Fino al confine

Da giorni continuo a vedere su Youtube video relativi alla finale di sabato sera, così come scorrendo la timeline di Twitter leggo messaggi e prese in giro ai poveri tifosi juventini. Tutto è normale, e di fondo giusto, trovo assurdo invece chi ci rimane male o chi dà degli sfigati ai tifosi avversari e a chi sabato scorso ha tifato Real e festeggiato, come il sottoscritto.

È fuori luogo l’ondata di persone, giornalisti, appassionati e tanti altri che reputano questo modo di fare sbagliato e insensato, in nome di un finto fair play e di un ambiguo amor di patria.

Il tifo, non ha nulla di razionale, è passione, emozione e fazione. Chiedere agli italiani di essere sportivi o di essere felici per un successo del vicino è veramente andare contro la nostra storia e ciò che siamo. Ma non solo a livello di tifo, ma proprio dal punto di visto antropologico.

Siamo un paese che non si sopporta in maniera cordiale, a volte anche meno, popoli che si detestano da secoli, e il fiero campanilismo di un tempo, quello che si annida dai tempi dei Comuni, risiede oggi nello sport nazionale per eccellenza.

Siamo così, e chiederci un cambio di mentalità è francamente ridicolo. Chi è juventino è triste per l’ennesima sconfitta europea, chi tifa altre squadre, in particolare le storiche rivali, ancora gira per strada con un sorriso felice.

La Juve è antipatica a tutti per quello che rappresenta, non perché vince. In Italia, da decenni, negli stadi di tutto lo stivale, se una squadra vince con una svista o un aiuto, dalla tifoseria avversaria si alza puntuale il coro “Come la Juve, voi siete come la Juve”. Questo coro dice tutto e azzera ogni discorso. Per il tifoso italiano non juventino, i bianconeri da sempre rappresentano qualcosa di non corretto, anti-sportivo e non legale.

Per cui, diventa ancor più difficile avere simpatia per loro anche in un contesto europeo. Non ho mai tifato una italiana nelle coppe e lo dico in modo chiaro: sostenere chi odio ogni domenica è insensato e non coerente, tifo per chiunque, ma non per chi da anni mi prende in giro o si prende gioco di me. È umano ed una logica e naturale reazione.

Ho tifato contro la Juve e quindi per il Real, come due anni fa per il Barcellona, come nel 1998 sempre il Madrid, quando esultai per la rete di Mijatovic, poche settimane dopo il famoso scippo del fallo di Iuliano su Ronaldo. Avrei dovuto tifare per loro in quella occasione? Per chi in maniera palesemente schifosa e pilotata aveva provato a non far competere la mia squadra fino in fondo per quel titolo? No. La riposta è no.

Ho “tifato” per loro, fra mille virgolette, nel 2003 perché davanti alla Juve c’era il Milan, per me senza dubbio il nemico numero uno e la squadra che venti giorni prima ci aveva eliminato.

Mai sostenuto una italiana e mai lo farò, nemmeno se avesse un ritorno per me o l’Inter. Capitò nel 1995 in Ajax-Milan, quando un successo dei rossoneri ci avrebbe potuto portare in Europa aprendo un posto in più per la Uefa. Tifai contro per 90 minuti ed esplosi al gol di Kluivert. Avevo 8 anni.

Oggi ne ho 30 e continuo a fare esattamente la stessa cosa. Nel frattempo ho gioito per i successi dell’Inter, quelli che gli juventini cercano di replicare, ma mai avrei chiesto e sperato in un loro supporto nel 2010. Fa parte di un codice piuttosto chiaro, e così come non ci rimango male se qualcuno tifa contro l’Inter, allo stesso tempo mi sembra assurdo che la contro parte ci rimanga male se tifo Real.

Sono contento che abbiano perso. E lo dico perché so quale delusione stanno vivendo, e saperli così è bellissimo. Non è sadismo, o cattiveria: è tifo, punto.

Per gli interisti, soprattutto in questi anni neri, poter difendere l’orgoglio di essere gli unici ad aver compiuto l’impresa del triplete ha un significato profondo che forse ci giustifica ancora più degli altri. Non capisco infatti tutta l’attenzione e la gioia dei tifosi napoletani, e nemmeno il caso Higuain è sufficiente per spiegare tale approccio alla sconfitta della Juve, ma va bene così. Come detto, ognuno è libero di fare ciò che vuole, mentre qualcuno la dovrebbe smettere di fare morali da quattro soldi.

Come la stampa italiana che da febbraio abbina il nome della Juve a quello triplete per ricordarsi poi, a fine anno, che non è così semplice portare tre trofei a casa, un pensiero che dovrebbe ogni volta dare ulteriore prestigio e valore all’impresa a tinte nerazzurre del 2010.

Evito di fare esagerazioni additando la stampa come “serva”, o schiava del potere juventino, no, non lo è, ma di certo loro vengono sempre trattati diversamente, con i guanti e pompati all’inverosimile.

Peccato però che poi finisca come tutte le altre volte: con gli altri che alzano le coppe, loro che piangono e noi che festeggiamo. E sì, perché è meglio vivere di ricordi per ciò che si è fatto, piuttosto che di illusioni per quello che non si riesce mai a fare.

#Finoalconfine.

Pure stavolta. Come sempre.

Una partita “logica”

Il calcio è uno sport molto semplice, è facile da praticare e ancor più da commentare. Ieri sera, nella seconda semifinale di Champions League, il Barcellona ha espugnato meritatamente Madrid compiendo un passo determinante verso la finale del 28 maggio. È facile quindi capire come una squadra che provi a giocare a calcio alla fine possa vincere mentre un’altra che rinuncia al proprio gioco alla lunga possa essere sconfitta. Il calcio non è molto logico a volte, ma diventa scontato quando si assiste a partite come quella di ieri sera. Mourinho voleva vincere difendendosi, ma la sua squadra alla fine non ha mai creato nulla di pericoloso, vincere senza giocare è difficile, riuscirci senza tirare mai in porta è impossibile. E’ su questo concetto che si basa la logica della partita di ieri, il Real non ci ha mai provato, il Barça malgrado qualche difficoltà di troppo ha sempre tentato di sviluppare il proprio gioco ed alla fine è stato premiato, anche grazie ad un’espulsione generosa ma che ci poteva comunque stare. Per la terza volta in 10 giorni abbiamo visto un primo tempo bloccato, teso e con mosse strategiche da partita di scacchi, nel secondo tempo è uscito fuori il Barcellona che con un infinito possesso palla ha sfiancato il Real prima di colpirlo al momento giusto. Mercoledì scorso, in Coppa di Spagna, Mourinho aveva impostato un partita identica a quella di ieri e dopo 102 minuti era passato in vantaggio grazie ad un contropiede micidiale, ha voluto giocare nuovamente in questo modo ma è stato evidente come una tattica del genere possa premiarti raramente e condurti molto più spesso ad una sconfitta, soprattutto quando affronti una squadra superiore. Il Real non poteva affrontate il Barcellona come ha fatto lo scorso anno l’Inter perché è inferiore a quella squadra per uomini e determinazione e così ha dovuto ripiegare su una tattica difensiva e di contenimento che ha concesso agli avversari il 72% di possesso palla, un dato indicativo che alla fine ha punito i blancos. Nella serata del Bernabeu oltre alle difficoltà madridiste si è visto un giocatore fenomenale come Leo Messi che è tornato ad essere decisivo nelle gare fondamentali di Champions, un arbitraggio discreto e un aspetto ormai noto dei giocatori del Barça: la tendenza alla sceneggiata in seguito a certi falli. Dani Alves ha esagerato sull’intervento di Pepe così come Busquets fece dopo la psuedo-manata di Thiago Motta, evidentemente questo comportamento è una costante da parte dei catalani, maestri nella simulazione e nell’accentuare ogni contatto. L’Uefa dovrebbe prendere provvedimenti perché la ripetitività di tali gesti significa di certo qualcosa, se dobbiamo vedere queste sceneggiate quanto meno sarebbe opportuno togliere quella ridicola toppa sul braccio sinistro di tutte le squadre voluta dall’Uefa con scritto Respect. Questo termine invocato continua ad essere assente ed il Barcellona ne è il capofila, una squadra così forte potrebbe fare a meno di espedienti del genere. Per la prima volta si sono giocate due semifinali che hanno dato lo stesso risultato, una vittoria secca da parte della squadra in trasferta, due successi che chiudono il discorso e fanno partire già il count-down verso la sfida di Wembley. A Londra andrà in scena la rivincita del 2009 e per il Barcellona c’è il cliente più difficile per la finale più giusta ovvero il Manchester United che potrà mettere in seria difficoltà gli spagnoli per la forza e l’immensa personalità e mentalità che hanno gli uomini di Sir Alex. Fra un mese sapremo se sarà rivincita o ancora dominio catalano.  

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