Tanti gol, poca noia, grandi partite, qualche sorpresa, volti nuovi e portieri fenomenali. Ho seguito tutto, ma veramente tutto, dalle partite agli approfondimenti, interviste, discussioni, Sky mi ha dato l’opportunità di avvitarmi al divano e di entrare in un tunnel calcistico che non ricordo prima. Ho pensato che il modo migliore per riempire il nulla fosse il Mondiale, oggi sono certo di aver fatto la scelta giusta. Tante partite sono riuscito a vederle grazie al magistrale e inarrivabile commento della Gialappa’s su Rtl, solo con loro in sottofondo sarei riuscito a vedere sfide tipo Iran – Nigeria 0-0. Come dicevo, Sky ha coperto l’avvenimento in maniera quasi esagerata con una maratona in diretta costante, il fatto di averci regalato le perle di cultura del Maestro Buffa è l’aspetto che a mio avviso ha arricchito ulteriormente questo Mondiale.

Termina tutto con i tedeschi campioni, l’epilogo più giusto. Ha vinto la squadra migliore, ha trionfato l’organizzazione, la programmazione e la pazienza. Il saper pianificare paga sempre, l’improvvisazione nel calcio non porta mai a grandi risultati. I tedeschi dal 2002 a oggi sono sempre arrivati in fondo se tralasciamo Euro 2004, in tutto ciò hanno portato a casa un oro (ieri), due medaglie d’argento (2002, 2008) e due bronzi (2006, 2010). Quando arrivi al rettilineo finale costantemente, prima o poi sei destinato a vincere, la ruota gira e la coppa la porti a casa.

Senza sbalzi d’esterofilia, credo che si debba copiare da chi ha fatto meglio, da chi ha saputo ottenere dei risultati con la costanza e la preparazione. Certo, capire una strada non significa essere in grado di percorrerla, però, ogni tanto, dovremmo lasciare da parte antipatie, luoghi comuni e rivalità per prendere quanto di meglio sanno proporre gli altri.

Vince la Germania ma perde l’Argentina e non Messi come molti vogliono raccontare. Il 10 dell’albiceleste vede sfumare l’occasione di trascinare i suoi al Mondiale e in eterno (molto probabilmente) sarà condannato a vivere il paragone con Maradona e a essere messo un gradino sotto non avendo vinto questa coppa. Mi dispiace personalmente per lui, ma ripeto quanto espresso in passato: i paragoni fra squadre e giocatori di epoche diverse non si possono fare, perché è anacronistico, sbagliato e inutile. Se manca il contesto non si può paragonare nulla. Fare parallelismi validi è veramente difficile e un motivo ci sarà. Messi è un giocatore fenomenale, il migliore della sua era. Stop. L’ossessione di Maradona è quasi scontata, ma per me rimane fuori luogo.

La macchia di questa rassegna rimarrà l’Italia, a casa subito, troppo presto, senza poterci gustare nemmeno il brivido della sfida diretta. A casa dopo un avvio promettente, nelle due partite seguenti sono venuti fuori tutti i nostri numerosi problemi e tutti sono i colpevoli. Con gli Azzurri eliminati la mia missione è stata tifare contro il Brasile per mille motivi e alla fine ho riavuto indietro idealmente parte di quelle lacrime versate in prima persona una notte di 20 anni fa a Pasadena. Il Brasile più mediocre di sempre ha perso giustamente, chiudendo senza nemmeno una medaglia al collo, avessero giocato in qualunque altro paese non si sarebbero affacciati nemmeno ai quarti.

Il Mondiale rimane l’avventura sportiva più grande che c’è, è stato bello poterlo vivere così, come non mai, una full-immersion fantastica, qualche partita raccontata (quasi sempre la Germania…) dopo l’esperienza di Euro 2012 e quel senso di spaesamento stamattina, dopo 31 giorni di gol, parole e pronostici.

Non sarà facile “riadattarsi” subito, soprattutto quando ti attende un campionato opaco, triste e tutt’altro che emozionante. Il Mondiale brasiliano è stato un spot per questo sport, una festa infinita e la gioia di correre dietro al pallone, perché come ha detto Adani giorni fa il bello del calcio è che appartiene a tutti. Sì, è vero, il calcio è di tutti e accomuna tutti.

Ci vediamo a Mosca.