La scelta degli italiani

Ha vinto Renzi, ha perso Grillo. In questa discutibile ma ormai totale sovrapposizione e identificazione fra persona e partito, il risultato di ieri è chiaro, non sono necessarie interpretazioni e per una volta ci sono vincitori e sconfitti.

Gli italiani sono un popolo magnifico, ma soprattutto sanno sorprendere sempre. L’attitudine di svegliarsi all’ultimo è una nostra prerogativa storica, così come l’incapacità di imparare da certe lezioni. Solo all’ultima disperata chiamata, con l’acqua oltre la gola, cominciamo a fare sul serio. Il voto compatto verso Renzi mi piace leggerlo come una risposta forte quando era veramente indispensabile per questo malconcio paese. Serviva una scelta precisa, occorreva schierarsi e decretare qualcosa per diverse ragioni: dalla stabilità fino alla coerenza, passando per i mille significati che si celano dietro al voto dell’elettorato.

E mentre francesi e inglesi mescolano pericolosamente le carte politiche, gli italiani danno una dimostrazione inattesa: tardi, spesso fuori orario, ma quando serve arriviamo sempre. Delle tante considerazioni che si possono fare quella che ruba l’occhio è relativa a Grillo. I discorsi carichi di fantasia e utopie, le dialettica condita da offese e volgarità, la rabbia e le proteste del leader 5 stelle non hanno convinto gli italiani, anzi, rispetto a 15 mesi fa c’è un lieve ma imprevisto calo di consensi. Non ha vinto e non ha nemmeno sfiorato il successo, il Movimento grillino ha perso nel modo peggiore e pare evidente come Renzi abbia strappato letteralmente qualche elettore al comico genovese, un colpo durissimo.

Renzi ha vissuto questi cinque mesi con la spada di Damocle sulla testa per il suo sbarco a Palazzo Chigi, in molti auspicavano una figuraccia alle Europee per rinfacciargli il suo non essere un primo ministro legittimo, le urne hanno spazzato via anche questo fantasma, la verifica è stata superata a pieni voti.

Berlusconi ha ottenuto un risultato che era facile da attendere, per la prima volta si è presentato non per vincere ma per evitare di sprofondare del tutto, a dimostrazione di come la sua traiettoria politica sia ormai in fase crepuscolare. Salvini ha esultato per il suo 6.2 % che lo porta in quarta posizione, deludente Alfano, Tsipras conquista 3 seggi, catastrofe invece per Scelta Europea.

E ora? La potente iniezione di fiducia dell’elettorato obbliga Renzi a dare risposte e a completare il programma di riforme prioritarie, ora più che mai deve saper sfruttare questa onda lunga anche se la fisionomia del parlamento rimane quella dell’altro ieri, al di là di questa tornata di votazioni, e quindi sarà da capire come andrà avanti l’alleanza con un NCD che esce male dalle urne.

La gente crede in questo PD, Renzi piace e Grillo ha visto la sua ascesa bloccarsi prepotentemente. Il centro-sinistra ha stravinto andando oltre ogni rosea aspettativa, un successo che a me non sorprende del tutto perché ho sempre creduto in Renzi, nella sua leadership e nel suo modo di comunicare. Dopo giacche marroni e volti cupi, parole già sentite e segretari senza carisma, serviva un personaggio del genere. Dopo Prodi, Veltroni, Bersani, Letta, politici fiacchi e trapassati era necessario un cambio drastico. Renzi era l’ultima ancora e ora avrà il compito più arduo, quello di non deludere perché gli italiani, nel frattempo, hanno scelto. Tardi, quasi in extremis, ma lo hanno fatto.

Calcio Fiorentino match

Discriminazione territoriale

 

L’header di questo blog avverte i lettori di come qui si possa trovare molta demagogia e parecchio qualunquismo, un suggerimento che ovviamente spiazza e mette fuori strada proprio perché è in realtà fortemente ironico. A me è sempre piaciuto schierarmi, prendere posizioni e dire la mia, anche in situazioni magari spinose, ma ho sempre cercato di fare questo quando sapevo le questioni in ballo ed ero consapevole di cosa andavo a scegliere.

E allora mi ritrovo qui a parlare di questa diatriba di pseudo razzismo che si sta sempre più sviluppando fra Istituzioni, Lega, tifosi e società. Ho letto un sacco di stupidaggini, noto come tutti stiano in realtà mal interpretando delle cose e di come la spirale di perbenismo ed ipocrisia stia lentamente ingoiando chiunque

Io, e ci tengo a dirlo subito, sto dalla parte dei tifosi, di quelli delle curve e anche di quelli che per colpa di alcuni illuminati devono rimanere a casa con lo stadio chiuso e si vedono privati del loro diritto di andare a vedere una partita senza essere nemmeno rimborsati. La beffa che vivono questi ultimi non si deve ricongiungere a chi canta dei cori, no signori, ma a chi sta esagerando con una ondata di ridicolo moralismo.

Discriminazione territoriale. Sono queste le due paroline magiche che nelle ultime settimane stanno condizionando il campionato, chi canta o fa riferimento a questo concetto viene sanzionato con la chiusura dei settori (da cui è partito il coro) e la chiusura totale dello stadio come seconda sanzione in caso di recidività.

In questa folle regola però, esiste anche una gerarchia, un tariffario, nel senso che “Napoletani colerosi” o “Napoli merda” è una cosa, “Milano in fiamme” un’altra, il “buu” a uno di colore è razzismo, il “buu” ad un altro no.

Insultare il tifoso avversario rivolgendosi a sua madre è accettato, magari diranno che non è maleducato, dire ad un altro che la sua città di provenienza fa schifo o è una merda non è tollerato.

Già in queste poche righe si capisce quanto tutto ciò sia fumoso e poco chiaro, di come non ci sia una norma giusta, di quanto sia paradossale l’idea.

Non è così che si combatte il razzismo, e nemmeno una sua appendice forzata come quella della discriminazione territoriale che in Italia ci sarà sempre. Voler cancellare o vietare a qualcuno di gridare una città a caso affiancandogli MERDA è fuori da ogni logica, anche perché magari chi segnala queste cose è colui che in mezzo al traffico manda a quel paese qualcuno facendo magari riferimento alla targa diversa dell’automobilista: non è discriminazione quella?

E così, in maniera anche provocatoria, voglio rammentarvi che l’Italia è il paese dei Comuni, delle Cento Città, l’Italia è il paese del Palio, in cui il confine, l’altro, chi sta oltre un muretto rimane un nemico o un avversario. È così, fa parte di noi e sempre ci sarà perché non è solo un retaggio storico che abbiamo ma è una cultura insita nella nostra anima. Siamo diversi, disgregati, viviamo di rancori e di invidie, ma tutti sempre fieramente attaccati al proprio territorio, tutti radunati sotto una bandiera. Il calcio è campanilismo, è la più grande forma di appartenenza, aggregazione e senso di comunità che rimane in Italia e da sempre, e dico sempre, sono esistite certe dinamiche, come appunto quella di insultare la città avversaria, un posto che magari è tuo rivale da secoli, un posto contro magari i tuoi antenati hanno combattuto nel 1243 per un pezzo di collina. Chi non ricorda questo, chi vuol far finta di tutto ciò è miope e anacronistico, così come quelli che ogni tanto tentano di rilanciare l’idea di accorpare delle province (tipo Pisa-Livorno) creando mostri burocratici-amministrativi e insultando la storia e le nostre origini.

Non ci sto, non posso condividere tutto questo, soprattutto quando un ministro dice che un suo collega gli ricorda un orango e tutto finisce lì, senza nemmeno un pezzettino di Parlamento chiuso. In un momento di crisi, con un Paese che sta finendo nel baratro sempre di più, giorno dopo giorno, il problema principale è chiudere gli stadi perché uno fa discriminazione territoriale.

A voi sembra normale? Anche perché solo un stato debole può prendere misure così drastiche e stupide, chiudere tutto per colpa di dieci persone impedendo ad altre 50 mila di godersi uno spettacolo. Solo uno stato inesistente può operare così perché non è in grado di gestire nessun problema.

Solo un paese così, ipocrita, finto e dai valori morali plastificati può comportarsi in tal maniera. Solo la gente che ci vive e si fa ingarbugliare il cervello da mass media e giornalai (non giornalisti) può dar retta a certe pagliacciate schierandosi contro i tifosi e nutrendosi di quella demagogia che fa stare tutti un po’ meglio e ci fa dormire la notte contenti di aver detto la cosa giusta.

Ma io, mi dispiace per voi, non ci sto. Io sto dall’altra parte.

 

 

 

 

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Maggie

 

In questa infinita e preoccupante sequenza di morti celebri che è iniziata da quando sono giunto a Dublino, oggi è stato il turno di Margaret Thatcher, la Iron Lady britannica, primo ministro dal 1979 al 1990. Se ne va un pezzo importante di Inghilterra, una figura controversa ma che ha segnato un’epoca con il suo conservatorismo liberale, la donna sempre contraria ad ogni tipo di compromesso.

Studiai la sua politica nel primo favoloso e memorabile corso di Storia della Gran Bretagna, quello della primavera del 2009, in quel periodo che ha cambiato la mia università. Dopo aver discusso una tesi sul laburismo alla triennale, per alcune settimane mi ero orientato sul thatcherismo per la magistrale, alla fine però vinse il cuore ed il fomento e decisi per Hillsborough, argomento che comunque sia coinvolse notevolmente la Thatcher.

Decisionista, convinta e leader nel senso più profondo del termine, “Maggie” divenne primo ministro nel 1979 in seguito al fallimento del governo Callaghan. Privatizzazioni, inflazione e disoccupazione, portò tutto questo ma nonostante ciò riuscì a vincere nuovamente nel 1983 grazie all’ondata patriottica scaturita dalla guerra delle Falkland. Forse avrebbe vinto lo stesso considerando che in quegli anni il Labour Party viveva la sua più grande crisi ma ebbe comunque il merito di compattare un popolo fino a quel momento non così benevolo nei suoi confronti.

Parli della Thatcher e ti viene in mente lo sciopero della fame di Bobby Sands nel 1981, la sua fermezza nel non piegarsi a nulla, così come nel braccio di ferro con i sindacati dei minatori capeggiati da Scargill nel biennio 1984-85. Pensi a lei e ricordi l’attentato di Brighton che nel 1984 riuscì a scampare, oppure alla sua citazione di San Francesco appena insediata a Downing Street. Anti europeista, britannica nel midollo, laureata in chimica ad Oxford ma in politica già dal 1951, la Thatcher è stata la donna che riuscì a sconfiggere anche il fenomeno hooligans dopo aver insabbiato il disastro di Hillsborough, un vero e proprio omicidio di stato.

Un ictus all’età di 87 anni l’ha portata a miglior vita, domani a Londra, nella cattedrale di St. Paul, ci saranno i suoi funerali, per salutare un personaggio che ha recitato un ruolo predominante nella politica mondiale negli anni 80, la figura femminile per antonomasia della politica.  

 

 

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(16 aprile 1989, Margareth Thatcher nello stadio di Hillsborough)

Elezioni 2013

 

Grillo ha trionfato, Berlusconi ha compiuto un miracolo, Monti ha perso malamente, Bersani ha fallito in maniera clamorosa. Questo è il quadro delle elezioni ma soprattutto i presupposti che mettono a repentaglio ulteriormente il nostro Paese sempre più ingovernabile e pertanto vicino ad un tracollo.

Ho seguito come non mai la diretta e lo spoglio, tra Sky, Rai, La7 ed il web, ho monitorato tutto fino all’1.30, una maratona lunga ma che mi ha coinvolto veramente. Sono state le elezioni di Grillo avanti a tutti in maniera inattesa, e con il comico genovese ora chiunque dovrà fare i conti e sinceramente, allo stato attuale delle cose, non credo che sia la notizia peggiore. L’”antipolitica”, le urla forsennate, una campagna elettorale insolita, tutto ciò ha portato milioni di voti a Grillo: la gente è stufa di tutta la classe politica, questo è un elemento altrettanto palese.

Inspiegabile il successo di Berlusconi, o meglio, non è giustificabile che esista un terzo del paese capace ancora di dare credito e fiducia a questo personaggio. Di certo ha avuto un merito enorme: crederci. Ha lavorato tantissimo negli ultimi mesi, come un “mantra” ha picchiato sulle corde degli italiani con frasi e promesse, alla fine ha pareggiato. Un pari che vale oro.

Nella serata della resurrezione berlusconiana penso che grandi meriti li abbia avuti il “Perdente Bersani”. Sono dell’idea che in politica sia fondamentale avere carisma, saper trasmettere qualcosa, essere in grado di coinvolgere. Berlusconi lo sa fare da grande comunicatore qual è, Bersani no.

Ha perso, è il grande sconfitto. Ha dilapidato un vantaggio clamoroso, ora, in uno stato normale, cosa che non è l’Italia, si dovrebbe dimettere. Non avremo mai la controprova di Renzi, non sapremo mai se il sindaco di Firenze avrebbe fatto meglio, io penso proprio di sì, ma d’altra parte questo voleva il PD. D’Alema, Letta, Franceschini, Rosy Bindi, Bersani, sono il simbolo di un partito geneticamente perdente, sconfitto nell’anima, così tanto inerme da non fare gol nemmeno con il pallone sulla linea di porta. Questo disastro dovrebbe essere il loro ultimo atto, ma per nostra sfortuna rimarranno ancora in sella. Renzi era l’uomo nuovo, a lui avevo dato la mia preferenza, ma come dissi mesi fa, l’Italia ed il PD avevano perso una grande occasione anche se non avrei mai immaginato che il Partito Democratico potesse addirittura perdere le elezioni.

Rimane l’instabilità, un quadro più problematico di prima anche se l’affermazione del Movimento 5 Stelle segna una svolta chiara nella politica nostrana. Credo poco alle larghe intese, serve un governo vero che possa decidere e comandare per 5 anni ma non ci sono le condizioni.

E allora? Trovare un minimo equilibrio per cambiare legge elettorale e tornare alle urne, un passaggio inevitabile che costerà soldi e soprattutto tempo, un dettaglio che non possiamo più trascurare.

 

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