Tutti contro uno

Certe cose bisogne dirle, almeno al giorno d’oggi. Sempre e a prescindere. Dobbiamo dire ad esempio che Salvini è sempre dalla parte del torto, come lo era Berlusconi oppure Renzi fino all’altro ieri. È obbligatorio. In caso contrario si diventa berlusconiani, o razzisti, fascisti, finti sinistroidi, insomma dipende dal personaggio in questione.

Bisogna dire certe cose perché almeno tutti gli altri, molti dei quali si trincerano dietro muri di finta obiettività, saranno felici. Gli antagonisti, gli estremisti del “Contro-Salvini” sempre e comunque sono i primi oltranzisti, poi però se la ribaltano a loro piacimento, in maniera talmente bizzarra che c’è da ridere.

Moderati che perdono il lume della ragione e si scagliano inferociti su un uomo. Predicano sensibilità e buon senso e poi parlano in maniera più netta del Matteo a tinte verdi. Senza giudizio critico, una ondata contro qualunque cosa il ministro dica perché lui, sbaglia sempre, perché la politica si fa così ormai. Si critica gli altri di fare politica da bar, politica da social media, e poi si vomita tutto contro uno.

Perché “quello” non può dire una cosa giusta, “perché io sono anche moderato, però con lui non ce la faccio proprio”. La politica si è ridotta così anche per il modo in cui la gente ne parla: ma i benpensanti di questo non se ne rendono conto, pensano che andare contro il bersaglio di turno sia il modo migliore per sentirsi persone più giuste e andare a letto in pace, con la coscienza pulita.

Quei moderati che però si trasformano in ottusi, pontificando a priori su qualcuno. Avete ragione voi, che non sapete più tenere in piedi una conversazione perché improvvisamente per colpa di un personaggio andate giù di testa.

Si giudica solo la figura, non più idee e proposte, la politica è questa, e le conversazioni di politica sono la normale conseguenza di tutto ciò. Questa roba però non mi appartiene, non contate su di me.

O di qua, o di là

Che poi da dire ce ne sarebbe anche, come sempre.

Ad esempio, dopo anni di pro e anti-Berlusconi, siamo passati agli amici e i nemici di Renzi, ultimamente invece, sostenitori e oppositori di Salvini. La verità è che siamo diventati questi, tutto è in relazione alla persona, molte parole – tantissime a vanvera – ma soprattutto una perpetua gara nell’essere arroccati su una posizione.

Bianco o nero. Mai grigio. Nessuna sfumatura, solo un fiume in piena che scorre sui social, una immagine del mondo italiano che sembra essere polarizzato.

Nulla di nuovo sarebbe opportuno dire, nessuna novità nel paese dei guelfi e ghibellini, in una nazione in cui siamo maestri in questo. Una pratica che ci viene in modo automatico ma dalla quale io prendo le distanze ogni volta che si parla di temi in cui non si può essere assoluti nel giudizio senza appelli.

Le ultime questioni sollevate dalle mosse di Salvini, sono un esempio lampante. Chi ha una posizione netta e che non ammette repliche, a mio avviso, da persona moderata, è più fuori strada di chiunque altro.

Ma intanto, giugno se ne è andato e nemmeno me ne sono accorto. Il Mondiale, splendido e nel quale mi sono voluto immergere con enorme piacere, scivola verso il gran finale, i tormentoni estivi sembrano ancora non essere del tutto scoppiati, fa caldo ma neanche troppo.

Roma è sempre piena, le estati sono cambiate, la mia in un certo modo inizierà la prossima settimana quando a quest’ora sarò a Berlino, quella città in cui esattamente 12 anni fa diventavamo campioni del mondo. Intanto, Cristiano Ronaldo sembra essere veramente indirizzato alla Juve, trattativa che qualora dovesse andare in porto per me resterebbe come uno dei misteri più grandi dello sport.

Da sabato ho la mano sinistra in disuso, colpa di un frontale alle macchine a scontro di Cinecittà World. Capita anche questo, anche se c’hai 31 anni.

Fortunatamente, ancora capitano cose del genere.

Quel venerdì pomeriggio di 45 anni fa

Milano. Venerdì 12 dicembre 1969, ore 16:30. Nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, sotto il tavolo ottagonale del salone, esplode un ordigno di elevata potenza. L’edificio in quel momento è pieno di gente perché il venerdì, oltre l’orario di apertura, si svolge qui una sorta di mercato informale degli agricoltori. Quattordici morti, poi divenuti diciassette, settantotto i feriti all’interno, sette sul marciapiede esterno e due nel ristorante “L’Angelo” dietro la banca.[…]

Quel 12 dicembre ero appena sceso dal tram alla fermata di via Larga, quando sentii un fragore cupo e prolungato venire dalla direzione del Duomo. Dovevo entrare al palazzo di Giustizia dove lavoravo da quattro anni.[…]

Quel giorno, dunque, udito il botto provenire dalla parte di piazza del Duomo  preso dalla curiosità, andai istintivamente a piedi in quella direzione.[…]

Quando arrivai sulla piazza, notai che dalla porta centrale della banca usciva una colonna di fumo e per terra c’erano detriti provenienti dall’interno. Chiesi ai presenti cosa fosse successo. Si pensava che la forte esplosione fosse stata causata dallo scoppio della caldaia centrale.[…]

Mi feci coraggio e decisi anch’io di entrare. Mostrai la tessera di magistrato ai poliziotti che facevano barriera attorno alla banca. Un brigadiere, un po’ seccato, mi fece passare, chiedendomi di uscire subito per non ostacolare i soccorsi e la polizia. Vidi nella semioscurità una scena apocalittica che nessuna mente sarebbe stata capace di immaginare: sangue dappertutto, arti mozzati, un tremendo odore di carne bruciata. La profonda voragine al centro della spazzò via ogni dubbio su quanto fosse successo: a provocare il massacro era stata una bomba potentissima che aveva scavato una fossa profonda. E non era scoppiata per caso. Voleva uccidere, sterminare il maggior numero di persone. Aveva ridotto a pezzi chi era attorno al tavolo in attesa di uscire.

(Ferdinando Imposimato – magistrato)

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Mafia Capitale, sfascio capitale

lupoE fu così che ci svegliammo una mattina e scoprimmo che a Roma c’era la Mafia. È difficile pensare che qualcuno ancora credesse alla favola di una città in mano a nessuno, al massimo a qualche rubagalline di quartiere, o a un luogo senza più un clan centrale a due decenni abbondanti dalla fine della Banda della Magliana.

C’è da preoccuparsi, ovviamente, ma con il passare dei giorni scopriremo chissà quanti dettagli, legami e clamorosi accordi, sporchi e indignanti. Sono 85 le persone indagate, 37 gli arresti (8 dei quali ai domiciliari), un “mondo di mezzo” quello dell’universo che ondeggia fra politica e criminalità. Roma è questa e non lo è da ieri. Un mese fa le Iene hanno raccontato la vicenda di Federica Angeli, giornalista de La Repubblica, da tempo sotto scorta dopo aver denunciato alcuni personaggi di stampo mafioso ad Ostia, in seguito ad una sparatoria avvenuta di notte sotto casa sua.

La città è degenerata (come già detto nell’ultimo post) e le colpe sono da ricondurre prevalentemente a chi ha gestito (male) la Capitale e a chi si è arricchito facendo affondare una barca già di suo malandata e logora. Non c’è da stupirsi se nelle prime intercettazioni scopriamo che dietro a quei campi rom pieni di degrado e pericolosi c’è una mafia che ci guadagna addirittura “più del traffico di droga”. Non dobbiamo rimanere sopresi sul racket dei manifesti abusivi, così come il mercato nero e illegale dei cartelloni pubblicitari piantati sui marciapiedi ogni 10 metri, una vergogna che sottrae oltretutto soldi e investimenti vitali all’editoria cittadina la quale potrebbe sopravvivere grazie a quelle pubblicità. Allo stesso modo sappiamo da sempre il giro losco e difficile da estirpare dietro i bancarellari e i camioncini che vendono frutta, bevande e panini a prezzi fuori mercato, dinnanzi ai luoghi di culto della città, rovinando il colpo d’occhio (pensate solo a Fontana di Trevi) e spellando i turisti malcapitati.

In tutto questo, il nostro sindacuccio è in mezzo a una congiura abbastanza evidente, un complottone orchestrato da parte del suo partito. Marino forse non se ne sarà ancora accorto, spesso si ha la sensazione che non capisca ciò che lo circonda, ma ha fra le mani un’occasione davvero unica per cambiare radicalmente certi processi incancreniti di Roma. Probabilmente non l’ha capito, la speranza è che colpisca duro e non sciupi l’opportunità di sistemare qualcosa e dare finalmente una ripulita. Le sue ultime decisioni lo hanno trasformato in bersaglio per coloro che da anni mangiano a tradimento su Roma: la chiusura di Malagrotta, il tentativo di combattere camion-bar, ambulanti e urtisti, l’approvazione del PRIP (Piano regolatore degli impianti pubblicitari) e l’aumento del costo delle strisce blu, solo per fare alcuni esempi eclatanti, tutto questo ha creato un terremoto in quelle lobby che da anni si arricchiscono con tali espedienti.

Chi conosce e vive Roma non rimane sorpreso da nulla, anzi, si augura che questa indagine vada avanti senza pietà, senza passi indietro, e visto che c’è ancora un reduce della Banda della Magliana, Carminati, la speranza è che non finisca proprio come nel 1983 quando “Il Sorcio” si presentò spontaneamente e vuotò il sacco sulla famosa organizzazione criminale. Peccato solo che le conoscenze e il potere della Banda trasformarono le rivelazioni in una specie di bolla di sapone sei anni dopo. Bene, speriamo di non rivivere certe storie e di non buttare via un’altra opportunità forse irripetibile.