Il frasario di mia nonna (Parte III)

Terza parte e molto probabilmente ultimo resoconto sul frasario colorito e particolare di mia nonna. Nelle precedenti due puntate ho riportato alcune delle sue tipiche espressioni gergali, fra romanesco e invenzione, genialità e anima verace. Dopo il post dello scorso 4 agosto voglio chiudere la lista con le ultime perle.

 

“Core de nonna, tu nun te sposa’ mai” – Crescendo, inevitabilmente, questa frase me la ripete più spesso e con maggior convinzione. È un suggerimento, un invito, un’esortazione, quasi un augurio che lei mi rivolge. Evidentemente il trend di coppie che saltano con grande facilità non le è indifferente, di conseguenza vede nel matrimonio qualcosa di negativo o rischioso. Per cui, a suo avviso, è meglio lasciar perdere, ovviamente il tutto è anticipato da quel “Core de nonna” classica espressione intramontabile.

 

“La vita è ‘na gran fregatura, ma una de quelle grosse” – Questa espressione a me fa molto ridere, ha quel suo senso di malinconia e amarezza che mi avvolge. Mi piace talmente tanto che sono io spesso a “provocarla”, sono io che pronuncio la frase, almeno la prima parte e lei annuisce con il capo e poi chiude tutto dicendo appunto: “Sì, ma una de quelle grosse”.

 

“C’ho un nipote che è ‘n diavolerio” – Il nipote in questione non sono io bensì il figlio di mio cugino di cui lei è bisnonna. Tralasciando il valore della frase (oltretutto vera) a me affascina questa evoluzione del termine diavolo. So che è un termine regionale il quale significa “scompiglio, trambusto” ma nel caso specifico penso sia una perfetta sintesi di “diavolo” e “diavolerio” inteso nel suo modo più letterale, visto che il bambino in questione genera trambusto e scompiglio in maniera puntuale.

 

“Sto cane c’ha le corna” – Torna il tema del diavolo e del demonio come simbolo di caos e problemi. Altra storica definizione utilizzata per animali ma non solo. Avere le corna significa essere dei mascalzoni, dei lazzaroni, non c’entra nulla l’aspetto del tradimento. Se il cane ha le corna, significa che la sta facendo impazzire con il suo comportamento.

 

“Nun li reggo, perché so’ ‘sagerati” – Frase ripetuta spesso, anche se la prima volta che l’ho sentita è stata dopo un suo periodo di vacanza a Fiuggi. Partì con il centro anziani e rimase particolarmente infastidita dal comportamento dei suoi coetanei durante i pasti, in particolare fu sconvolta da coloro che si avventavano sul buffet come se non ci fosse un domani…”Pare che nun hanno mai magnato…”

Il frasario di mia nonna (Parte II)

A distanza di undici mesi è giusto dare un seguito a quel post che scrissi il 27 settembre dello scorso anno riguardo il colorito e inarrivabile frasario di mia nonna. Ascoltandola, imitandola e ripetendo le sue frasi per scherzo, ne ho appuntate altre che meritano di essere pubblicate e spiegate.

 

“E a me mica m’è gnente…” – Un pezzo forte di mia nonna è il rivendicare il livello di parentela, il concetto di sangue e famiglia. Se uno esce da questo circolo, la frase è automatica. Solitamente viene usata in relazione ai regali, e lo scambio è il seguente: uno le domanda se ha fatto un regalo a qualcuno e lei risponde così, mettendo l’accento sul fatto che la persona in questione a lei non è niente, che tradotto significa non è parente. Quel “gnente” alla fine è poi uno dei marchi di fabbrica del romanesco, con il passaggio del gruppo “ni” davanti a vocale che si palatalizza in “gn”.

                                                                      

“Sì, ‘n artro bono” – Gemma, colpo secco venato da fastidio e consapevolezza. La frase indica la convinzione di mia nonna nel giudicare una persona appena citata. Ovviamente il “bono” è ironico, ma l’ “artro” che precede l’aggettivo, fa capire come ci siano già molte persone di cui non è il caso fidarsi.

 

“E a me che me frega” – Reazione diretta, senza troppi giri di parole. Posizione netta che non ammette repliche. Quando dice che a lei non interessa, la discussione finisce lì, non ci sono margini. È Cassazione.

 

“Non ce se vedeva manco a bestemmià”- Onestamente, quest’ultima frase, l’ha tirata fuori mio padre recentemente, io l’ho sentita forse mezza volta e anche molto tempo fa. Non è facile da spiegare, o meglio, non è particolarmente sensata. Ovviamente si usa in situazioni di totale oscurità, buio pesto, e anche l’aggrapparsi a soluzione blasfeme non riesce a risolvere il problema.

 

“Io vorei annà sulla Luna, guarda un po’”- Eccoci dinnanzi ad una frase epica, un must di mia nonna. Questa è una delle uscite più gettonate, senza dubbio. Nasconde (nemmeno tanto) il fastidio e la disapprovazione per qualcosa appena visto o sentito. Di solito è una frase successiva a qualche polemica familiare, tendenzialmente legata a mia zia. La volontà di mia nonna è di conseguenza quella di diventare astronauta e volare verso la Luna, lì, nella sua idea di universo, potrebbe essere isolata e lontana da discussioni. Naturalmente la “r” di “vorrei” è scempia essendo intervocalica e il verbo “andare” in romanesco diventa “annà” forma apocopata e con l’assimilazione progressiva ND – NN.

 

“Je le imparano tutte”- Partiamo da un dettaglio: a Roma e in tanti posti prevalentemente del centro-sud, il concetto “Io insegno e tu impari” è talvolta ancora nebuloso. Ci sono tantissime persone che utilizzano il verbo imparare al posto di insegnare, il problema è che spesso si sente anche in ambito giovanile, diversi miei amici o conoscenti si sono macchiati (e lo fanno tuttora) di questo obbrobrio semantico e logico. Mia nonna ha qualche giustificazione in più rispetto ai miei coetanei e usa imparare nella doppia valenza. Nel caso specifico la frase è rivolta a mio cugino di sette anni che rendendosi autore di gesti inconsulti (altro che marachelle) è il bersaglio delle sue ire (spesso condivisibili), anche se poi mia nonna rigira le responsabilità a chi insegna (“impara”) certe cose al bambino.

 

“Ah guardà Matté, io non vojo dì più niente” – Questa fa il paio con la sua volontà di fuggire sulla Luna. Siamo sempre nel campo delle polemiche e mia nonna si estrae volutamente dal discorso annunciando il suo personale silenzio stampa per evitare ulteriori polveroni. Gesto chiaro e intento a spegnere gli animi. Naturalmente “voglio” diventa “vojo” per effetto della palatalizzazione di “gli” in “jj” con tanto di scempiamento in “j”.

 

“E mi cojoni” – Una delle mie preferite. In questa espressione tipicamente romanesca, e quindi profondamente del popolo, c’è tutto. Spiegarla non è facile, è parente del più trasversale “E sti cazzi” (nel senso non me ne frega niente), e una sfumatura volgare del più banale “Alla faccia!”. Può intendere sorpresa e stupore, ma in base al contesto può esprimere anche un pizzico di fastidio o la volontà di non essere coinvolti in qualcosa di non troppo conveniente per se stessi. Se dici a Roma “E me cojoni” con il tono giusto non sarai mai frainteso, mia nonna però a livello di pronuncia chiude inspiegabilmente la E in I rendendo a mio avviso l’espressione ancor più esilarante.

Ipse dixit: Alfredo

Stavolta non è come nel 2008, nel senso che quei mesi a Siviglia del nostro amico borghese ebbero un impatto diverso avendo un rapporto meno profondo e stretto, qui invece la storia è cambiata, sono trascorsi anni e la distanza e l’assenza pesano perché il legame è aumentato e allora, mentre è immerso nella faticosa avventura mondiale, concediamogli un meritato tributo con le sue frasi storiche che vengono tirate fuori ripetutamente, per non dire quotidianamente.

 

“Non se finisce mai…”: questa è un marchio di fabbrica, esclamata a fine giugno 2011 mentre con Fabi finivano di sistemare il grazioso appartamento al campus di Tor Vergata in vista di uno dei tanti traslochi. L’onere di essere uomo di mondo è anche questo: spostamenti, cambi, viaggi, pacchi e scatoloni. Lui con dei piatti in mano che si avvicina verso il divano guardando David con questa frase è una immagine storica.

 

“A Catto, ma che ne sai tu…”: siamo davanti ad un tormentone, forse l’ultimo vero tormentone. Frase rivolta al celebre velocipede fiuggino che ormai se la ripete da solo per quanto gli piace, il fatto che la usi come frase su WhatsApp certifica la passione di David per questa esclamazione, a dire il vero lui l’ha anche un po’ modificata e sviluppata con tanto di versione blasfema, rimane il fatto che non è una frase, ma una sentenza.

 

“Ma il Catto dorme con la vestaglia”: una delle mie preferite, preparando il Lettone, mentre armeggiava con un pupazzo ed un cappellino bianco del Real Madrid gli chiesi dove avrebbe dormito David e lui mi rispose spiegandomi il modo più che il posto. L’immagine del nostro amico sotto le coperte con la vestaglia per me è impareggiabile.

 

“Dai Catto, mi racconti un po’ di te, mi parli dei tuoi sogni, dei tuoi progetti”: altra frase cazzara, il bersaglio è sempre lui, evidentemente David lo ispira oltremodo. Siamo sulla piazza di Frascati, è fine luglio del 2010 e dopo una serata allegra passata in compagnia, mentre ci salutiamo, Alfredo abbraccia amichevolmente David e gli chiede di accompagnarlo alla macchina esortandolo a raccontargli qualcosa. Fantastica.

 

“Ma il Catto ha detto tutto ormai”: mano in tasca, l’altra (la destra) che volteggia a mezza altezza con le prima tre dita aperte, posizione stanca, postura discutibile e altra sentenza sul nostro amico, sempre in chiave ironica, certo, però l’obiettivo è lui. Su David non ci “crede” più tanto, lo reputa destinato al tramonto, questa frase lo certifica.

 

“Ma il Catto è pesante…”: questa fa il paio con la precedente, anche se cambia la posizione per dirla, mano sinistra in tasca, l’altra invece passata fra labbra e naso, inspirando, viene mostrato un falso e profondo scoramento, con un po’ di stanchezza, e poi giù ancora con l’ultimo giudizio che a volte si collega anche con un: “Sì, ma è trito ritrito”.

 

“Ma il Ciofi è un esaltato”: Napoli, gennaio scorso, ore 9 del mattino e io vengo bollato così perché non dormo mai e soprattutto perché “la volevo fare partire troppo presto” e di conseguenza vengo invitato a non insistere con un “Dai Mattè, dormiamo ancora un po’”.

 

“Ma la mela stanca”: altra frase celebre pronunciata ad ottobre del 2012. Cena a casa sua, dopo un pizza si comincia a parlare di succhi di frutta, dei gusti di ciascuno di noi e delle varie marche, ma lui, uomo di mondo, e dal palato fino, la chiude così prendendosela con il frutto più celebre nella sua versione green, per Alfredo la mela dopo un po’, come sapore, stanca.

 

“Catto sei terribile…”: Lettone, prime luci del mattino e mentre David si dimena inspiegabilmente, ecco un’altra storica frase, impareggiabile perché detta con il sonno addosso, la bocca impastata e soprattutto le braccia conserte. Un altro classico.

 

“Ma sta lì, con il braccio un po’ così…”: altro tormentone al quale deve essere aggiunto il gesto, quella specie di cigno fatto con il braccio con la dita raggruppate e il movimento del polso. Non è facile da spiegare ma chi sa ha capito. La frase indica chi non prende posizione o chi non si fomenta il giusto, chi tergiversa, cincischia e non si schiera. Ripresa da tutti, spesso vale solo il gesto senza le parole per quanto è ormai simbolica e identificativa.

Letters from Italy (and China)

Due mesi di Dublino, queste sono un po’ di frasi tratte da mail e messaggi che ho ricevuto. Un affetto costante, un supporto inarrestabile. Il modo per ringraziare queste persone e dare loro spazio direttamente.

“Tuttavia, nonostante la distanza, io ti ho sentito vicino, ti ho sentito coinvolto nella mia vita come sempre. Vuol dire molto.”  

 

“Nonostante le mille difficoltà, io so che non molli e non mollerai, che continuerai a fare il tuo lavoro con passione, professionalità e tenacia. Questo è il tuo sogno, è quello che più ti fa sentire realizzato e hai la fortuna di saperlo, di averne la certezza dentro. Devi combattere, questo lo sai, ma proprio per questo il tuo sogno vale.”

 

“Diciamo, senza retorica, che questo successo lo sento anche mio. Irrazionalmente mio. Hai scelto questo modo per finire sul giornale perché finalmente qualcuno s’è «preso il fastidio» di darti fiducia e farti scrivere. Sostanzialmente ci sei finito perché te lo meriti.”

 

“A Mattè riporta a casa la pelle.”

 

“Io sono felice che tu sia li, in parte sono felice anche delle difficolta’, perche`sono quelle il vero valore della tua esperienza, dovessi dire, a mio parere la piu`significativa che hai fatto da quando ti sei laureato… Continua cosi’, il destino ti ha riportato a Dublino e c`e`un perche`, sono sicuro che c`e`tanto che ti aspetta, non dimenticarti mai perche`ti piace fare quello che fai e non permettere mai a nessuno di disperdere l`entusiasmo, sono entusiasta io per quello che stai facendo non vedo perche` tu non debba esserlo dieci volte piu’ di me.”

 

“Domani sera se non devi andare a ballare zumba ci possiamo sentire su skype.”

 

“Mattè se dobbiamo crepare facciamolo insieme. Almeno spariamo le ultime due cazzate prima di esalare.”

 

“So stati momenti e fasi storiche della nostra adolescenza, un tesoro inestimabile da conservare gelosamente.”

 

“Credimi. Sembri te stesso. E questo è quello che conta.”

 

“Volevo comunicarle che la decisione della nostra Casa editrice in merito
alla pubblicazione della sua opera in oggetto è risultata positiva.”

 

“Sono davvero molto orgogliosa di te e contenta per l’esperienza che stai avendo modo di fare! Sei stato coraggioso, come sempre, e ti ammiro molto per questo!”

 

“Peo! Come osi definirti normale? Tu non lo sei affatto!” 

 

“Ps: oggi è il compleanno di Saretta. Quando 5 anni fa ci vestivamo da moschettieri era un altro franchismo. Wèèèèèè Athos!”