Da Berna a Birmingham

Da Berna a Birmingham. La traiettoria è questa, inizia il 10 maggio del 1989 e termina il 19 maggio del 1999. Dieci anni, in mezzo un dominio mai visto prima, un impero calcistico difficile da poter replicare, quasi impossibile da superare.

Dalla Svizzera al centro dell’Inghilterra, due finali di Coppa delle Coppe, in campo la Sampdoria di Boskov e la Lazio di Eriksson. La storia inizia con una sconfitta però e finisce con un successo, l’ultimo timbro italiano sul decennio di gloria del nostro calcio dominante.

Gli Anni 80 stanno per finire, l’Europeo di Germania è alle spalle e la nostra Nazionale non ha brillato, sullo sfondo però c’è già la Coppa del Mondo che ospiteremo, nel frattempo le italiane continuano a faticare nelle competizioni europee. L’ultimo successo è datato 1985, la Coppa Campioni della Juventus nella maledetta notte dell’Heysel.

L’ultima stagione degli anni Ottanta segna però un cambio di marcia, una svolta che ribalta il panorama calcistico continentale. Il Milan di Berlusconi ha vinto lo scudetto nel 1988 strappandolo al Napoli di Maradona, dopo il tricolore il presidente rossonero punta dritto all’Europa. Gullit e Van Basten trascinano il Milan alla Coppa Campioni contro la Steaua Bucarest travolta al Camp Nou per 4-0. La macchina perfetta messa a punto da Sacchi inizia a spaventare l’Europa che è ancora orfana delle inglesi, fuori dopo la drammatica notte di Bruxelles. Senza le squadre di oltremanica che avevano vinto a ripetizione a cavallo degli Anni 70 e 80, mancano rivali importanti, ma il vuoto non è stato monopolizzato da nessuna nazione fino al 1989 appunto.

Il Milan sale in cima all’Europa, la settimana prima il Napoli si aggiudica la Coppa Uefa contro lo Stoccarda; il 10 maggio a Berna invece la Samp viene battuta dal Barcellona. Tre italiane in finale in ciascuna competizione, un episodio che capiterà ancora, l’en plein sfuma solo per il mancato successo doriano, ma è solo questione di tempo.

La stagione che conduce a Italia ‘90 è un altro dominio totale: il Milan rivince la Coppa Campioni (ancora oggi è l’ultima squadra ad averne vinte due fila) contro il Benfica, la Samp ai supplementari supera l’Anderlecht in una partita che sembra stregata e vendica la sconfitta dell’anno prima, mentre la Juve batte in una finale tutta italiana la Fiorentina in Uefa.

Il monologo italiano si interrompe ai Mondiali con i rigori in semifinale contro l’Argentina, ma la supremazia italiana non si ferma, si arresta, solo per un po’.

Nel 1990-91 un’altra finale di Uefa è tutta tricolore: l’Inter batte la Roma, ma ai quarti su 8 squadre 4 sono italiane considerando anche l’Atalanta ed il Bologna. In Coppa Coppe la Juve esce in semifinale contro il Barça che perderà la finale contro il Manchester United, mentre il Milan non riesce a calare il tris ed esce ai quarti nella controversa notte dei lampioni di Marsiglia.

Il territorio preferito delle italiane sembra essere la Coppa Uefa, nel 1992 infatti un’altra squadra di Serie A, la sesta diversa in 4 edizioni, raggiunge l’atto conclusivo. Il Torino perde la coppa senza essere sconfitto. Finisce 2-2 contro l’Ajax al Delle Alpi e 0-0 in Olanda, con la corsa granata che si infrange su tre legni. Il Genoa è l’altra sorpresa della competizione ed abdica soltanto in semifinale, sempre contro i lancieri.

In Champions League, questa è intanto la nuova denominazione della Coppa Campioni, c’è la Sampdoria alla sua prima partecipazione in questa competizione. La marcia della squadra di Boskov è praticamente perfetta, e senza alcun timore reverenziale i blucerchiati avanzano fino alla finale di Wembley. I sogni di Vialli e Mancini però naufragano ancora una volta per mano del Barcellona, come tre anni prima. Ai supplementari un siluro su punizione di Koeman regala la prima Coppa Campioni ai blaugrana. In Coppa Coppe la Roma va a casa ai quarti contro il Monaco, la campagna europea italiana si chiude con due finali e zero successi per la prima volta dopo tre stagioni consecutive.

È un caso, perché il 1992-93 ristabilisce nuovamente il dominio italiano: il Milan torna in finale di Champions, stavolta però il Marsiglia vince e lo fa sul campo con Bolì, la Juve conquista la Coppa Uefa, il Parma vive il suo miracolo di provinciale e stende l’Anversa in finale di Coppa Coppe a Wembley. Tre finali, due successi, ma è solo il prologo della stagione successiva, quella che porta oltretutto ai Mondiali di USA ‘94.

Come quattro anni prima le italiane danno il loro meglio e arrivano in fondo a ogni competizione. Il Milan alza la Champions contro il Barcellona schiantato 4-0, l’Inter batte il Salisburgo in Coppa Uefa dopo aver superato il Cagliari in semifinale, il Parma arriva ancora all’atto conclusivo della Coppa Coppe ma viene beffato dall’Arsenal 1-0.

Il calcio italiano è al suo apice, per qualità e continuità, il Mondiale si trasforma in un’avventura ricca di imprevisti e colpi di scena. Baggio trascina gli azzurri in finale ma ancora una volta i rigori negano alla Nazionale il successo.

Archiviata l’avventura americana, i club italiani riprendono a dominare, il Milan va in finale di Champions per la terza volta di fila ma viene giustiziato dall’Ajax del futuro rossonero Kluivert, la Samp esce in semifinale di Coppa Coppe ai rigori contro l’Arsenal, mentre ancora una volta la Coppa Uefa regala un derby tutto italiano con Juventus-Parma, autentiche protagoniste di quella stagione. Vincono i gialloblu, alla terza finale europea di fila.

La stagione 1995-96 diventa inaspettatamente uno spartiacque del pallone continentale, il 15 dicembre del ’95 infatti con la sentenza Bosman la Corte di Giustizia delle Comunità Europee stabilisce la libertà dei calciatori professionisti aventi cittadinanza dell’Unione europea di trasferirsi gratuitamente a un altro club alla scadenza del contratto con l’attuale squadra. La decisione stravolge il mondo del calcio poiché una delle conseguenze della sentenza stessa è anche l’abolizione del tetto al numero di calciatori stranieri nel caso specifico in cui questo aspetto discriminasse dei cittadini dell’Unione Europea.

Mentre inizia questa fase di transizione giuridico-sportiva, nel 1996 in Champions League il Milan lascia il passo alla Juve che torna a giocare la massima competizione e vince subito, il Parma esce ai quarti di Coppa Coppe contro il PSG che alzerà in seguito il trofeo, in Coppa Uefa, per la prima volta dopo sette edizioni, nessuna italiana si gioca il titolo, con Milan e Roma che salutano anzitempo ai quarti.

È solo un passaggio a vuoto però, perché l’anno dopo l’Inter va in finale e perde in casa ai rigori contro lo Schalke 04. La Juve difende la sua Champions e cade contro il Borussia Dortmund nell’epilogo di Monaco di Baviera, mentre la Fiorentina va fuori contro il Barcellona di Ronaldo in semifinale di Coppa delle Coppe.

Le italiane continuano a recitare il ruolo di protagoniste ma la supremazia inizia ad essere meno totale, nel 1997-98 però c’è l’ennesimo duello tricolore in finale di Uefa con l’Inter del “Fenomeno” che vince la sua terza coppa in 8 edizioni battendo 3-0 a Parigi la Lazio. La Juve raggiunge nuovamente la finale di Champions, la terza consecutiva, ma scivola contro il Real; in Coppa Coppe invece, l’incredibile favola del Vicenza di Guidolin termina in semifinale a Londra dopo aver fatto tremare realmente l’Ital-Chlesea.

Il 1998-99 è la stagione che conclude questa parabola decennale, è il punto finale. Il Parma vince la Coppa Uefa a Mosca, la Lazio alza il suo primo titolo europeo contro il Maiorca a Birmingham, mentre Juve e Inter vanno a casa entrambe per mano dello United che nel mese di maggio conquisterà uno storico treble.

È la seconda edizione della Champions League con due squadre per ciascuno dei campionati  principali, ma è anche l’ultima edizione della Coppa Coppe. Il calcio europeo cambia formato, e quello italiano perde colpi. La Serie A continua a rimanere il campionato di riferimento, ma la spinta propulsiva cala, in maniera quasi naturale. La Nazionale sfiora il successo a Euro 2000 mentre l’Under 21 porta a casa il titolo di categoria, il quarto in 8 anni che si va aggiungere a quelli del 1992, ‘94 e ‘96, tanto per rimarcare la superiorità del pallone nostrano sotto ogni livello nella decade dei Novanta.

Il calcio prende un’altra strada, tornano a essere protagoniste le due grandi di Spagna, le inglesi si riaffacciano in Europa, il continente vive una fase di grande cambiamento politico ed economico con l’ingresso della moneta unica il primo gennaio del 2002.

Perdiamo lentamente terreno in Europa, solo il Milan all’inizio del nuovo millennio riesce ad avere un minimo di continuità con tre finali di Champions in 5 edizioni. Quella del 2003 contro la Juve, dopo aver eliminato l’Inter nel primo storico Euroderby, sembra un ritorno al passato ma è solo un episodio. Il gioco cambia, i soldi in ballo iniziano ad arrivare da nuovi contesti e da diverse latitudini, il calcio si avvia a essere quello dei top team, della Champions che divora tutto e degli sceicchi.

L’Europa League, la vecchia e ambita Coppa Uefa, solo per i club italiani diventa un peso, in Champions l’Inter nel 2010 compie un exploit incredibile ma rimane un caso isolato fino alla Juve del 2015 che sorprendentemente arriva in fondo prima di crollare davanti al Barcellona.

 

È il calcio di oggi, che ci vede spettatori e quasi mai protagonisti. Con la Nazionale al suo minimo storico dal punto di vista qualitativo, gli stadi vuoti e non solo per il timore della violenza o per le strutture fatiscenti. L’Italia del pallone è relegata dietro ad altri tre paesi, ha perso dal 2010-11 un posto in Champions e non ha più una potenza economica tale da poter competere con i capitali di altri club. Nel frattempo si sta aprendo a nuovi investitori: americani, indonesiani, cinesi, che non sembrano però avere la stessa capacità di Barca o Real per non parlare dei petrodollari degli sceicchi.

Rimane il ricordo, quello sì, di un’era già lontana ma che non può essere sperduta nella memoria. Gli Anni 90 sono stati il punto massimo del nostro movimento, e questi dati finali lo sintetizzano in modo chiaro:

In 11 stagioni, con 33 finali da disputare, le italiane sono presenti in 24 occasioni. Sono 14 i trofei vinti, 4 invece le finali tutte italiane e sempre in Coppa Uefa. Il 1990 è l’anno in cui tutte e tre le competizioni vengono vinte da una squadra italiana, mentre sono quattro le stagioni in cui portiamo almeno un club in finale di ogni coppa (1989, 1990, 1993, 1994).

Le italiane giocano 7 finali di Champions consecutive fra il 1992 ed il 1998, e altrettante di Coppa Uefa fra il 1989 ed il 1995. Per 4 anni di fila riusciamo addirittura a portare sistematicamente una italiana sia in finale di Champions League che in Coppa Uefa (1992-1995) ma soprattutto in 11 anni ben 10 diverse squadre italiane vanno in finale, ed altre 4 raggiungono una semifinale (Bologna, Cagliari, Genoa e Vicenza).

Non bisogna aggiungere altro, è il decennio dell’Italia, la decade dello strapotere del pallone tricolore sui campi di tutta Europa. 

Sofia – “Me so’ scaricato 3-4 cose sur tabblet…me butto llà”

Lunedì è stato il turno dei luoghi di culto e dopo la sinagoga ci siamo ritrovati casualmente in un grande e ricco mercato ortofrutticolo, molto caratteristico e abbastanza bulgaro. Proprio qui, mentre passeggiavamo dopo pranzo, con il Gallo intento ad addentare una ciambella appena comprata, vedo il ragazzo incontrato all’aeroporto. Esattamente lui. Simone da Morena, operaio al Messaggero, 32 anni e a Sofia per motivi poco chiari visto che la spiegazione conteneva troppi “amici de’ amici” per capire tutto fino in fondo. Abbandonato a se stesso e con una lunga giornata davanti, siamo rimasti insieme per un giro che ci ha condotto in una chiesa e poi alla moschea. Prima però, il nostro personaggio, ha sciorinato qualche magistrale perla tipo “A casa c’ho ‘na cammera de 40 mq”, “Ieri so annato con ‘na pischella, 26 anni ‘na teppista, co ‘n macchinone”, “So venuto qui a Sofia alla ribalta, senza albergo. Sto in centro, pago 35 euro a notte, è ‘n 4 stelle ma fa schifo”.

Il nostro nuovo amico pur di stare con noi è tornato al Museo Archeologico adiacente ad una fontana tricolore dai superbi giochi d’acqua difronte alla quale la notte prima avevamo intonato tutto l’Inno di Mameli. Abbandonato il museo abbiamo tentato di visitare la galleria d’arte internazionale che però è ancora chiusa per dei lavori di ristrutturazione. Qui con il Gallo abbiamo deciso di prendere le distanze dal nostro amico che nel frattempo ci aveva regalato altre perle, tipo il racconto di una trasferta ad Amsterdam per Ajax-Roma e la frase delle frasi “Ma che ne so, nun c’ho capito ‘n cazzo, poi stavo pure bello attufato…” in relazione alla visita effettuata presso il parco naturale di Vitosha. Quando ci siamo sganciati, io e David abbiamo ripreso colore e vigore, abbiamo riacquisito energie, siamo tornati ad accendere il rullo delle cazzate elaborando una teoria. Avere al nostro fianco il simpatico Simone ci aveva comunque bloccati, e considerando un po’ di sonno arretrato stavamo per abbioccarci, le cazzate dette e ripetute hanno avuto il potere terapeutico di alimentarci, di tenerci pimpanti. Senza questi elementi, stavamo per stramazzare.

Riacquistata la nostra “libertà” è ripartito il valzer e abbiamo riscoperto forze impensabili. Abbiamo così aggirato lo stadio e puntato verso l’hotel, tornando in centro per l’ultimo assalto al ristorante Happy, anche se per l’ultima occasione abbiamo sperimentato quello di Rakovski, curiosi di vedere se il livello delle cameriere fosse sempre alto. Dopo aver incontrato un ragazzo di Cracovia che proveniva da Istanbul (quanti ricordi in questo abbinamento di città evidentemente non casuale…) ci siamo seduti nel nostro caro ristorante. Io sono stato ammaliato dalla cameriera bionda che mi ricordava Elena della 3A e che avevo mostrato al Gallo poco prima (altra folle coincidenza), mente il Velocipede di Fiuggi veniva quasi richiamato all’ordine per essersi incantato su una cameriera mora.

Il flusso ininterrotto di cazzate è proseguito, anzi, ha aumentato la sua portata, abbiamo deragliato ripetutamente, dicendo qualunque cosa possibile, soprattutto mentre tornavamo in albergo per ritirare i bagagli e avventurarci nella notte “a zonzo”. Oltre ad Alfredo dal Brasile abbiamo immaginato i nostri genitori riuniti per vederci in diretta e soprattutto attoniti dinnanzi a tante volgarità, oltre ad un commento in contemporanea della Gialappa’s in una specie di “Mai dire Sofia”.

Il nostro riparo è stato un locale su una stradina di Rakovski, un Mojito e una birra prima di una mia frase che scritta qua avrebbe poco senso e non renderebbe. Tuttavia, davanti ai vari bicchieri che si ammucchiavano sul nostro tavolo, ho voluto raccontare la mia verità su Francesca in quel famoso periodo del 2009 culminato con la mia laurea triennale. Alle 2 ha chiuso il locale, ultimo giro e poi via verso l’aeroporto, con il timore di beccare Simone da Morena, al quale avremmo fatto compagnia ma che in compenso ci avrebbe nuovamente limitato e portato forse ad un sonno profondo spegnendo il tasto delle puttanate. Sulle scale davanti il controllo il Gallo è entrato in loop con “Ma nun c’ho capito ‘n cazzo, stavo pure bello attufato” e io mi contorcevo dal ridere mentre passeggeri bulgari in attesa ci guardavano basiti. Il nostro eroe che ci ha detto di aver “fatto le buche” per quanto tempo aveva passato in aeroporto, ci ha tenuto anche i posti vicini a lui sull’aereo creando in noi un senso di colpa per non averlo raggiunto al gate subito e per non avergli fatto compagnia. Prima del decollo ha dispensato qualche altro colpo da maestro come ad esempio “Speriamo che non caghi ‘sto ragazzino, altrimenti è ‘na situazione aberrante” riferendosi a un neonato che strillava dalle retrovie. Wizz Air puntuale ancora e arrivo a Fiumicino in anticipo, poi Terravision fino a Termini e metro prima dei saluti con il mio fido compagno.

Sofia è già nell’archivio dei ricordi, un viaggio di autentico divertimento, dove la sintonia e la perfetta intesa hanno fatto la differenza, così come l’aver sdoganato tutto. Peccato da una parte non aver potuto raccontare ogni dettaglio, il meglio e le situazioni più divertenti rimangono fuori da queste pagine come è giusto che sia, l’importante è che resistano in noi.

È stato straordinario, vale la pena aspettare tanto tempo per ridere in questo modo, adesso la speranza più grande è che la prossima tappa non debba essere così distante nel calendario.

Frase del viaggio

“Adesso ‘na bella (censura), ‘na bella doccia…’na bella (censura) e siamo pronti a ripartire!”

(Davide – Firenze, marzo 2004)

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Sofia – “Mo se prennemo n’artro paio de Mojit…TIEEEEEEEEE! A Catto!”

L’aver sdoganato tutta una serie di cose ha permesso a Sofia di diventare il viaggio dei record. La sensazione che il primato delle cazzate potesse essere raggiunto comodamente per me era evidente e lampante, mentre David ha aspettato qualche altra ora per condividere il mio pensiero.

Dopo aver visitato Sveta Petka Samardžijska, ammirando da vicino un battesimo di rito bizantino, il segno della croce al contrario e l’adorazione delle icone raffiguranti i vari santi, ci siamo diretti verso la Rotunda di San Giorgio eretta fra il II e III secolo ed “appizzata” (come ha detto qualcuno) fra gli edifici presidenziali di Sofia e circondata da alcuni resti della città romana. Mentre il Gallo decideva a suo rischio e pericolo di intralciare la marcia dei militari bulgari abbiamo proseguito verso Alexandar Nevskj. Innalzata in stile neo-bizantino a partire dal 1904 per commemorare la liberazione russa dai turchi è il simbolo di Sofia ma soprattutto il secondo tempio ortodosso più grande dopo San Sava a Belgrado visitata proprio un mese fa. A due passi da questo enorme edificio siamo rimasti un po’ delusi dalla chiesa di Santa Sofia, luogo che ha dato successivamente il nome alla città. Abbiamo ripreso il viale principale, siamo ripassati davanti alla chiesa russa, più bella fuori che dentro, al National Theatre e poi attraverso la piazza davanti l’università che rende omaggio ai militari bulgari. A quel punto abbiamo puntato dritto verso il Museo storico di Sofia, molto lontano dal centro, ai piedi di Vitosha, il monte più rappresentativo della zona. Abbiamo mangiato in un autogrill con patatine, yogurt, frutta secca, acqua e birra fruttata, prima di visitare un posto che onestamente non ci ha esaltato. Poco dopo, all’uscita, venivo a conoscenza della disgrazia che si stava abbattendo su San Siro e tra lo sconcerto più totale ho pensato veramente che essere a Sofia, ma anche a Timbuctù, fosse meglio che essere sintonizzati su Sky Calcio canale 251.

Nei vari spostamenti, nelle infinite e continue camminate, le nostre cazzate sono state intervallate dalla musica, dal juke-box umano. Abbiamo cantato ogni cosa, un repertorio vasto, a volte ripetuto ma sempre condiviso. Vasco Rossi, Ligabue, Jovanotti, Ramazzotti, Venditti, Tiziano Ferro, Francesco Renga, ma anche sigle storiche di programmi televisivi e l’immancabile canzone di “Ci vediamo in Tv” di Paolo Limiti, tutte ovviamente reinterpretate. Abbiamo cantato più del solito, in mezzo alla strada, sotto la metro, fregandocene degli altri passanti e dando sfogo alla nostra vena canterina.

Quando la musica si fermava, subentravano personaggi come Maurizio Mosca, Pierluigi Pardo, Genny Savastano, il Maestro Donato Inglese e il suo “Indunesià a da accattà i jucatur, quelli buuni”. Intrusioni continue e tormentoni, cazzate a dismisura spesso legate da un filo conduttore. Zero regole, nessun filtro e tutto concesso. Dalla nostra bocca è venuto fuori il mondo. La modalità “briglia sciolta” è stata accesa subito ed entrambi ce ne siamo serviti.

Quanto alla seconda sera, quella di domenica, siamo tornati ancora da Happy e ci siamo accomodati in una posizione più defilata rispetto a 24 ore prima incontrando cameriere meno appariscenti. Tra pollo e fettine di maiale, avevamo già in testa l’obiettivo del post-cena mentre pasteggiavamo stabilendo budget e piano d’azione. Una bella birra e poi via… (terza censura).

(CONTINUA)

Sofia – “Ma nun c’ho capito ‘n cazzo, stavo pure bello attufato…”

PREMESSA

“Mai schiavi della meta, sempre del fomento”. Questo è stato lo slogan coniato quando abbiamo comprato il biglietto per Sofia mollando definitivamente Lisbona. Nella sua apparente banalità, questo motto racchiude invece la ragione per cui il viaggio appena concluso in Bulgaria rimarrà tra i più belli di sempre e di certo quello più divertente che abbiamo condiviso io e David.

Onestamente non volevo scrivere nessun post su Sofia, una scelta magari impopolare considerando i precedenti, il problema è che non so veramente da dove iniziare ma soprattutto ho la totale consapevolezza che non potrò riuscire a trasmettere nemmeno il 10% del divertimento assaporato. Scrivere per fare un resoconto è una cosa, provare a raccontare e spiegare sensazioni, risate e momenti è ben altro discorso. Troppe cose devo censurare, troppe battute non possono essere trascritte per svariate ragioni e troppi tagli tolgono linfa e interesse al post, alla fine però, mi sono convinto nel buttare giù un po’ di righe, più per tradizione che per centrare l’obiettivo.

Partire con due ore di sonno sulle spalle dopo aver puntato la sveglia alle 4 non è il massimo, però quando c’è un pre-partita del genere non si può sprecare l’occasione e allora venerdì sera dopo aver comprato i biglietti per il treno per Fiumicino ci siamo scolati un paio di bicchieri e boccali di Tinto de Verano tanto per entrare in clima e chiudere gli occhi alle 2. Volo ottimo, Wizz Air puntuale e lodevole anche se i posti a sedere sull’aereo sono forse i più scomodi sui quali io abbia mia poggiato le sacre terga. Mentre ricevevamo chiamate anonime alle 6.30 e ipotizzavamo le peggiori ipotesi (splendida quella del Gallo sulla Wizz Air stessa) ci siamo imbattuti nel George Clooney di Fiumicino, nella commessa di Sora, nella non colazione consumata sempre per colpa della commessa di Sora e poi in una serie di individui che volevano partire con la mail della compagnia e senza carta d’imbarco, oltre a quelli che volevano aggirare l’imbarco stesso da una porta sul retro.

Giunti a Sofia, nel tetro e vuoto aeroporto, ci siamo indirizzati verso la fermata del bus 84, quello diretto verso il centro città e qui (badate bene a questo passaggio) un tizio in pantaloni corti e felpa grigia, nonostante i 10 gradi, ci ha chiesto se eravamo italiani, qualche informazione e poi è sparito per andare a cambiare i soldi. Questo personaggio, sulla trentina e dallo spiccato accento romanesco, aveva l’aria di chi era stato svegliato nel cuore della notte per andare a sua insaputa in Bulgaria e sarà l’idolo del viaggio.

L’hotel è stato raggiunto facilmente, con un cielo grigio e un clima dublinese, grazie anche alle indicazioni di un bulgara che viveva in Irlanda, i casi della vita. Periferico ma non troppo, a sud della città, nel quartiere Lozenetz e a due passi dal centro commerciale nel quale abbiamo pranzato: il Gallo da Subway con un panino lungo come uno sci e io da KFC essendo un vero ultrà del fast food in questione. Fin da subito però ci siamo chiusi nel primo tormentone, immaginavamo infatti Alfredo sul divano di casa sua intento a seguire in diretta ogni nostro passo, in una specie di super Grande Fratello. Per questo motivo, il nome più ricorrente nel viaggio è stato quello di Fabi che nella nostra pazzia veniva chiamata in continuazione da Alfredo per mostrarle le nostre gesta. Il secondo tormentone è stato invece una frase del Di Renzi, un mio amico di scuola che nel marzo del 2004, in attesa nella hall di un hotel di Firenze, riferendosi al suo compagno Mattia disse un’espressione fantastica ma che non posso trascrivere (prima censura).

Un altro tormentone, altrettanto immediato è stato quello relativo alla fermata della metro di Serdika, la piazza principale della città. Ogni volta che veniva pronunciato il nome dall’altoparlante partiva immediatamente un “Serdika tu eri l’unica, ma soprattutto nelle ore di ginnastica…” citando la canzone dei Perturbazione allo scorso Sanremo. Tuttavia, dopo aver preso possesso della nostra camera d’albergo, la migliore in cui siamo stati insieme, ci siamo riposati ma senza dormire, ripartendo per nuove avventure intorno alla 17 per un giro di perlustrazione. Sofia non è una città meravigliosa e nemmeno stupefacente, è il classico post dell’Europa dell’Est, con scritte in cirillico senza traduzioni e quell’aria da città di una volta leggermente ammodernata ma fondamentalmente reduce da storie diverse e complesse, a tinte rosse e con un occhio verso Mosca. Non abbiamo trovato nulla di profondamente bulgaro, qualcosa di estremamente identificativo, ma nonostante tutto, alla fine, era un posto che bisognava visitare.

La cattedrale di Alexdander Nevsky è stato il primo posto in cui siamo finiti, prima di girare per Rakovski e Vitosha Boulevard la strada dei locali, una Grafton Street in salsa bulgara. Qui il Gallo ad esempio ha dato il via al primo dei racconti, alla prima confessione-verità, un altro tema ricorrente nel viaggio. Dopo averlo sollecitato sul giugno 2013 a Dublino, davanti a un Mojito pagato meno di 3.50 Euro, mi ha ricostruito la sua vicenda. A cena ci siamo ritrovato da Happy, catena seminata in diversi punti di Sofia. Ristorante carino, con ampia scelta, ottimi prezzi e cameriere di livello altissimo. Mentre il Catto era intento a vedere Arsenal – Tottenham venivamo per la prima volta censurati e irretiti da una coppietta che a detta del mio partner d’attacco parlava la lingua di Dante. Questo aspetto ha limitato il nostro lessico (o meglio, turpiloquio) che è stato protagonista del viaggio. Presumo che le volgarità, le sconcezze e le frasi scurrili che sono uscite dalle nostre bocche ci hanno procurato un posto fra le fiamme degli inferi in eterno. Questo però è stato un pretesto per delle risate leggendarie, battute inenarrabile, riferimenti che non posso veramente riportare (seconda censura).

Quello che in fondo abbiamo apprezzato è stato proprio questo, la “libertà d’espressione”, la possibilità di dire tutto quello che ti pare essendo altrove e senza il rischio di passare come sguaiato o maleducato. In un luogo poco turistico, con pochissimi italiani, ci siamo lasciati andare a considerazioni e frasi un tantino più pesanti del solito. Abbiamo sdoganato praticamente tutto, abbiamo aggiunto nuovi bersagli e ritirato fuori vecchi obiettivi, sono certo che nessuna persona a noi vicina non sia stata citata almeno due volte.

Un altro drink, un giro al centro e poi il ritorno in hotel per riprendere fiato, ma soprattutto per riposare dopo una giornata infinita, zero sonno e con una domenica bulgara pronta ad entrare nel vivo.

(CONTINUA)