Un 3 aprile già visto

Nelle strane coincidenze, o ambigue ricorrenze, che solo io posso ricordare, oggi, in occasione di questo Inter-Sampdoria settimanale, mi è tornato in mente quello di 4 anni fa esatti, anche se in quel caso fu un Samp-Inter a Marassi, ma pur sempre giocato non nel weekend bensì di mercoledì.

Ricordo bene quel giorno anche perché coincise con la mia prima corsa dublinese, e proprio ieri è stata invece la mia prima sgambata torontiana in questo 2017.

Stessa partita, giocata fuori dal programma ordinario, corsa annessa e tanti ricordi che in questo strambo parallelismo ovviamente riaffiorano.

Era mercoledì 3 aprile 2013, e dopo essere uscito da scuola tornai a casa per pranzo, poco dopo invece mi avviai verso Balally per andarmi a tagliere i capelli per la prima volta all’estero, dal barbiere tifoso del Manchester United che tagliava a secco a 12 euro.

Un modo che mi sembrava bizzarro, mai sperimentato prima, ma che anni dopo scoprii essere invece molto popolare fuori dall’Italia.

Con il nuovo taglio, e prima della doccia, mi infilai le scarpe da corsa appena tornato e sfruttando una giornata di mezzo-sole irlandese, andai a correre per la prima volta dopo un mese esatto dal mio sbarco.  

Lungo la discesa di St Raphaela’s Rd e poi di nuovo su fino a Ballymoss Rd avertii quella vecchia sensazione di piacere riprovata esattamente ieri: quella di correre, di farlo fuori, per strada, e provare a sudare all’aperto dopo troppo tempo.

Non mi fermai più fino a maggio, ossia al momento del mio ritorno, e nonostante un tempo sempre infame ripresi quell’abitudine di cui sentivo il bisogno. La stessa necessità che ho iniziato a sentire qui nelle ultime settimane, e ieri, dopo 5 mesi, finalmente mi sono fatto tre giri di Allan Garden, sotto casa.

Venticinque minuti per ripartire e ricominciare con la speranza che il tempo prossimamente non faccia dispetti schiaffeggiandoci ancora con neve e temperature sotto lo zero.

Tornato a casa, in quel pomeriggio dublinese, vidi la partita, un successo firmato da 2 gol di Palacio, uno dei pochi di quella Inter che ancora veste la maglia nerazzurra.

Era il mio primo mese in Irlanda, finito in archivio proprio il giorno prima, e chiudevo il mio post a tal proposito in questo modo:

“Un po’ mi ero sottovalutato, prima di partire pensavo che sarebbe stata molto più dura e che avrei trovato molti più problemi, forse ho esagerato nel dipingere lo scenario ma finora sono andato bene e ho già avuto diverse risposte confortanti, malgrado il fardello con cui sono partito ed i 5 mesi precedenti al mio sbarco in terra d’Irlanda. Adesso avanti con il prossimo segmento, altri 30 giorni che nasconderanno insidie diverse da superare come ho fatto finora: till the end”.

Quelle giornate in cui si decreta chi si fomenta al mondo: la 10 km di Toronto

PREMESSA

“Sei un esteta, un D’Annunzio.” Giorni fa mi è capitato di rileggere questa frase del giorno dell’aprile del 2013, una affermazione pronunciata a Dublino da Gabriella, la quale dopo ormai diverse settimane mi aveva inquadrato in questo modo. Facendo centro, cogliendo in pieno il personaggio, individuando una caratteristica forse abbastanza lampante.

Un’altra frase che qualche mese dopo mi venne affibbiata uscì un venerdì mattina a Napoli, dalla bocca di Alfredo che rivolgendosi a David pronunciò il celebre ipse dixit: “Ma il Ciofi è un esaltato”. Questa, ancor più della prima, mi definisce alla perfezione. Si perché se mi osservate attentamente, quella cosa che vedete non è la mia coda, non è il classico prolungamento animalesco, no, è il filo della miccia. Quella che quando viene accesa mi infiamma e mi rende incontenibile, mai a livelli di David Speranzi, sia chiaro, ma nemmeno così lontano.

Tutto questo lungo preambolo per parlare di ieri mattina quando Marie, mentre mi bevevo il mio succo d’arancia pregustandomi il primo vero caldo weekend di Toronto, mi guarda dicendomi: “I have something for you”. Vedo una busta, due maglie, e soprattutto un pettorale. Mi parla della corsa di 10 km dell’indomani e mi chiede se ho voglia di partecipare. Penso in due secondi una serie di cose, in primis che negli ultimi 4 mesi ho corso solo la domenica precedente 20 minuti e che 10 km non li ho mai fatti nemmeno quando ero molto più allenato, però dico sì, senza indugi.

Sì, vengo, corro, mi fomento. Ci siamo capiti insomma.

Vengo colpito in un punto debole, quello dell’esaltazione, della corsa, dello sport e dell’impresa. Tutti questi elementi messi insieme creano quella miscela unica dalla quale non posso stare lontano e accetto, consapevole della follia. Ma dico sì, perché sono un esaltato e quindi la mattina dopo sarò all’incrocio fra Castlefield Avenue e Yonge Street, dietro casa oltretutto, sarò allo start. E correrò…

LA CORSA

IMG-20150510-WA0004Sul mio pettorale c’è scritto Matthieu, non perché siamo in Canada e quindi hanno voluto francesizzare il mio nome, ma perché originariamente sarebbe proprio dovuto essere l’implacabile Matthieu a solcare con i suoi piedi Yonge Street alla velocità della luce. Alla fine ha rinunciato e quindi io sono stato tirato in mezzo alla vicenda. Il nome va bene uguale, l’avrei presa con meno diplomazia se avessi dovuto correre con un nome diverso, tipo Bruno o Jean Francois, invece no, il destino mi regala Matteo in salsa transalpina e con quattro classiche spille da balia me lo appiccico sulla mia maglia blu della New Balance.

C’è il sole, fa caldo, siamo tanti e si respira veramente un’aria di festa e di divertimento. Alle 9.16 si parte, passo vicino allo speaker che mi cita elencandomi fra i podisti che si stanno mettendo in marcia, costeggio la mia fermata della metro e il gruppone inizia a diradarsi. Il primo km lo chiudo in sette minuti, tanti, ma l’imbottigliamento iniziale ha inciso sul tempo. A Davesville c’è la prima discesa e anche la prima salita, allungo l’occhio e vedo questo serpentone blu che si allunga su Yonge street mentre ai lati della strada, passanti, amici e curiosi ci incitano. Le donne anziane con i campanacci (le mie preferite), i bimbi con i cartelloni colorati, persone qualunque che fra un “Well done” e un “Keep going” ci tengono a partecipare in qualche modo facendosi sentire. Penso che su alcune cose gli americani siano terribili, su altre impareggiabili, l’organizzazione degli eventi sportivi è un loro punto forte, anche in circostanze piccole come questa.

Non vedo il cartellone del terzo km e me ne dispiaccio anche perché non ho potuto trarre carica dalla frase che accompagna ogni tabellone chilometrico: citazioni, incitamenti, riferimenti alla bellezza della corsa. So che al quarto km c’è il primo rifornimento acqua, bevo correndo e mi tengo il bicchiere il mano, non lo butto per terra, mi costa fatica anche in occasioni del genere. Aspetto il primo secchio e lo infilo dentro, mente guardo l’orologio che mi dice che continuo ad andare a 7 minuti al km, non sgarro di un secondo e credo sia giusto così, dopo il quinto, che chiudo immancabilmente a 35 minuti, mi rendo conto di stare bene e di avere ancora energie.

Raccolgo qualche incoraggiamento mentre in lontananza sbucano i grattacieli della City e penso a quanto possa essere unico e suggestivo fare la maratona di New York, ci rifletto, continuo a superare persone e mi viene in mente il messaggio della mattina di Gabriele che mi diceva “Fai 80 minuti in scioltezza”. Corro e comincio a prenderci gusto, so che taglierò il traguardo, so che non dovrò fermarmi per riprendere fiato e camminare e di conseguenza inizio a vivere la gara in tutt’altro modo. Voglio fare un bel tempo, mentre lo penso, al km 6,5, dopo College street arriva il dolore al ginocchio destro. Lo aspettavo, lo temevo e si affaccia nella mattinata di Toronto quando sono da poco passate le 10. Capisco che è quel dolore che so sopportare, è all’esterno e non dentro, quello che mi blocca del tutto. Mi sto gestendo meravigliosamente e il mio punto di riferimento sono i 7 km, il secondo rifornimento.

Bevo, guardo l’orologio e allungo addirittura il passo. Più vado avanti e più scendo sotto i setti minuti. Più la stanchezza dovrebbe incalzare e più le gambe girano, in un modo che mi sorprende e mi esalta, anche perché sotto la tabella del settimo chilometro c’è scritto un emblematico “Run, walk, crawl…keep going!” Miglioro costantemente, mi domando dove possa tenere tutto questo fiato, ma la voglia e l’adrenalina stanno colmando ogni mancanza, l’ottavo km lo taglio su Richmond Street West, la via dove lavoro, la CN Tower si staglia fra due palazzoni, la ammiro, giro alla curva a poi spingo forte. Mi sto tenendo per lo sprint finale, il clima nel frattempo è cambiato, avvicinandoci al lago corriamo con un aria fresca che si fa sentire e ci accompagna fino alla fine.

Alla tabella del nono km, parto definitivamente e dò tutto, supero più concorrenti possibili per arrivare meglio in graduatoria, mi sento all’improvviso il Matteo Ciofi del Triplete, quello del 2010, passo sul ponte, e prima dell’ultima curva, un partecipante che ha già tagliato il FINISH, legge il mio nome e da dietro la balaustra mi grida forte “Let’s go Matthew!”, lo saluto con un cenno e termino sprintando, sotto i 70 minuti, fermo il cronometro a 67.19: un tempone. Arrivo senza boccheggiare, senza arresti cardiaci e proseguo camminando felice e soddisfatto di una performance sulla quale non avrei scommesso un centesimo. Ritiro la mia medaglia, mi mangio una ciambella di pane e una banana al ristoro. Faccio i conti con due vesciche che avevo avvertito correndo, stretching e mi incammino verso il tram per tornare a casa.

Il viaggio di ritorno è lungo e me lo faccio tutto in piedi. L’esaltazione è tale che non mi interessa la fatica. Penso che dovrebbero fare una puntata di Sfide su questo ragazzo italiano che dopo 4 mesi di nulla, e 20 minuti di corsa la domenica prima, ha fatto la 10 km in 67 minuti, completando la seconda parte in tre minuti meno della prima. L’alone di invincibilità (e stupidità) mi accompagna fino a casa, potrei tranquillamente radunare 4 sbandati e dichiarare guerra agli Stati Uniti in un delirio di onnipotenza che ormai mi pervade.

Entro a casa orgoglioso della mia prestazione e la racconto a Marie che non so a che punto abbia mollato tutto. Mi tengo la medaglia al collo come un ragazzino di 12 anni e ripeto il tempo in maniera quasi compulsiva.

Dentro di me so che ancora una volta ho sottolineato a fuoco il mio nome nell’esercito dei fomentati del pianeta Terra e questo è il dato più importante.

 

Come direbbe Settore, viva la corsa, viva lo sport, viva l’Inter. 

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23.45 “Ma tu sei andato in lattato?”

Corri amore,

corri non aver paura…

Il mio problema di base è che sono un tipo tendente al fomento e di conseguenza sono un elemento facile da coinvolgere quando c’è qualcosa che di fondo mi piace. Questa è la debita premessa perché è evidente che con David siamo finiti in un dirupo dal quale difficilmente emergeremo sani e salvi: le corse. Sì, dopo quella di 5 km connessa alla Maratona di Roma, oggi, a distanza di tre settimane, abbiamo voluto replicare nell’Appia Run seppur su distanze diverse. Fin quando nostro Signore ce lo permetterà, e prima che Il Gallo si trasferisca in Angola a insegnare italiano agli stranieri, tireremo avanti così, fra uno sprint e un allungo commentando i deficitari punti ristoro.

La gara: David si è voluto giustamente cimentare nella 13 km essendo molto più allenato del sottoscritto, io ho voluto tentare ancora la 5 km per migliorare il tempo non straordinario del 23 marzo. Ci siamo così divisi intorno alle 9,20 e il Velocipede di Fiuggi ha iniziato la sua personale sfida contro il tempo. Sette minuti più tardi è stato il mio momento e memore del fastidiosissimo imbottigliamento nella corsa precedente ho occupato le prime file per iniziare bene e non perdere tempo soprattutto nel primo km.

Parto e guardo Delvecchio alla mia destra, il cronometro inizia a girare, il cielo tiene e la minaccia pioggia sembra sventata. Al primo semaforo prendo una giovincella come punto di riferimento, c’è subito la prima salita e mi mescolo nel gruppo. Prima di Porta Ardeatina supero la ragazza che non brilla a livello estetico, allungo e affronto una seconda salita che onestamente mi irrita. Arriva il discesone e recupero un po’, sulla Colombo ne supero un paio, guardo il time e sono in linea, sotto il ponte volo e poi mi imbatto in una nuova salita, le posizioni sono ormai quelle, ho staccato diverse persone e fino alla fine posso solo superare. Prendo un’altra ragazza come riferimento, cammina che è un piacere, sbaglio nel prendere l’acqua al rifornimento perché non ho sete e mi distraggo, lancio la bottiglietta sul lato della strada e sorpasso la mia lepre.

Stanno per scoccare i venti minuti, imbocco Viale Giotto in una Roma che dorme ancora, finestre chiuse e serrande tirate giù, passo bene un paio di curve e vedo il discesone finale. Sento l’altoparlante, capisco che siamo verso la conclusione, mi lancio aumentando la velocità, il tempo è buono e infilo il capellone, poi due pupazzi che mi avevano passato a metà gara. Vedo l’ingresso dello stadio, accelero ancora e so che posso chiudere comodamente sotto i 24 minuti, taglio il finish, blocco il cronometro e vedo 23.45: tempone.

Riconsegno il chip, prendo il mio sacchetto ristoro, mi scolo il Powerade, assaggio il plumcake, stretching e mi metto ad aspettare David che arriva dopo un po’, lo vedo e gli grido dietro per incitarlo, anche lui taglia il traguardo dopo un’ora e sei, altro grande risultato. Ci riposiamo, commentiamo la corsa, discutiamo dell’approssimazione su alcune cose, Il Gallo mi pare entusiasta del pezzo percorso dentro il Parco della Caffarella e ci godiamo un po’ di sole.

Ho migliorato sensibilmente il tempo di tre settimane fa facendo due minuti e quaranta in meno, abbondantemente sotto i 5 primi al km, un piccolo successo personale a dimostrazione che l’allenamento serve sempre e che se devo migliorarmi ci provo sul serio.

David è platealmente deluso per non aver potuto incrociare Rosaria Renna, cerco di rincuorarlo ma non è sufficiente, arriva però un capelluto corridore esperto, forse un trainer, che parla ad altri due delle corsa e chiede ai suoi interlocutori se sono andati in lattato durante la maratona. Diventa il protagonista di giornata per il suo tecnicismo buttato lì, talmente tirato fuori all’improvviso che lo deve spiegare riproponendo la domanda di nuovo e sostituendo “Lattato” con “Acido Lattico”. Si prende la scena senza dubbio, regalandoci un tormentone che ci porteremo dietro a lungo.

Anche questa è andata, ora la prossima tappa è la Single Run di fine maggio, e lì, vedremo che verrà fuori…

 appia run

(Nella foto potete facilmente notare chi è il corridore e chi lo spettatore)

26.25 (A Catto, ma che ne sai tu…)

Ti ricordi quella strada, eravamo io e te,

e la gente che correva, e gridava insieme a noi.

Certo che sognarsi di essere su una sedia a rotelle indossando delle discutibili Clarks azzurre non è il modo migliore per avvicinarsi a una maratona, soprattutto se la cosa ti inquieta e ti fa svegliare alle 2,43 e non prendi più sonno perché ti domandi il motivo per cui nella frase “A casa” c’è il raddoppiamento fono-sintattico e in “La casa” no.

Vabbè, alzarsi alle 6,45 di una domenica mattina con la pioggia fuori e sapere di dover andare a correre è un segno evidente di forti disturbi o di una palese pazzia, quella sensazione che ti fa dire “Ma chi me lo fa fare?”. E invece no, prima delle 8 raccatti il tuo amico Gallo alla metro e ti avvii verso Via Cavour insieme a tanti altri invasati. Piove, tira vento, troppa gente, a un punto diluvia e ti metti sotto un tendone del ristorante “da Massenzio” che ti protegge da una doccia universale. Si parla, si sdrammatizza, si invoca a gran voce il sole e alle 9 bum! Inizia la maratona, quella seria, quella di 42 km. Poco dopo ti incammini, schiacciato fra un popolo di corridori, amatori e perditempo. Mezz’ora di ritardo e poi si parte, il Sindaco dà il via anche alla stracittadina e a questi 5 km in allegria mentre il meteo concede in tempo una pausa, quasi miracolosa.

Si comincia, in realtà si cammina, almeno per il primo kilometro chiuso in 6.36, un tempo ridicolo, imbottigliati nel gruppone con persone che pensano a foto e a salutare alcune telecamere. Il Gallo sbuffa e bestemmia, io gli do ragione, nel frattempo si perde il cane per strada, all’altezza del Teatro Marcello continuiamo a lamentarci, a dribblare gente, a fare lo slalom costantemente per evitare quelli che l’hanno presa un po’ alla leggera e ci ostacolano prima di infastidirci qualche metro più avanti.

David allunga un po’, gli sto dietro, usciamo dal serpentone umano, ci buttiamo sul marciapiede, i sanpietrini intanto brillano di acqua e il rischio di andare lunghi è concreto, un pericolo in più. Costeggiamo il Circo Massimo, prendiamo il largo, c’è più spazio dopo il secondo km e andiamo anche se ogni tanto dobbiamo frenarci, ripartire e schivare personaggi inopportuni. Su Viale Aventino riesco anche a pensare all’ultima volta che ero passato lì, in compagnia, a fare il turista a settembre: caldo, afa, pantaloni corti.

Prima di rigirare per involarci verso il Circo Massimo, il mio compare aumenta il suo vantaggio, io accorcio, mando affanculo uno che fa una manovra folle e rischio di tamponarlo pericolosamente, supero tre ragazze in gran forma e confido a David che spero di rivederle il 31 maggio ai 5 km della Single Run. Gli ucraini imbandierati strillano invocando la libertà per il loro paese, io supero diverse persone e mi imbatto nella salita finale su Via del Circo Massimo. Accuso la pendenza, il cronometro mi dice che non manca tanto, il tempo è buono, scollino e mi lascio andare nell’ultima discesa, vedo il traguardo, accelero, guadagno qualche secondo e taglio il finish con un buon 26.25 (buono visto le 7 corse in tre settimane), mentre David mi ha preceduto con un minuto di vantaggio e mi attende. Cinque alto, punto ristoro per l’acqua, un po’ di stretching e subito due battute sul caos, troppe persone, troppi ostacoli, bello correre per Roma ma scomodo farlo con miliardi di cristiani tra le scatole.

Giretto per gli stand e poi via verso la metro di Circo Massimo: è andata, la pioggia ci ha graziati, forse ci ammaleremo uguale o forse no, chissà, alle 11,00 ci salutiamo e ognuno si imbarca verso casa, la prossima tappa è la corsa sull’Appia il 13 aprile, poi la Single Run sabato 31 maggio, il nome di quest’ultima dice tutto, ma come ha chiosato il Catto “Ormai c’è rimasto solo da correre…”

 

P.S. Ho contattato La Bionda appena tornato a casa per farmi spiegare il discorso notturno sul raddoppiamento fono-sintattico, la riposta è che tutto dipende dal monosillabo A che è cogeminante, a differenza dell’articolo LA. Quante ne sa.

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