La mia personalissima opinione

 

In realtà penso che il limite della vergogna, del degrado e dello scandalo sia stato superato già da un pezzo. Per questo provo fastidio ma non stupore nel leggere i racconti relativi alla storia delle due baby squillo romane. Non è una novità, e sono certo che molti dettagli raccapriccianti debbano ancora emergere, ma resto convinto che in fondo sia lo specchio del paese, del giorno d’oggi con dei contorni quasi globali. Ci si vende per niente, si mette il proprio corpo “all’asta” per una manciata di euro, per una ricarica del cellulare o per avere un gruzzolo tale da accaparrarsi l’ultima borsa firmata. Si vive in funzione di quello, dell’apparire e del mostrarsi. Conta il risultato, non la strada con cui si è ottenuto per quanto questa possa essere sporca e putrida.

E’ questa l’immagine della società di oggi, tutta plastica e soldi, dove il sesso la fa da padrone e la droga ne è fedele compagna. E così risulta difficile indignarsi per certe storie, al massimo prevale il senso di profonda tristezza quando si scopre che la madre di una delle due ragazzine sapeva tutto e istigava la figlia a lavorare per portare a casa dei soldi utili per tirare avanti. 

Quello che però non bisogna sottovalutare e che le baby squillo erano coscienti del gioco in cui erano finite, ne erano consapevoli così come quando usavano droga e si toglievano lo sfizio dei jeans da 150 euro. E’ l’epilogo di una società marcia, in cui il concetto di valore si è perso, in cui la cultura, la curiosità e l’arte sono state soppiantate da smartphone, incontri virtuali e desolazione.

Siamo arrivati a questo punto e la biglia che rotola sul piano inclinato inevitabilmente proseguirà la sua marcia. Agli incontri hot dei Parioli si può collegare anche il fatto di Paolini. Il famoso disturbatore tv è stato arrestato per pedo-pornografia, per aver abusato di ragazzini con l’intento di pubblicare e mostrare quanto fatto successivamente. E’ finita male per questo tristissimo personaggio con evidenti problemi mentali. Anche qui però, rientra il concetto ripetuto prima: le vittime sapevano e ne parlavano con i propri coetanei. I rapporti omosessuali che vivevano con Paolini procuravano loro soldi, denaro valido per comprarsi il necessario. Ancora una volta ritorna il punto precedente: l’avere, il gusto del possesso e del permettersi un qualcosa che altrimenti sarebbe proibito.

 

Ormai si vive per quello, la politica, il mondo dello spettacolo, lo sport, tutto ci indirizza nel pensare che contano i soldi, l’apparire, l’ostentare, il poter comprare.

Questo è il culto con il quale siamo stati imboccati negli ultimi anni, e qualcuno inizia a crederci, soprattutto quando sei giovane e smarrirsi è facilissimo. Il messaggio che continua a passare è questo ormai: se hai i soldi e la bella macchina avrai più chance, la bella ragazza verrà con te, la tua compagna di classe avrà un occhio di riguardo in più se sfoderi la scarpa all’ultimo grido. Se non frequenti serate del jet set non sei nessuno, se non vai al locale figo se un poveraccio sfigato, se è sabato sera e ti limiti a mangiare una pizza con un tuo amico sei una persona triste, se non ingerisci un ettolitro di qualunque mix alcolico non sei forte, se non hai avuto minimo 50 esperienze sessuali non puoi parlare, se non hai avuto rapporti con almeno due persone, un cane, una lepre e una bambola gonfiabile non sei emancipato.

Ecco, rifiuto tutto questo. Provo sdegno e ribrezzo ma non posso fare altro che assistere a questo scempio. Io resto fuori, fuori dal circo, ma non dal mondo. Mi tengo qualche valore, l’idea del sacrificio e del dovere, ma soprattutto del rispetto verso se stessi e ancora una volta del non essere schiavo di nulla. Ne dei soldi e nemmeno degli oggetti o degli stereotipi ridicoli che ormai ci hanno appioppato. 

Sta merda, tenetevela voi.

 

 

Prima di chiudere il post, un pensiero sulla vicenda Salernitana – Nocerina lo vorrei esprimere. E’ stata una farsa, una vergogna, tutto quello che volete ma in troppi si sono dimenticati di sottolineare e ricordare un fatto basilare. Si continua a mettere in secondo piano che ai tifosi della Nocerina è stato negato un diritto. Non gli è stato permesso di seguire la propria squadra in trasferta, anche a coloro i quali avevano la tanto famigerata Tessera del Tifoso (sono ben 6500 i supporters della Nocerina ad avere tale carta), quella che ti permette di non essere mai vittima di restrizioni. C’è gente che ha dovuto aderire a questo progetto ridicolo, a questa schedatura gratuita e che si è vista espropriare del proprio diritto di andare a vedere una partita senza motivi, senza spiegazioni. 

E’ normale e giusto tutto ciò? E’ civile? E’ democratico? La risposta è no. Appurato questo, poi possiamo condannare il resto.

 

Ho pontificato abbastanza, andate in pace.

 

Razzismo

 

Dopo aver assistito a Calderoli che quando pensa al Ministro Kyenge immagina un orango, ai lanci di banane, a Constant che all’improvviso lancia il pallone verso le tribune dello stadio Giglio in seguito agli ululati, voglio inerpicarmi nello spinoso discorso razzismo, consapevole che urterò qualcuno.

Desidero partire da una mia personalissima opinione: l’Italia è un paese razzista. Siamo una nazione ancora molto arretrata e che guarda al di là dei propri confini sempre con un certo stato di ansia e preoccupazione. La stragrande maggioranza a mio avviso è razzista, il punto è che pochi lo confessano e in tanti lo nascondono scatenando un’ondata di ipocrisia terribile.

A tal proposito, molte volte mi è capitato di porre la famosa questione di scelta tra un bianco ed un nero a qualcuno, creando il seguente bivio: stai male, devi andare dal medico, ci sono due dottori, uno italiano ed uno nero, chiedono gli stessi soldi, sono bravi uguali e distano gli stessi kilometri da casa, da chi vai?

L’italiano dice il 90% delle volte che andrebbe dal bianco, dal suo connazionale. Chi dice il contrario mi lascia sempre quel dubbio che stia rispondendo con una sincerità latente.

Questo stupidissimo giochetto smaschera la nostra cultura, la nostra mentalità. Siamo indietro, il “diverso” crea dubbi, mette a disagio, non ci rassicura, la vera integrazione è ancora molto lontana per noi poveri italioti.

Siamo circondati da razzismo, il mondo è fatto di razzismo e ancor di più di intolleranza. In ogni paese ci sarà gente che odierà altri popoli, città e nazioni. Noi oltre tutto siamo la terra del campanilismo, dei comuni, un dettaglio che non va mai dimenticato. Conoscere la storia di uno stato serve proprio a questo, ti permette di capire perché quella determinata popolazione è così, tutti siamo figli di qualcosa, di storie ed eventi.

Mi pare chiaro che Calderoli abbia detto l’ennesima stupidaggine, è palese che siamo di fronte a qualcosa di intollerabile, ancor di più se consideriamo che la bocca da cui è uscito tutto ciò è quella del Vice Presidente del Senato.

Forse dovremo essere razzisti con loro, con questa classe politica che continua a coprirci di ridicolo in giro per il mondo. Populismo a parte, io però rimango di una mia modesta idea, io non concordo sulla Kyenge come ministro per altri motivi. Per me, becero idiota, una persona che non è nata in Italia, che è arrivata qui a 20 anni (tra l’altro illegalmente), che ha un padre il quale ha sposato 4 mogli e avuto 39 figli, non mi pare un personaggio che abbia molto da condividere con la nostra cultura. Dico questo e aggiungo che anche Josefa Idem, grande campionessa e meravigliosa atleta, era un’altra persona inadeguata alla posizione di ministro per competenze, provenienza, cultura e storia personale.

Rimango dell’idea che i ministri debbano essere italiani, sarà un principio obsoleto ma lo ritengo necessario, mettere persone a caso tanto per dare al Paese un tocco multietnico non lo condivido, anzi mi pare un classico esempio di ipocrisia, qualcosa di rivedibile così come quei giocatori che sentono gli ululati e i buu razzisti solo nelle amichevoli, quando il risultato non conta e magari fa anche caldo…

 

 

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(No, per niente. A Dublino me lo hanno anche detto, ma prima di essere eventualmente mafioso sono certamente italiano, e non mi pare poco, anzi. Devo riattaccare il mio sermone sulla fortuna e la bellezza di essere italiani e di quanto siamo invidiati da tutti? No dai, stavolta vi voglio graziare).

Definire la felicità

 

Alcune settimane fa, mentre andavo a Viterbo da mio padre su RDS parlavano di felicità, o meglio, di come si possa definire una cosa tanto grande, astratta e importante nella vita di ciascuno di noi. Percorrendo il lungo pezzo di statale prima di entrare finalmente in città, ho potuto ascoltare le opinioni di alcuni radioascoltatori e i loro giudizi, riflessioni che mi hanno in parte soddisfatto, mentre altre non mi hanno per niente convinto. Io onestamente non saprei dire tantissimo sulla felicità. Il punto è uno: il benessere è felicità? Cioè, stare bene significa essere felici? E soprattutto da cosa si riconosce la felicità?. Non lo so, ho delle idee a tal proposito e provo a riordinarle.

Sono certo di essere stato molto felice in alcuni momenti della mia vita, in particolare negli ultimi anni, diciamo dal 2006 in poi. Sono stato quasi sempre bene e poi ho avuto dei picchi straordinari, ma allo stesso tempo ricordo come se fosse ieri una calda mattina di agosto del 2009 quando mentre stavo per andare a prendere la macchina sotto casa mi chiesi: “Ma io sarò ancora felice in vita mia?”. A questa domanda esistenziale, che scaturiva da un periodo piuttosto cupo, non trovai risposte, anzi la sensazione da cui fui pervaso era quella molto vicina ad un NO. La vita mi stupì a più riprese e a quell’interrogativo dopo un po’ di tempo risposi con un Sì, un sì a caratteri cubitali. Ultimamente mi è ricapitato di farmi quel genere di domanda e la risposta è stata sempre NO, una negazione molto decisa oltretutto.

Spesso mi capita di osservare gli altri, di sentire ciò che dicono e penso che molti di loro in fondo fingano bene, o meglio, la loro superficialità ha dipinto loro un bel mondo, ma nell’animo non sono certo che siano felici. Giorni fa sono rientrato mezz’ora sul mio profilo di Facebook e guardando quasi tutte le bacheche dei pochi amici che ho sul social network, ho percepito una grande gioia. Sembravano tutti contenti e non lo dico perché ora “il giardino del mio vicino è sempre più verde”, no, per me non è così, lo dico perché ho percepito questo alone di contentezza, che a mio avviso è anche molto strumentale, di apparenza, per far vedere agli altri che stiamo bene. Mostrare la propria felicità obbligatoriamente, vera o finta che sia, mi sembra una cosa al giorno d’oggi molto trendy, alla fine per me è sempre meglio mostrare ciò che si è, senza maschere, è la strada più conveniente. Credo che per essere felici uno si debba saper guardare dentro e capirsi, non deve essere piatto e tanto meno superficiale, non deve avere paura di ascoltarsi, dei propri sentimenti e di ciò che sente.

La persona felice inevitabilmente deve essere stata triste, altrimenti non potrà mai riconoscere certe cose.

 

 

Di seguito, riprendendo il gioco di RDS, metto le mie personalissime definizioni di felicità.

 

1)      Felicità significa non voler essere mai altrove.

2)      La persona felice non ha mai bisogno di qualcosa altro o di qualcun altro rispetto  a ciò che già ha.

3)      La felicità sono undici maglie nerazzurre che corrono dietro ad un pallone.

4)      La vera felicità è non aver bisogno di felicità (Seneca).

 

 

 

 

“Rabbia stupore la parte l’attore

dottore che sintomi ha la felicità”

 

Mi fido di te – Jovanotti

L’Inno a scuola

Ci sono una serie di cose, un gruppo abbastanza ristretto, per le quali divento il capo degli intransigenti, il re dei conservatori, il custode della memoria. In questo gruppetto rientrano il tricolore e l’inno. Ecco, se qualcuno alza la voce su queste cose, le dileggia, non se ne cura e le critica in maniera ingiusta e insensata, mi incazzo rapidamente.

Sono italiano, sono profondamente italiano, condivido appieno il patriottismo e per me, sinceramente, anche un pizzico di nazionalismo fa anche bene, meglio essere spostati su quel lato che dall’altra parte, meglio amare il proprio paese che fregarsene. Sono un figlio della mia nazione, della mia patria e di questo me ne vanto, è un orgoglio che ho tatuato addosso e me lo porto ovunque. Il passaporto che recita in copertina Repubblica Italiana, per me è sinonimo di fierezza.

Il tricolore? È la mia bandiera, fosse per me rimarrebbe appesa alla finestra ogni giorno e non solo le estati degli anni pari in occasione della Nazionale. Ecco, per me l’Italia ha ancora un senso, quello dell’appartenenza, l’Italia è un valore. Non mi vergogno di essere italiano, non riesco a vergognarmi nemmeno quando vedo e vivo queste ultime classi politiche che trasformano il Belpaese nella barzelletta d’Europa. Io non mi identifico con questa gente, ci sono certo, ma passeranno, è gente che transita, nessuno se ne ricorderà. Nessuno può intaccare ciò che è la mia terra, il Paese per antonomasia, quello per cui ti devi esprimere sempre utilizzando il superlativo relativo.

Detto questo, arrivo alla notizia dell’Inno di Mameli insegnato nelle scuole. La trovo una cosa talmente giusta che lo scandalo per me è che non ci fosse da sempre. È una cosa anacronistica? Ottocentesca? Fuori luogo? Per niente. È giusto che tutti i bambini sappiano e possano cantare il nostro inno, un testo ricco di storia che deve essere imparato a memoria e capito. Che italiano sei se non sai tutto l’inno? A me lo hanno insegnato alle elementari ma già lo sapevo, lo imparai a Italia 90’, a quei tempi non era obbligatorio ma ho avuto la fortuna di avere maestre intelligenti.

Il Senato ha approvato, la Lega ha detto no e per me possono beatamente fottersi, un paese si distingue simbolicamente per bandiera e inno, quest’ultimo è giusto che venga insegnato e spiegato.

Sì, deve essere parafrasato, raccontato, pensate all’ultima pagina veramente bella di televisione a cui abbiamo assistito, sapete quale è stata? Benigni che fa l’esegesi dell’Inno di Mameli a Sanremo. Uno spettacolo unico e non solo perché il buon Roberto è un fenomeno unico…

Viva l’Italia, viva il nostro inno, viva Goffredo Mameli.

 

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