Quello che non capite

Una delle cose che ricorderò del 2018 è la mia antipatia nei confronti della Juventus. Sembrerà strano, ma quest’anno ha coinciso con la sublimazione di un sentimento che non ho mai avuto nei confronti di questo club e in particolar modo dei suoi tifosi.

Non ho mai considerato la Juve il “nemico”, per me ci sono state sempre altre avversarie, tra cui il Milan e spesso, seppur a fasi alterne, la Roma. La Juve e i suoi sostenitori non li ho mai calcolati, non mi hanno mai infastidito.

Sarà perché la Juve vince sempre, sarà perché spesso ciò che fanno non interessa a molti considerando il modo in cui i loro successi sono valutati, resta il fatto che fino ad aprile il mio fastidio era sempre stato limitato, pur tifando contro di loro ad ogni occasione (finali di Champions comprese) come contro ogni altra italiana.

Dopo Calciopoli, spartiacque vero della rivalità fra Inter e Juve, ho sempre evitato di aver a che fare con loro, soprattutto dopo il loro ritorno in A (risate in sottofondo), più che altro per il loro approccio carico di rabbia, di livore, mai obiettivo e ancor di più privo di ogni considerazione sportiva su tutto.

Dallo scorso aprile, dopo il famoso Inter-Juve molto chiacchierato, il mio fastidio crescente è diventato molto più. Non li sopporto. Anzi, sono veramente insopportabili.

Il problema è Twitter, il dover leggere spesso ciò che dicono anche se non seguo nulla di riconducibile a loro. Sfortunatamente però, leggo i loro commenti altrove, sotto post di giornalisti, sugli account dell’Inter o su pagine di calcio generiche, e per quanto non mi piacciono le generalizzazioni, loro sono veramente tutti uguali o siamo a soglie che toccano il 99%.

Gente che dopo anni recita la parte delle vittime, insulti al secondo scambio, una arroganza vomitevole, ma soprattutto la loro proverbiale “grandiosità frustrata”.

Lo sbandierare 36 scudetti in barba a sentenze, il sentirsi forti con i piccoli e microscopici con i grandi – l’Europa docet – il malessere nel sapere che più vincono e più la gente non li considera ma non per invidia, ma perché giustamente si dà un valore più obiettivo ai loro fenomenali trionfi italiani.

Legend, Myth, slogan buttati là per celebrare imprese splendide che però, come il calcio ci insegna, vanno sempre riparametrate al valore della lega in cui giochi e al momento storico in cui avvengono.

A loro non interessa niente di nulla: per loro sono tutti invidiosi, cartonati, prescritti (il processo per doping e quella prescrizione per loro non vale ovviamente), piangina, cinesi, colerosi, napoletani. Tutti così, mentre fluttuano in un mondo loro, sempre più isolato dalla realtà, in cui si spalleggiano e fanno festa.

Come detto in precedenza, la razza peggiore è quella che si annida su Twitter, e con la quale a volte, pur non volendo, mi sono dovuto scontrare. Anche se parli di cose tue, ricordo il famoso Lazio – Inter di maggio o martedì scorso dopo il Tottenham, loro piombano e iniziano a sparare a raffica qualunque cosa. Un abominio. Una rottura di coglioni.

A volte, sempre educatamente, ho risposto, altre ho lasciato stare, altrimenti non se ne esce, come ad esempio lo scorso maggio.

Gente con la coda di paglia che si sente sempre tirata in causa, gente che vede il mondo solo in un modo, e se non va bene o se non è prostrato ai loro piedi, come sempre capita, va fuori di testa.

L’esempio più sciocco è quello di martedì sera. Vinciamo una partita in modo immeritato, sul finale, e con una discreta dose di fortuna dopo aver palesato ancor notevoli limiti e problemi, il commento di questa rimonta su Sky è di Trevisani e Adani che vanno oltre i toni normali e succede un casino.

Il gruppo di critici non è solo di juventini ovviamente, ma loro portano avanti la crociata perché i due hanno strillato troppo, perché non è serio, non è corretto, perché “Io pago l’abbonamento e non voglio questa faziosità”, insomma un sacco di balle.

Certo, fosse successo a loro sarebbe stato tutto regolare, dopo che sono due mesi che la stampa è andata oltre ogni limite di decenza nel parlare di CR7, acquisto pazzesco, certo, ma raccontato e storpiato in modo ridicolo.

Parlo da giornalista forse, ma ciò che non capisce la gente è che esistono momenti che vanno cavalcati: tormentoni e frasi come “L’ha (ri)presa Vecino!” che ha una sua chiara circolarità in questa storia e in quell’esultanza sopra le righe. Esistono attimi in cui si deve far passare anche l’emozione che ti circonda, perché parliamo di sport, di sensazioni e istanti.

Esiste anche l’effetto sorpresa, l’inimmaginabile, il clamore di una rimonta impensabile fino a dieci minuti prima, tutte cose che vanno sommate a una squadra che torna in Champions dopo sei anni e mezzo e nonostante una partita brutta vince in quel modo. Esiste tutto questo che va sommato e shakerato in pochi secondi di follia generale, in una situazione che da troppo tempo ci era mancata. Una esplosione di gioia rara, effimera molto probabilmente, ma pura e incontrollabile.

Perché forse dureranno poco, magari fino a dicembre, ma queste sono le nostre notti in una dimensione che ci regala ancora meravigliose memorie, quella dimensione, che pur forzando, non è casa di alcuni. E quindi, se non capite, non è colpa di Trevisani e nemmeno di Adani, tanto meno nostra.

Se non comprendete tante cose è un problema vostro, se dopo MYTH e 7 scudetti aggiunti a 4 coppe Italia vi brucia per una vittoria come quella dell’altra sera, avete seri problemi, come quello con la foto profilo di un cartello stradale che mi ha scritto senza essere chiamato in causa e che dopo esser stato ammutolito educatamente mi ha bloccato. Il brutto però, è che di pagliacci così ce ne sono troppi.

Ma ripeto, se avete dei problemi così grandi e palesi, fatevi vedere e non rompete i coglioni.

Amen.

(E ora commentate pure qua, arrivando come insulti almeno alla sesta generazione. Forza)

Cristiano Ronaldo alla Juventus

È stato un 10 luglio incredibile a livello calcistico. Un martedì di mezza estate che ha regalato emozioni a raffica. Una semifinale mondiale che ha visto la Francia agguantare il pass per l’atto conclusivo di Mosca, il Milan finire in mano al fondo Elliott definitivamente, Sarri andare al Chelsea e soprattutto Ronaldo alla Juve.

L’ultima è una notizia che scuote il mondo calcistico come nient’altro perché il trasferimento del campione per eccellenza vale più di tutto. Operazione incredibile per prezzi (meno mostruosi rispetto ad altri), per la rapidità in cui è stata formalizzata e perché siamo davanti a qualcosa di unico almeno in Italia.

Qualcuno ha provato a paragonare questo arrivo con lo sbarco di Maradona a Napoli (1984) e quello di Ronaldo all’Inter del luglio del 1997, ma questo trasferimento è diverso e più clamoroso. Ha più impatto.

I due precedenti colpi portarono qui due giocatori in ascesa, non i migliori del mondo per distacco con tanto di certificazioni. Entrambi giunsero da Barcellona, Maradona dopo due stagioni non esaltanti e con diversi infortuni, Ronaldo dopo una annata spaziale, che però i numeri degli ultimi anni di CR7, tanto per dire, hanno normalizzato.

Il portoghese infatti ha spostato oltremodo la linea di confine, ha esplorato territori nuovi per quanto riguarda record, numeri e statistiche. Si è spinto appunto dove nemmeno questi due campioni erano arrivati o sono mai passati.

Maradona e Ronaldo non arrivarono come tri-campioni d’Europa in carica, e nemmeno con una tale potenza nell’immaginario collettivo. Cristiano è il più forte, vincente e dominante calciatore ad essere stato acquistato da un club di Serie A.

C’è un punto che indubbiamente lo penalizza: arriva da noi a 33 anni suonati, mentre Maradona giunse a Napoli a 23 e Ronaldo ne avrebbe compiuti 21 due mesi dopo il saluto ai tifosi nerazzurri in Via Durini. Questo sicuramente conta, perché per il portoghese si apre comunque il finale di carriera, per gli altri due c’era invece veramente un libro intero da scrivere.

Detto ciò, vedremo l’impatto che avrà sulla Serie A, che tornerà ad avere un Campione, uno che da solo attira soldi, attenzione, share e pubblicità. Sarà ancor di più un campionato con una squadra solo al comando e le altre dietro a spartirsi i piazzamenti più o meno nobili.

Ci sarà curiosità per Ronaldo come ovvio che sia, ma poco dopo non penso che il campionato potrà riscuotere troppo successo altrove, una lega che da 7 anni è già stra-dominata dalla Juve la quale ha aggiunto pure la super-stella.

Certo, l’obiettivo sarà ancor di più la Champions, anche perché dopo aver preso Higuain per rivincere ciò che avevano conquistato con i vari Quagliarella, Matri, Bentdner, Tevez e via dicendo, sarebbe ridicolo investire cifre del genere e prendere il migliore per continuare a vincere senza avversari solo nel cortile di casa.

Vedremo quello che sarà, intanto la sceneggiata sul Milan made in China termina nel modo più scontato. E pensare che alcuni milanisti – molti aggiungerei – continuavano a reputare l’Uefa una banda di cattivoni concentrati solo nell’estrometterli dall’Europa quando Fassone non era in grado di dare mezza garanzia su piani di rientro e l’autenticità di questa proprietà vera o presunta.

In una estate in cui Sarri è finito al Chelsea con Conte a spasso, Wenger ha salutato dopo una vita l’Arsenal, Zidane ha lasciato il Real, la Spagna ha fatto fuori il proprio CT prima del Mondiale, Mancini ha preso in mano l’Italia, Ancelotti ha firmato per il Napoli e Ronaldo è passato alla Juve, possiamo stare sicuri che altro deve succedere.

Sarebbe bello capire cosa avranno pensato gli espertoni di mercato Di Marzio e Pedullà che hanno bucato la notizia su Ronaldo presa invece clamorosamente da Tuttosport, sì proprio loro, quelli che negli anni ne hanno dette talmente tante che il 30 giugno tutti si misero a ridere sulla loro prima pagina relativa al “flirt” fra la Juve e CR7.

In una splendida e attuale riproposizione della storiella “A lupo, a lupo!” il quotidiano meno credibile di Italia ha piazzato il colpo, Di Marzio e Pedullà ci continueranno a parlare invece che Scattamburlo ha firmato per la Puzzonese un biennale da 32 mila euro.

Bravi, bella figura.

La fine dell’esilio. Per me, per noi

Domenica sera è terminato il mio esilio dallo stadio e dall’Inter, così come quello di questa banda di pazzi che tornano in Champions dopo sei anni.

Era dicembre del 2012, un altro Lazio-Inter, e inconsapevolmente per l’ultima volta vedevo una partita della mia squadra dal vivo, in un sabato sera che ricordo ancora con grande desolazione. Sono passati cinque anni e mezzo da quella volta, più di sei invece dall’ultima nottata europea fra i grandi, datata 13 marzo 2012.

Mi ero laureato da due settimane e per una beffa del destino mi piazzarono il concerto di Noel Gallagher a Roma in concomitanza di Inter – O. Marsiglia ritorno degli ottavi. Vidi la partita rientrato a casa, senza sapere il risultato, una enorme delusione culminata con un gol sciocco e sfortunato preso ovviamente nel finale.

È passato tanto tempo da questi due eventi, ma finalmente domenica ho potuto ricongiungere i punti e rimettere tutto a posto. Io allo stadio, a vedere Lazio-Inter, e l’Inter nuovamente nell’Europa che conta.

È stata una di quelle serate che conosciamo bene, quelle che ci appartengono. Randomiche, insensate, fuori ogni logica, schizofreniche, palpitanti, travolgenti e inattese. Insomma, una serata da Inter che tradotto significa soavemente folle.

Ho di fondo vissuto solo gli ultimi 15 minuti, dal 2-2 in poi. Prima di quel momento, fra consapevolezza e oggettiva onestà intellettuale, non riuscivo a farmi coinvolgere più di tanto da una partita giocata male e non come avremmo dovuto e da un risultato quasi sempre in salita.

Nel finale però, tutto è cambiato. L’inerzia si è spostata completamente in pochi secondi: un gol, un rosso, e tutto ancora in gioco. Stavolta davvero.

È stato bello riassaporare certe emozioni, rivedere un settore ospiti stracolmo e di fondo allargato, considerando che c’erano interisti ovunque nel resto dello stadio. È stato emozionante tornare a soffrire, cantare e gioire. Vivere il recupero quasi con la convinzione – a causa di drammatiche esperienza passate – che qualche disastro potesse comunque succedere.

È stata una notte che ci ha riportati indietro nel tempo. Ma io sapevo che sarebbe stata una partita-romanzo come le altre due volte in cui avevamo acciuffato l’Europa che conta passando per il quarto posto. Chi ha buona memoria sa come nel 2000 e quattro anni dopo riuscimmo a centrare l’obiettivo fra atroci sofferenze.

Ma l’Inter è questa roba qua e solo chi c’è dentro può capire. Può sapere.

Tutto è sembrato esagerato, anche le celebrazioni, ma in questi 6 anni ne abbiamo viste di tutti i colori, sei anni che fanno parte del periodo meno vittorioso della nostra storia, un letargo emotivo e di successi che il prossimo anno toccherà l’ottavo anno.

È stata una liberazione. Una roba così. Non a caso, al fischio finale, avrò gridato senza pause almeno 30 volte “Siamo tornati a casa!” perché quella è la nostra dimensione, lo dice la storia, lo ribadisce l’albo d’oro.

Niente è come esserci, diceva lo slogan della campagna abbonamenti 2015-16 e nella sua semplicità questa frase dice praticamente tutto. Perché essere lì, al fianco della vetrata del settore ospiti, dopo anni, in una serata così, è un qualcosa di inesplicabile in fondo.

È finito l’esilio per me e per noi. Siamo tornati a casa.

P.S. Ah dimenticavo, buon 22 maggio a tutti. Il nostro sogno, la loro ossessione.

“Ma c’è il contrattacco di Milito…”

Dieci anni di Blog

Come e dove mi immaginavo dieci anni fa? È stata questa la domanda che mi sono posto più volte nell’ultima settimana pensando a questo post da scrivere, unico e speciale, un pezzo che mai avrei immaginato di arrivare a comporre dieci anni fa.

Oggi, questo blog, raggiunge il suo decennio di vita e passa a contare gli anni in doppia cifra ed in qualche modo è un piccolo traguardo fondato soprattutto sul piacere di scrivere e sulla costanza di non lasciare mai le cose a metà, o appena svanito l’effetto novità.

Dieci anni di vita, quando ne hai appena 30, sono moltissimi. Un terzo del percorso, indubbiamente la porzione più importante, quella in cui passi dall’essere ragazzo a giovane adulto. L’epoca in cui finisci di studiare e ti immetti nel mondo lavorativo, gli anni in cui inizi a vivere diversamente, in maniera indipendente e a capire in fondo, un po’ più della vita.

Un blog nato un sabato sera di metà novembre, per caso, nel senso che non stavo progettando questa idea editoriale, ma rimasi attratto da una pagina su Virgilio.it, iniziai a leggere e di impulso, con pochissimi passaggi, aprii questo indirizzo.

Il primo post fu quello su Gabriele Sandri, ucciso pochi giorni prima e fatto di cronaca che stava riempiendo tv e giornali. Da quella sera a oggi, ci sono stati 1214 post. Un numero notevole sicuramente, anche perché una delle sfide che impone un blog è quella di tenerlo aggiornato in maniera costante.

Negli anni questo indirizzo è sempre rimasto uno spazio personale, una bacheca in cui raccontare fatti, eventi e sensazioni che al 99% della comunità di internet non potevano certamente interessare. Ho sempre raccontato tutto in modo onesto, con qualche filtro certo, ma senza troppi sbarramenti. Un blog che è sempre stato un angolo terapeutico, talvolta uno “sfogatoio”, spesso uno strumento con cui riordinare pensieri e idee o magari tracciare bilanci. Negli anni, come era immaginabile, è diventato una banca dati preziosa, un luogo dove poter ricollegare fili e racconti, un serbatoio di date e appunti storici.

Ha cambiato pelle, colori, titoli e headers. Qualche volta l’ho dovuto mettere a tacere rendendolo privato per evitare fastidi, ha avuto anche l’onore di essere terreno fertile per stalkers e disperati, che cercavano chissà cosa per punire una brava ragazza, colpevole solo di essere innamorata.

È stato un blog di servizio nel senso che mi ha permesso di aiutare uno studente a scrivere la sua tesi su Hillsborough. Si è trasformato in mezzo di contatto con la “Rossocrociata” nell’agosto del 2013 quando attraverso il form sul lato destro, lei fu in grado di scrivermi e di innescare un meccanismo assurdo che se riletto a ritroso ha cambiato davvero gli anni successivi.

Un blog pieno di riflessioni, di Inter, di università, di viaggi e di tante belle cose, anzi, di tante grandi emozioni.

Molti sono stati i personaggi menzionati in questi anni, e senza di loro ci sarebbero stati molti meno post, ma soprattutto tante risate in meno nell’ultimo decennio.

Se mi avessero chiesto dove mi sarei immaginato oggi, quella sera del 17 novembre 2007, avrei detto sicuramente all’estero. La verità è che in fondo ho fatto in tempo a partire e tornare, a vivere in due paesi e in due continenti diversi, a vedere un bel po’ di mondo là fuori e quindi oggi non posso essere triste se questo post lo scrivo esattamente, anche un po’ per caso, dalla stessa camera di un decennio fa.

Dieci anni appunto, una decade che si può suddividere facilmente in: 2007-2012 università, 2013 In & Out con Dublino, 2014 anno di transizione a Roma e 2015 – oggi Toronto, al di là che sia tornato esattamente 4 mesi fa, per essere precisi anche con numeri e ricorrenze.

Queste sono state le fasi, cariche ovviamente di tantissime altre sotto-categorie, di pensieri, ricordi, idee e certezze. Sì, perché ancora oggi penso molte cose di quel tempo, ma so anche che non ne condividerei tante altre con il me stesso di dieci anni fa, ed ovviamente è tutto normale e corretto.

Si mi avessero raccontato questi ultimi 120 mesi quella sera del 2007, avrei chiesto di firmare un contratto per accettare tutto il pacchetto, forse avrei anche pagato. Di certo non avrei creduto a tanta grazie del destino, mi sarei accontentato di molto meno e più passa il tempo e più so di essere fortunato.

Una persona privilegiata che non può far altro che ringraziare Dio, il Destino, il Fato, la Vita o chi per loro per quanto ha avuto.

Sono stati dieci anni pieni, anche se in parecchie occasioni ho pensato l’opposto. Un decennio di grandi soddisfazioni. Tutto quello che volevo fare l’ho fatto, tutto ciò che desideravo è avvenuto, è dura aver qualcosa da ridire, sarebbe semplicemente ingiusto.

Volevo fare il giornalista, viaggiare, vivere all’estero, in Europa e in Nord America, sognavo di vedere l’Inter rivincere uno scudetto e ho visto questa squadra conquistare tutto il possibile, sono stato bene in salute e non ho dovuto piangere nessun familiare, se non in un caso.

Mi sono divertito, ho respirato un sacco di sensazioni, incontrato centinaia di persone, ho avuto qualche valido maestro, mi sono disperato e emozionato: ho vissuto.

Alla fine, so che non c’è veramente nulla che non rifarei e questa è la considerazione più importante.

Fatico a immaginarmi fra dieci anni, quando ne avrò 40, avrei avuto meno difficoltà nel 2007 a pensarmi trentenne, di certo so che se nella prossima decade riuscirò a fare la metà di quello che desideravo in questa appena archiviata, sarà stato un altro enorme successo.

È stato un lungo viaggio, meraviglioso, ricco di brividi ed è giusto che prosegua anche perché nuove storie sono in arrivo, una casa in cui vivere nel cuore di Roma come ulteriore capitolo ed uno splendido ricongiungimento che dista ormai meno di 70 giorni.

Che dire, una storia di dieci anni termina, ma al tempo stesso prosegue in altro capitolo: la penna intanto, per inaugurare una nuova pagina è già qui, affianco a me, e questo basta e avanza per essere contenti.

“Sì vabbé, ma c’è un post al quale sei più legato?”

“Sì, in fondo sì. Questo qua”.

Questo invece il tema, l’header, del primissimo blog.

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