Il Muro di Berlino e Karol Wojtyła

Cinque anni fa, il 9 novembre del 2014, affacciato dalla finestra del Palazzo Apostolico per il consueto Angelus domenicale, Papa Francesco ricordava il 25esimo anniversario dalla caduta del Muro di Berlino sottolineando il ruolo fondamentale di San Giovanni Paolo II.

“La caduta avvenne all’improvviso, ma fu resa possibile dal lungo e faticoso impegno di tante persone che per questo hanno lottato, pregato e sofferto, alcuni fino al sacrificio della vita. Tra questi, un ruolo di protagonista ha avuto il santo Papa Giovanni Paolo II. Preghiamo perché, con l’aiuto del Signore e la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, si diffonda sempre più una cultura dell’incontro, capace di far cadere tutti i muri che ancora dividono il mondo, e non accada più che persone innocenti siano perseguitate e perfino uccise a causa del loro credo e della loro religione. Dove c’è un muro, c’è chiusura di cuore. Servono ponti, non muri!”

Sono passati cinque anni e Berlino si appresta a celebrare il 30esimo anniversario dalla caduta del Muro avvenuta un giovedì sera, una notte nella quale a tutto il mondo fu evidente come la gente avesse perso la paura. Questo il pensiero di Navarro-Valls, a lungo direttore della Sala Stampa della Santa Sede e portavoce di Karol Wojtyła.

Non era sorpreso il pontefice di quello che stava succedendo, era in fondo il compimento di un processo che durava da dieci anni.

Solo 22 giorni più tardi infatti, Papa Giovanni Paolo II ricevette Mikhail Gorbaciov in Vaticano, un incontro nato in realtà un anno prima, quando fu il Cardinal Casaroli a consegnare al presidente sovietico una lettera personale da parte del pontefice.

“Dite al Papa di Roma che andrò a trovarlo”. Questa fu la risposta di Gorbaciov il quale presentò come “Più alta autorità morale della Terra” ma anche come “slavo” il pontefice alla moglie, secondo i racconti su quell’incontro di Navarro-Valls.

Il muro crolla proprio il giorno della dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale del Papa, vescovo di Roma. Due anni più tardi, la bandiera rossa viene ammainata il 25 dicembre 1991 dal Cremlino.

Date e momenti che segnano la storia, rendendo alcune giornate semplicemente periodizzanti.

Qualche anno dopo, in un libro-intervista con Vittorio Messori, intitolato «Varcare la soglia della speranza», il pontefice affermava:

“Il comunismo come sistema è, in un certo senso, caduto da solo. È caduto in conseguenza dei propri errori e abusi. Ha dimostrato di essere una medicina più pericolosa e, all’atto pratico, più dannosa della malattia stessa. Non ha attuato una vera riforma sociale, anche se era diventato in tutto il mondo una potente minaccia e una sfida. Ma è caduto da solo, per la propria immanente debolezza”.

Sono passati 30 anni da quella notte, da quando quei 155 chilometri di cemento armato che dividevano una città e per estensione il mondo, furono assaltati. Trent’anni in cui l’Europa ha vissuto diverse fasi: si è interrogata su se stessa, ha adottato una moneta unica, ha scelto e ha lasciato scegliere. Trent’anni che hanno dimostrato una verità innegabile che ci è stata consegnata da quel giovedì sera di inizio novembre: “non sempre le grandi tragedie umane si risolvono con la violenza, perché si possono risolvere con le idee che riempiono di senso la vita delle persone”.

Pensieri e parole di Navarro-Valls, l’uomo più vicino al principale protagonista della caduta del Muro.

“E poi…Berlino!”

E pensare che a Berlino nemmeno dovevamo andarci. Saltata la tanto agognata Lisbona, la capitale tedesca è diventata la soluzione di ripiego che invece si è rivelata perfetta in tutto: città, storia, clima, prezzi.

Il quinto viaggio europeo con il Catto è stato forse il migliore, e seguendo il filone di Sofia ossia “zero filtri”, ci siamo divertiti immensamente.

Berlino è una capitale atipica perché è moderna come teoricamente una capitale non può essere fino in fondo. La storia recente e travagliata di questa città cambia però del tutto la prospettiva.

Un posto distrutto 70 anni fa è stato ricostruito in un modo diverso e quindi pensando al cittadino: grandi spazi, tanto verde, strade enormi, mezzi e collegamenti iper-sviluppati, un esempio di rara efficienza. Anche per questo ho apprezzato Berlino e concordo con tutti coloro i quali me ne avevano parlato bene.

Due cose metto al di sopra di tutto, uber alles come direbbero loro, il museo della DDR e gli spazi lungo lo Sprea, il fiume cittadino.

La verità è che anche qui ci siamo ritrovati a invidiare tante cose agli altri, cose apparentemente sciocche ma che proprio per questo ti domandi come sia possibile che noi non riusciamo a farle. Di certo, entrambi abbiamo avuto la netta sensazione che Berlino sia una città in cui ci si potrebbe vivere in modo più che decente.

Queste però sono storie che fanno parte del viaggio, riflessioni e considerazioni lucide, niente a che vedere con “Pierluigi Pardo” che ha viaggiato con noi, i classici tormentoni, la quantità abnorme di km percorsi, le birre in riva allo Sprea (che è anche anagramma del cognome del Catto), la signora che cerca di ammazzarsi in bici, la gratuità di certe frasi, i versi, le cazzate, le centinaia di cazzate aggiungerei, le colazioni, la “demasiada harina”, gli anacardi, “e poi” (cit.) Charlottenburg, gli errori nel finale per andare in aeroporto, gli italiani ovunque, talmente presenti in ogni angolo che a un punto li abbiamo detestati.

Berlino ci ha riportati indietro nel tempo. Più di otto anni fa partivamo per la nostra prima tappa europea con destinazione Atene, anche se doveva essere Istanbul, quasi un decennio dopo siamo ancora lì, schierati, a guardia del fomento.

E guai a chi ce lo tocca.

Ci vediamo a Lisbona, Catto.

Prima o poi.

“Chiudete la valigie, si va a Berlino…Catto!”

L’unico antidoto per superare la puntuale malinconia che accompagna la fine del mondiale, e ancor di più l’atto conclusivo, è quello di aver qualcosa da fare il giorno dopo. Ma qualcosa di stimolante, un brivido, magari un viaggio.

In modo del tutto involontario, sarà proprio questa la soluzione che mitigherà in qualche modo la tristezza per la fine di questo splendido mondiale russo, un viaggio a poche ore dal fischio finale della gara di Mosca.

Ancora una volta, io e David, il nostro amato velocipede fiuggino, saremo in pista per un altro giro europeo che allunga la nostra tradizione.

Nell’anno del mondiale, torniamo in una città mondiale, quella che 12 anni fa aveva il cielo azzurro. Domani sarà la volta di Berlino.

In un certo senso, questo viaggio chiude un cerchio e vede compiersi la sublimazione della famosa frase “Chiudete le valigie si va a …” tormentone che dal 2007 utilizzo prima di ogni partenza e che poi è stato in qualche modo ripreso dai miei amici e conoscenti.

Ovviamente la frase nasce proprio in quel felice mondiale tedesco del 2006 e fu coniata dal telecronista di Sky, Fabio Caressa. Non tutti sanno però che questo marchio di fabbrica nasce per caso, poco prima di Italia – Repubblica Ceca.

È il 22 giugno quando gli Azzurri affrontano Nedved e compagni nella terza partita del girone. L’Italia deve vincere per essere al sicuro da eventuali sorprese, con un successo è prima nel girone, io invece ho appena consegnato la mia seconda prova di maturità. Azione oltretutto espletata anche con una certa fretta, proprio perché alle 16.30 ho appuntamento con Paolo e Chicco per raggiungere Piero a Casal Quintiliani. Quella è la location dove vedremo questa sfida decisiva.

A qualche migliaio di km intanto, e poco prima, Fabio Caressa sta preparando i bagagli per andare al FIFA WM-Stadion di Hannover. Mentre è in camera, lo chiama un suo collega di Sky che gli chiede se è pronto. Prima di chiudere la conversazione gli domanda: “Fabio hai chiuso la valigia? E allora dai, andiamo ad Amburgo”. Caressa si ferma qualche secondo e si annota mentalmente la frase, ma soprattutto si rende conto che da quella partita in poi, con le sfide ad eliminazione in arrivo, ogni volta si saprà la prossima città in cui si andrà a giocare.

La frase lo stuzzica e qualche ora dopo la tira fuori. L’Italia vince 2-0 con gol di Materazzi e Inzaghi, vola agli ottavi e Caressa chiude la telecronaca con un “Chiudete le valigie, si va  Kaiserslautern”.

E già, lì gli azzurri affronteranno l’Australia, prima tappa del lungo viaggio verso Berlino, destinazione che sarà raggiunta passando ancora per Amburgo e Dortmund, ma sempre con il buon Fabio a scandire il tormentone al termine di ogni successo e con lo sguardo rivolto alla prossima partita.

“Chiudete le valigie, andiamo a Berlino Beppe!” è semplicemente il punto esclamativo della storia. Arriva infatti al termine di una gara epica contro la Germania e nell’esaltazione totale di tutti noi Caressa si lascia andare. Quella frase diventerà ufficialmente un marchio della coppa del mondo vinta nel 2006.

Tutto questo per dirvi che finalmente c’è modo di prendere un nuovo aereo e di scoprire un altro posto, ma soprattutto una nuova esperienza con il Catto che come sempre vale il prezzo del biglietto ogni volta.

E quindi, oggi più che mai, dopo Atene, Madrid, Stoccolma, Sofia e Toronto, “Chiudete la valigie, si va a Berlino…Catto!”

1 luglio

C’è indubbiamente una notevole circolarità in molte cose che mi capitano nella vita e non perché il fattore routine pesi più di tanto, credo sia proprio un discorso di caso. Oggi è Canada Day, festa in tutto il paese e come lo scorso anno ha piovuto e poi il cielo si è riaperto. Come lo scorso anno non ho fatto nulla di particolare e come lo scorso anno nel pomeriggio sono andato a correre. Una differenza sostanziale però c’è, 12 mesi fa infatti passai a chiedere informazioni nel condominio in cui vivo attualmente per cercare casa.

Sapevo che 11 giorni dopo sarei dovuto tornare a Roma, ma ero altrettanto consapevole che il 28 ottobre sarei tornato qui e quindi, con un certo anticipo iniziai a cercare, ed il primo posto in cui andai fu quello in cui sto attualmente da diversi mesi.

Un Canada Day di venerdì regala un lungo weekend che per quanto mi riguarda ruota intorno solo ed esclusivamente alla partita di domani, quella di Bordeaux fra Italia e Germania. Tutto il resto, onestamente è solo cornice, condimento.

Lo scorso primo luglio sapevo che ne avrei vissuto un altro qui, era facilmente prevedibile, così come allo stesso tempo so bene che non sarò più qui fra altri 12 mesi, come in fondo è giusto che sia.

Stasera fuochi d’artificio in riva al lago, profumo di acqua e vento, bandiere esposte e quel discutibile senso di patriottismo che hanno i canadesi, anni luce lontano dal corrispondente americano, ma comunque ostentato in modo singolare.

Dieci fa invece sostenevo il mio orale di maturità e finivo i gli esami, era un sabato mattina. La sera prima ero stato con Simone a Piazza del Popolo con tanto di tricolore a celebrare il successo sull’Ucraina ai quarti e facevo avanti e indietro dagli archi di Porta Flaminia, fin quando alle 1.30 guardai l’orologio, il mio amico e dissi: “Aho, ma io fra un po’ di ore c’ho l’esame…”

Poi però, continuai a sbandierare felice, facendomi trascinare dal clima di quella meravigliosa estate in attesa della semifinale con la Germania.

Appunto, la Germania, parlavo di ripetizioni e circolarità, eccone un’altra…