Non c’è più nulla di tutto ciò

Nemmeno lo so come Twitter mi abbia portato su quel nome, di certo in passato mi era successo di averlo cercato su Google.

Eppure, ieri sera, ci sono rimasto male, anche proprio per come ho appreso la notizia.

Tra i nomi che ho cliccato recentemente su Twitter, c’era anche quello di Luca Svizzeretto, avevo visto il suo profilo giorni fa e poi ieri, nella sua time-line alcuni tweet sulle partite di campionato, ieri ad esempio, l’ultima in ordine di tempo, quella da poco finita all’Olimpico.

Non so il motivo preciso, ma a un punto, ho digitato lo stesso nome su Google ed il primo risultato era un articolo di Repubblica che recitava “E’ morto Luca Svizzeretto, il giornalista non aveva nemmeno 38 anni”.

Ovviamente la notizia mi ha spiazzato e al tempo stesso mi ha confuso considerando il suo account Twitter particolarmente aggiornato, scorrendo i risultati di Google però, ho potuto constatare solo che la notizia della sua scomparsa era drammaticamente vera.

Con due anni e mezzo di ritardo ho appresso questa notizia e ho cercato di approfondirla in altri articoli, come il motivo del decesso, il morbo di Crohn.

Oltre all’amara sorpresa, una sensazione mescolata all’iniziale disorientamento per il profilo ancora attivo, ho percepito una grande tristezza, conseguenza più che altro di una forte malinconia.

Luca Svizzeretto è stato protagonista di un segmento ben preciso della mia vita: la stagione 2001-02. Il mio primo anno di liceo, ma anche il campionato che si concluse con il drammatico 5 maggio.

Con mio padre da un anno avevano iniziato infatti ad ascoltare Nuova Spazio Radio, emittente sugli 88.150 che parlava molto di calcio. Tornando da casa di mia nonna, in quei 45 minuti di percorso, la radio ci teneva compagnia, irradiando nella Regata quel modo tutto romano di parlare di calcio.

La radio iniziò ad ampliare il proprio palinsesto aggiungendo nuove trasmissioni: stesso format ma non solo Roma e Lazio, furono inseriti spazi anche per Napoli, Juve, Torino e Inter.

La trasmissione a tinte nerazzurre era condotta dalle 20 alle 21 da Luca Svizzeretto, giovane apprendista giornalista 24enne che insieme a Massimo Vinci parlava di Inter.

Il programma radiofonico divenne presto un punto di riferimento per me, sia perché era una novità in tutti i sensi e sia perché la squadra guidata da Hector Cuper, partita dopo partita, sembrava effettivamente essere competitiva ed in grado di regalarci un sogno.

La trasmissione ebbe un successo quasi immediato raccogliendo un numero di spettatori importante, ad aprile organizzò una serata speciale, con tanto di cena al ristorante “La Perla” a Castel Gandolfo. In maniera un po’ imprevista decidemmo di andare con mio padre e trascorremmo una serata particolare ma indubbiamente piacevole, incontrando un numero sconsiderato di interisti romani, fra cui il fioraio di Via Tiburtina vicino al Mcdonalds.

Quella serata fu l’occasione per dare finalmente un volto ai conduttori, ma soprattutto all’indomito Luca Svizzeretto: piccolino, con una giacca un po’ troppo larga di spalle color beige e con una voce un po’ stridula ma assolutamente riconoscibile.

La serata a base di pesce scivolò via rapidamente, il giorno dopo, sabato mattina, presi 5.5 all’interrogazione di latino alla lavagna con la Fares. Camminando dalla lavagna al banco mi tornò in mente la frase della sera prima, di un interista che aveva una gelateria a Piazzale Re di Roma il quale mi consigliò allegramente: “Se stasera fai tardi e domani ti succede qualcosa a scuola, tu dì che sei stato a cena co’ Svizzeretto, che te frega…”

La frase mi strappò un sorriso in quel momento, un pochino meno dopo aver incassato il 5.5 che di fatto complicava il mio percorso per non prendere l’insufficienza a latino a fine anno.

Quel mese di aprile fu un lungo prologo fino al 5 maggio e fra beffe e partite emotivamente lancinanti (Atalanta, Brescia, Chievo e Piacenza) fu un periodo vissuto ancor di più attaccato alla radio con il buon Svizzeretto.

La sofferenza condivisa sentendo altre persone parlare in radio alleggeriva la mia angoscia per quel titolo vicino, possibile, ma per niente scontato.

Arrivò poi il 5 maggio, lo scudetto fu gettato e per alcuni giorni non fui in grado di ascoltare la radio. Passato lo choc, ricominciai, ma non fu più lo stesso, non ci fu più, almeno da parte mia, quella stessa sintonia emotiva ed il mio periodo agganciato a Spazio Inter svanì lentamente.

Leggendo ieri alcuni articoli, ho trovato anche un po’ di racconti di amici e persone, tra cui un conoscente che raccontava come durante la sera di Madrid Svizzeretto era ricoverato in ospedale e festeggiò fra le corsie quel successo.

È stata una notizia triste che mi ha riportato indietro nel tempo, a un tempo andato veramente.

Praticamente una vita fa, quando c’era Svizzeretto, mio padre e l’Inter che giocava per lo scudetto, a pensarci oggi fa davvero effetto perché non c’è più nulla di tutto ciò.

Elena

Qualche giorno fa, leggendo un’intervista rilasciata da Marcello Lippi ad un giornale, mi è ritornato in mente un fatto, una cosa che penso di non aver mai raccontato a nessuno.

I Mondiali del 2006 l’Italia li vinse per merito mio, di Elena e del Padreterno.

Per spiegare questa frase piuttosto ad effetto devo tornare indietro di qualche anno, esattamente ad aprile 2006. Sono gli ultimi mesi di scuola prima della maturità ed un pomeriggio, dopo pranzo, torno al Plinio per una conferenza alla quale siamo obbligati a presenziare. Mentre salgo la lunga scalinata che dall’ingresso porta alle aule del primo piano mi ritrovo dietro ad una ragazza.

Mi ritrovo in realtà a salire con il suo fondoschiena davanti, a un metro dagli occhi, avendo un ritardo di due gradini da lei.

Rapito dalle sue forme, rispondo ironicamente a Giulio che parla di altro, lei si gira, mi sorride, scambio di sguardi e scintillona che scocca, almeno per me. La ragazza in questione si chiama Elena, fa il terzo e ha quindi 17 anni, due in meno del sottoscritto. Da quel pomeriggio in poi mi porto questa ragazza in testa, e ad ogni ricreazione e a ogni possibile incrocio i nostri sguardi entrano in contatto e non solo per la mia volontà. Ai primi di giugno (ora tutti penserete: “Ma hai fatto passare un mese e mezzo? Che aspettavi?” ricordatevi sempre che sono uno dei fondatori della Società Fabiana…) mi butto. Attraverso amicizie in comune, se così si può dire, mi faccio avanti e l’impatto non è dei migliori, almeno, questo è quello che penso.

Pochi giorni prima della fine della scuola, senza motivi particolari, mentre rincaso da via Tiburtina decido di fermarmi in chiesa. Non prego, non mi affido al Signore, non voglio protezioni per la maturità. Vado a parlare con l’Altissimo così, per fare due chiacchiere e già che ci sono sposto il discorso su Elena. Al Signore chiedo lei. Non mi interessa del diploma, del voto, di queste cose, voglio Elena della 3°A.

Prima di alzarmi dalla panca, la mia follia mi porta a pensare al Mondiale alle porte, e, non so per quale maldestro collegamento, mi fermo e rilancio l’offerta: “Se però Elena non riuscissi a portarmela, fammi vincere il Mondiale”. Esco soddisfatto e non racconto a nessuno il mio dialogo con Dio. Un paio di settimane più tardi, vado con i miei compagni di classe ad una festa vicino a Tivoli ed Elena mi rifiuta, non si può fare nulla. Apre quindi la maledizione femminile che mi porto ancora appresso e che inaugurò due estati prima Milena.

Triste per il NO secco e deciso, entro in una voragine di tristezza. Sostengo nel frattempo le prime tre prove e poi mi gusto Italia-Australia. Quando Grosso cade in area e l’arbitro indica il rigore, mi viene in mente Elena, e ripenso al “patto” con il Signore. Totti la butta dentro e comincio a pensare al mio scambio, all’altare sacrificale sul quale ho messo in qualche modo Elena.

Il resto è storia: a Berlino diventiamo campioni del mondo domenica 9 luglio e rientrando a casa quando le 3 sono trascorse da un po’ passo davanti la chiesa. Penso al mio discorso fatto un mese prima, a Elena, al patto, e al regalo che mi ha fatto il Padreterno e mi rendo conto che, dopo aver vissuto quel genere di emozioni, è stato meglio così.

Un punto d’incontro

Stesso posto, stessa situazione, ma diversi gli interpreti. Ieri sera è stato il turno dell’uscita con Vincenzo e Christian, un appuntamento stabilito e deciso già due settimane fa al quale abbiamo tenuto fede e questo ci ha permesso di trascorrere una bella serata insieme, dopo non so quanto tempo. L’intenzione di andare da Avalon nei pressi di San Giovanni è stata annullata dall’impossibilità di trovare un parcheggio nelle vicinanze, ovvero nel raggio di un paio di km, così abbiamo virato sul Devil’s Kiss, ma anche lì abbiamo dovuto abbandonare l’idea per la mancanza di un posto auto. A quel punto, dopo essermi reso conto che uscire a Roma è impossibile anche in mezzo alla settimana, abbiamo ripiegato sul Vecchio Franklin nei pressi della stazione Tiburtina, luogo in cui eravamo certi che avremmo trovato finalmente il parcheggio. Il nostro vagabondare è terminato e siamo entrati in un pub che a me non è certo indifferente per tanti motivi, ma in particolare per uno: è il ritrovo mio, di Antonio e David. È un posto che è divenuto il nostro luogo di incontro, siamo andati diverse volte lì, trascorrendo delle belle serate, che però nell’ultimo anno e mezzo non avuto più seguito. La frase con cui ho iniziato il post è quindi spiegata: ieri ho vissuto una serata molto simile a quelle passate con Antonio e David perché di fondo, mi sono incontrato con i miei vecchi, cari e più fidati amici del liceo e non solo. Vincenzo e Christian sono i corrispettivi perfetti di Antonio e David ai tempi delle superiori, e loro due in questi anni di università sono stati i due degni sostituti dei primi, ai quali mi lega un’amicizia che dura addirittura dalle medie. Penso che nessuno possa sostituire qualcuno nella vita, ma ci sono spesso delle situazioni e delle persone che ricoprono dei ruoli e delle posizioni molto simili. Se Antonio e David sono stati i perfetti compagni di viaggio dell’università, lo stesso posso dire di Vincenzo e Christian, basta solo spostare il riferimento cronologico di qualche anno indietro. Sono stato certamente fortunato ad avere incontrato persone del genere, ragazzi con i quali ho trascorso tanti momenti e ai quali mi legano molti bei ricordi, per questo ieri sono stato felice di aver passato una serata del genere. A volte ti rendi conto che anche se la frequentazione non è così assidua, perché non può più esserlo, certi rapporti cimentati nel tempo riescono ad andare avanti e si parla e ci si confronta come se ci si fosse visti la sera prima o la mattina a scuola. Mi ha fatto quindi immensamente piacere rivederli e ritrovarmi in un luogo certamente non banale per me e per quello che significa, un punto di incontro bizzarro, simbolo di rapporti simili che viaggiano dentro al tempo.