Niente di più

Ti fa un effetto strano quando parli di qualcosa che poteva succedere a te e invece è capitato drammaticamente ad altri. Quando insomma, avviene qualcosa che ti tocca da vicino e pensi che lì potevi esserci te ma invece c’erano altre persone, ragazzi come te, in giro come te.

Poteva succedermi ad aprile del 2013 ad esempio, quando andammo con gli altri studenti insieme alle Cliff of Moher, e invece è capitato a sette ragazze italiane ieri in Spagna, casi della vita, solo casi della vita. Non c’è altro da dire, se non che tu sei fortunato e loro sono state maledettamente sfortunate. Tutto qui. Il resto non conta, cosa altro vuoi aggiungere in momenti così? Quando magari hai un amico in Spagna a spasso e su quel pullman, per uno scherzo del destino, poteva esserci lui.

Lì capisci quanto sia veramente tutto incontrollabile, quanto tutto non dipenda da te. Tanti giovani sono in giro per l’Europa a fare una grande esperienza, a diventare i futuri adulti del vecchio continente, molti torneranno a casa e penseranno a quello che hanno vissuto e non vedranno l’ora di ripartire per un’altra avventura, quanti magari sono appena partiti e quanti torneranno a breve. Tutti questi, avranno nel loro cuore l’esperienza Erasmus, a differenza di queste giovani ragazze che da ieri non ci sono più.

Sembra tutto molto crudele, e lo è assolutamente. A cosa vuoi credere in momenti del genere? Quale spiegazione ti vuoi dare a un dramma di questo tipo?

Nessuna, non esiste niente se non il dolore. Il dramma delle famiglie, l’ingiustizia del destino verso queste ragazze e i tuoi pensieri che ti accompagnano. Pensi quindi a te, a quando eri come loro studente in Europa, anche fuori dal progetto Erasmus, una etichetta diversa ma i contenuti e il valore dell’esperienza erano gli stessi. Uguale la sostanza, diverso solo il contenitore.

Eppure sai perfettamente cosa significhi essere lì, con altri coetanei a scambiarti idee e sogni, speranze e progetti futuri con una lingua comune pronunciata in tanti modi diversi.

Poteva capitare a me o a chiunque altro, ma io della gita alle Cliff of Moher ho uno splendido ricordo ed una meravigliosa fotografia, la mia preferita dell’Irlanda, mentre alzo le braccia e guardo l’orizzonte davanti a me, il cielo azzurro e l’Atlantico che si mescolano ai piedi di uno strapiombo.

Io ho avuto la fortuna di vivere questi ricordi, loro no.

Ma è solo fortuna e destino, un cazzo di destino.

Niente di più.

Dublino 2013

Il sensazionalismo del dolore

Più ci penso e più non riesco a capire. Non comprendo assolutamente come sia possibile essere così coinvolti da certe storie, come si possa prestare una tale attenzione ed uno smisurato interesse in qualcosa di palesemente orrendo. Da anni mi batto per l’inutilità di certa cronaca nera strombazzata ai quattro venti quasi con piacere, gridata e inflazionata oltre ogni dose di decenza, ma con il passare del tempo invece, mi rendo conto di come piaccia questo carrozzone di drammi e sventure, tanto interpreti e luoghi sono solo dettagli.

L’ultimo episodio relativo al povero Loris (che la terra gli sia lieve, povero bimbo) è l’ennesimo esempio di escalation di dettagli macabri, di una giostra che parte a fatto compiuto e per mesi non si ferma più. Onestamente, e lo dico davvero con la massima trasparenza, a me non frega nulla di questa storia. Non mi interessa sapere se è stata la madre, la nonna, la sorella, il padre o i genitori insieme, non mi cattura l’idea di alzare il volume della tv durante il servizio inerente a questo dramma per carpirne le ultime novità. Il problema è che sono uno dei pochi visto che come in ogni delitto macabro e inspiegabile, c’è un popolo con un gusto evidentemente perverso che si disseta attraverso certe notizie. La sensazione è che queste persone aspettino sempre qualche retroscena più grave, che per tenere alto il livello di attenzione si debba sparare qualcosa di gigantesco e cercare un esasperato e affannoso sensazionalismo. A me questo rincorrersi di scoop ed esclusive fa veramente schifo. Trovo rivoltante chi ci costruisce trasmissioni intere intorno, così come reputo abominevole chi ci specula, quel giornalismo da quattro soldi che non ha nulla a che vedere con quello “d’assalto”.

Questo teatrino è ormai sempre più vivo e luccicante nel nostro nuovo modo di farci trascinare in certe situazioni, e conferma la tendenza italiota di seguire pedissequamente i delitti più scabrosi, vigliacchi e sporchi. Siamo sempre più un popolo (parlo al plurale ma non faccio parte di questa schiera) che ha perso il buon senso e il buon gusto, il video drammatico della morte di Mango gira sul web, siti e blog lo hanno condiviso mentre la gente ne è attratta in un modo lontano da ogni logica. Questa spettacolarizzazione del dolore, il non rispetto, il “fascino” del macabro sono aspetti che rigetto con tutta la forza che ho e se la giustificazione è per curiosità, francamente non so proprio che dirvi.

Esiste il rispetto, sì, esiste ancora per quanto forse abbiate deciso di farne a meno, dovrebbe esserci quel pizzico di moralità che se ti propongono qualcosa di osceno sarebbe opportuno dire “No, grazie”, invece si viene attirati in questa rete vergognosa.

Ho letto e sentito di questo video ma non mi è passato minimamente per la testa di cercarlo. Non ne vedo il motivo, non ne capisco il senso. Devo vedere per caso come muore una persona in diretta e in modo inaspettato? Devo osservare da un cellulare come termina la vita di un cantante sul palco? Cosa devo guardare?

Ditemelo voi, perché io non sarò mai come voi.

La mia personalissima opinione

 

In realtà penso che il limite della vergogna, del degrado e dello scandalo sia stato superato già da un pezzo. Per questo provo fastidio ma non stupore nel leggere i racconti relativi alla storia delle due baby squillo romane. Non è una novità, e sono certo che molti dettagli raccapriccianti debbano ancora emergere, ma resto convinto che in fondo sia lo specchio del paese, del giorno d’oggi con dei contorni quasi globali. Ci si vende per niente, si mette il proprio corpo “all’asta” per una manciata di euro, per una ricarica del cellulare o per avere un gruzzolo tale da accaparrarsi l’ultima borsa firmata. Si vive in funzione di quello, dell’apparire e del mostrarsi. Conta il risultato, non la strada con cui si è ottenuto per quanto questa possa essere sporca e putrida.

E’ questa l’immagine della società di oggi, tutta plastica e soldi, dove il sesso la fa da padrone e la droga ne è fedele compagna. E così risulta difficile indignarsi per certe storie, al massimo prevale il senso di profonda tristezza quando si scopre che la madre di una delle due ragazzine sapeva tutto e istigava la figlia a lavorare per portare a casa dei soldi utili per tirare avanti. 

Quello che però non bisogna sottovalutare e che le baby squillo erano coscienti del gioco in cui erano finite, ne erano consapevoli così come quando usavano droga e si toglievano lo sfizio dei jeans da 150 euro. E’ l’epilogo di una società marcia, in cui il concetto di valore si è perso, in cui la cultura, la curiosità e l’arte sono state soppiantate da smartphone, incontri virtuali e desolazione.

Siamo arrivati a questo punto e la biglia che rotola sul piano inclinato inevitabilmente proseguirà la sua marcia. Agli incontri hot dei Parioli si può collegare anche il fatto di Paolini. Il famoso disturbatore tv è stato arrestato per pedo-pornografia, per aver abusato di ragazzini con l’intento di pubblicare e mostrare quanto fatto successivamente. E’ finita male per questo tristissimo personaggio con evidenti problemi mentali. Anche qui però, rientra il concetto ripetuto prima: le vittime sapevano e ne parlavano con i propri coetanei. I rapporti omosessuali che vivevano con Paolini procuravano loro soldi, denaro valido per comprarsi il necessario. Ancora una volta ritorna il punto precedente: l’avere, il gusto del possesso e del permettersi un qualcosa che altrimenti sarebbe proibito.

 

Ormai si vive per quello, la politica, il mondo dello spettacolo, lo sport, tutto ci indirizza nel pensare che contano i soldi, l’apparire, l’ostentare, il poter comprare.

Questo è il culto con il quale siamo stati imboccati negli ultimi anni, e qualcuno inizia a crederci, soprattutto quando sei giovane e smarrirsi è facilissimo. Il messaggio che continua a passare è questo ormai: se hai i soldi e la bella macchina avrai più chance, la bella ragazza verrà con te, la tua compagna di classe avrà un occhio di riguardo in più se sfoderi la scarpa all’ultimo grido. Se non frequenti serate del jet set non sei nessuno, se non vai al locale figo se un poveraccio sfigato, se è sabato sera e ti limiti a mangiare una pizza con un tuo amico sei una persona triste, se non ingerisci un ettolitro di qualunque mix alcolico non sei forte, se non hai avuto minimo 50 esperienze sessuali non puoi parlare, se non hai avuto rapporti con almeno due persone, un cane, una lepre e una bambola gonfiabile non sei emancipato.

Ecco, rifiuto tutto questo. Provo sdegno e ribrezzo ma non posso fare altro che assistere a questo scempio. Io resto fuori, fuori dal circo, ma non dal mondo. Mi tengo qualche valore, l’idea del sacrificio e del dovere, ma soprattutto del rispetto verso se stessi e ancora una volta del non essere schiavo di nulla. Ne dei soldi e nemmeno degli oggetti o degli stereotipi ridicoli che ormai ci hanno appioppato. 

Sta merda, tenetevela voi.

 

 

Prima di chiudere il post, un pensiero sulla vicenda Salernitana – Nocerina lo vorrei esprimere. E’ stata una farsa, una vergogna, tutto quello che volete ma in troppi si sono dimenticati di sottolineare e ricordare un fatto basilare. Si continua a mettere in secondo piano che ai tifosi della Nocerina è stato negato un diritto. Non gli è stato permesso di seguire la propria squadra in trasferta, anche a coloro i quali avevano la tanto famigerata Tessera del Tifoso (sono ben 6500 i supporters della Nocerina ad avere tale carta), quella che ti permette di non essere mai vittima di restrizioni. C’è gente che ha dovuto aderire a questo progetto ridicolo, a questa schedatura gratuita e che si è vista espropriare del proprio diritto di andare a vedere una partita senza motivi, senza spiegazioni. 

E’ normale e giusto tutto ciò? E’ civile? E’ democratico? La risposta è no. Appurato questo, poi possiamo condannare il resto.

 

Ho pontificato abbastanza, andate in pace.

 

Raccontare la morte

Ci pensavo ieri sera, mentre tornavo festante da Piazza del Popolo dopo la vittoriosa partita dell’Italia. Pensavo alla giornata, a quanto fosse stata strana e per certi versi altalenante. Riflettevo sul fatto che 8 ore prima ero a Via Tuscolana, in collegamento telefonico con la trasmissione in diretta, per raccontare lo scoppio di una bomba a mano che aveva ucciso un operaio romeno di 26 anni. Alle 17 ero lì, in mezzo a tanti fotografi e operatori, molti curiosi e diversi giornalisti, qualche ora dopo ero immerso nei festeggiamenti con i due gol di Balotelli ancora negli occhi e l’emozione di un’altra finale raggiunta. È stata una giornata ambigua, insolita, un giovedì in cui sono stato catapultato nella cronaca nera e in cui ho fatto per la prima volta un collegamento in diretta per raccontare ciò che era avvenuto. In realtà, il pomeriggio doveva essere ben diverso: eravamo infatti nei pressi del Laghetto dell’Eur per girare delle immagini, alle 15.20 siamo stati informati (io e l’operatore) che a Via Tuscolana era scoppiata una bomba e c’era stato un morto. Siamo tornati immediatamente in redazione, abbiamo ricevuto le varie consegne, qualche direttiva e ci siamo diretti sul posto. Ho ricostruito il fatto, ho provato ad avere conferme su una fuga di notizie, ed alla fine, ho intervistato un dirigente del Decimo Tuscolano. All’interno di un appartamento in ristrutturazione, un operaio aveva spostato una sacca che conteneva materiale bellico, in particolare pistole e bombe a mano, appartenenti al proprietario dell’abitazione, un ex ufficiale dell’Esercito. La vittima in maniera del tutto inconsapevole aveva mosso questo zaino causando l’esplosione dell’ordigno, gli altri due operai invece si sono salvati essendo in un’altra stanza.

È stato un pomeriggio cupo, raccontare la morte di qualcuno non è mai cosa facile, anche se la responsabilità del primo collegamento in diretta mi ha fatto dimenticare tutto.

Ero concentrato sul mio lavoro, su ciò che avrei dovuto dire, sul verificare alcuni dettagli. Essere catapultati all’improvviso in certi situazioni ti fa perdere la percezione del fatto vero e proprio, ieri a me è successo questo. Me ne sono reso conto successivamente, mentre tornavo a casa con la maglia della Nazionale di Materazzi: è strano parlare di una persona morta in circostanze assurde e poi ritrovarsi in mezzo a migliaia di persone a festeggiare.

A volte, capita anche questo.