COVID-19: cosa ha fatto il Vaticano finora? E il Papa?

Il virus che sta falcidiando la provincia dell’Hubei dai primi giorni del 2020 diventa sempre più una notizia che apre telegiornali e prime pagine in Italia verso la fine di gennaio.

L’emergenza avanza e il 3 febbraio una nota della Sala Stampa annuncia che sono state inviate in Cina centinaia di migliaia di mascherine (circa 700 mila) per limitare la diffusione del contagio da coronavirus. Il comunicato specifica che l’invio è destinato alle province di Hubei, Zhejiang e Fujian, mentre l’iniziativa è congiunta ed eseguita  dall’Elemosineria Apostolica e del Centro Missionario della Chiesa Cinese in Italia, con la collaborazione della Farmacia Vaticana.

Passano le settimane, inizia la Quaresima ed il virus raggiunge l’Italia, soprattutto il nord-est del paese. Crescono i contagi e si individuano due focolai, ma soprattutto c’è la prima vittima, un signore di 78 anni che muore a Vo’ Euganeo in provincia di Padova, venerdì 21 febbraio.

Due settimane dopo, vengono stabilite nuove disposizioni riguardanti la Lombardia: la sera del 7 marzo le stazioni ferroviarie di Milano vengono affollate prevalentemente da fuorisede, studenti e lavoratori, i quali cercano di lasciare la città per evitare di rimanere intrappolati nel capoluogo lombardo.

Solo quattro giorni dopo, con il dpcm dell’11 marzo, il premier Conte dispone misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale, sospendendo “le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità”.

Cala così il lockdown su tutto il paese, la notizia fa il giro del mondo, ma poche ore prima, nel tardo pomeriggio del 10 marzo Apsa e Propaganda Fide, i due Dicasteri della Santa Sede che si occupano della gestione degli immobili, avevano annunciato di essere pronti a rivedere le tariffe per gli esercizi commerciali di fronte alla crisi per l’epidemia di coronavirus.

La nota esplicita che considerando “le situazioni di particolare sofferenza economica che si trovano ad affrontare i conduttori, in conseguenza dei provvedimenti emanati dalle Autorità italiane per arginare la diffusione del Covid-19”, si offre la disponibilità “ad accogliere richieste di riduzione temporanea dei canoni di locazione commerciale”.

Due settimane più tardi è il Santo Padre in prima persona a realizzare un nuovo gesto mentre l’emergenza sembra non arrestarsi: il 25 marzo infatti il pontefice affida 30 respiratori acquistati all’Elemosineria Apostolica affinché li possa donare ad alcune strutture ospedaliere nelle zone più colpite dalla pandemia. Italia e Spagna, i due paesi europei con maggiori difficoltà nel contrastare l’epidemia, sono gli stati a cui vengono affidati i respiratori.

Termina marzo ed il 3 aprile Papa Francesco è il protagonista di una nuova donazione: 60 mila euro al vescovo di Bergamo – tramite il Capitolo di San Pietro- perché provveda a comprare dei respiratori per l’Ospedale Papa Giovanni.

La curva inizia a scendere, si vedono i primi dati che lasciano sperare dopo settimane di numeri sempre in crescendo ed arriva anche un nuovo gesto di enorme portata voluto dal pontefice.

Il 6 aprile infatti, arriva un fondo per le zone di missione colpite dal virus. Il contributo iniziale stanziato da Papa Francesco ammonta a 750 mila dollari, le Chiese che possono, chiede il Papa, contribuiscano attraverso le Pontificie Opere Missionarie.

Quello di ieri è stato l’ultimo gesto di solidarietà e beneficenza da parte del pontefice, un’azione che allunga la lista di ciò che negli ultimi due mesi ha fatto la Chiesa, durante una Quaresima che mai come stavolta è stata un tempo di privazione e sofferenza, ma anche di carità, parola centrale di questo magistero guidato da Bergoglio.

“E pure sto Sinodo…”

“E pure sto Sinodo se lo semo torto de mezzo…”

Per la terza volta alla fine di ottobre mi sono ritrovato a ripetere questa frase ormai proverbiale, pronunciata una sabato sera di ottobre del 2015 al termine del primo Sinodo seguito, quello da insider e indubbiamente il più faticoso.

Tre anni dopo, ossia lo scorso ottobre, ho vissuto il primo Sinodo da corrispondente a Roma, lunghissimo e ricco di insidie, 33 giorni di lavoro senza pausa.

Domenica invece è terminato l’ultimo, quello più breve dei tre e certamente più leggero per quanto mi riguarda in termini di lavoro e impegni.

È finita quindi anche questa avventura, e allora è bene dare una occhiata a ciò che dice questo documento finale approvato e votato dai presenti in aula.

Qui di seguito il mio articolo.

Il concetto di conversione è l’elemento che accompagna il testo finale del Sinodo che si è concluso domenica mattina con la messa nella Basilica di San Pietro.

Nel tardo pomeriggio di sabato, come tradizione ormai del Sinodo, è stato votato il documento finale che racchiude questi 21 giorni di Assemblea, un testo approvato a larga maggioranza dai 181 presenti in aula.

Cinque capitoli e 120 paragrafi, questa l’ossatura del documento. Nel primo capitolo c’è un invito ad una “vera conversione integrale”, con una vita semplice e sobria, sullo stile di San Francesco d’Assisi. I dolori dell’Amazzonia sono il grido della terra e al tempo stesso il grido dei poveri, un concetto ribadito dal Santo Padre nella sua omelia di domenica quando ha sottolineato che:

“anche nella Chiesa, le voci dei poveri non sono ascoltate e magari vengono derise o messe a tacere perché scomode. Preghiamo per chiedere la grazia di saper ascoltare il grido dei poveri: è il grido di speranza della Chiesa. Il grido dei poveri è il grido di speranza della Chiesa. Facendo nostro il loro grido, anche la nostra preghiera, siamo sicuri, attraverserà le nubi”.

Il documento evidenzia anche i tanti dolori e le numerose violenze che feriscono l’Amazzonia minacciandone la vita. Problemi come la privatizzazione di beni naturali; i modelli produttivi predatori; la deforestazione che sfiora il 17% dell’intera regione; l’inquinamento delle industrie estrattive; il cambiamento climatico; il narcotraffico; l’alcolismo; la tratta; la criminalizzazione di leader e difensori del territorio; i gruppi armati illegali, tutti problemi che attanagliano l’Amazzonia.

Nel secondo capitolo il concetto di conversione viene declinato a livello pastorale: la missione della Chiesa in Amazzonia dovrà essere “samaritana”, ossia andare incontro a tutti, altro tema ribadito dal Papa nelle ultime settimane, in un mese di ottobre che ha coinciso anche con quello missionario straordinario.

L’urgenza di una pastorale indigena e di un ministero giovanile sono i temi centrali di questo capitolo. Si trova anche l’invito a promuovere nuove forme di evangelizzazione attraverso i social media e ad aiutare i giovani indigeni a raggiungere una sana interculturalità.

Il terzo capitolo parte da un presupposto: la necessità di avere una inculturazione e una interculturalità per raggiungere una conversione culturale che porti il cristiano ad andare incontro all’altro per imparare da lui. Proprio i popoli amazzonici sono in grado di offrire insegnamenti di vita e sono coloro i quali possono spiegare concretamente che tutto il creato è connesso, essi sono infatti i migliori guardiani dell’Amazzonia. Anche perché, “La difesa della terra – si legge nel testo – non ha altro scopo che la difesa della vita”.

L’annuncio del Vangelo deve essere quindi il più distante possibile da “un’evangelizzazione in stile colonialista” e dal “proselitismo”, ma un messaggio che promuova una Chiesa dal volto amazzonico, rispettando storia, cultura e tradizione dei popoli indigeni.

La conversione ecologia è il tema principale del quarto capitolo. L’ecologia integrale non deve essere considerata però come un percorso alternativo che la Chiesa può scegliere per il futuro, bensì come l’unico cammino possibile per salvare la regione.

Tra le proposte del documento c’è anche quella della creazione di un fondo mondiale per le comunità amazzoniche, una azione per proteggerle dal desiderio predatorio di aziende nazionali e multinazionali.

L’ultimo capitolo, il quinto, torna sul concetto di sinodalità, affermando che: “in tale orizzonte di comunione e partecipazione cerchiamo i nuovi cammini ecclesiali, soprattutto, nella ministeralità e nella sacramentalità della Chiesa con volto amazzonico”. La sinodalità, in continuità con il Concilio Vaticano II, va letta come corresponsabilità e ministerialità di tutti, partecipazione dei laici, uomini e donne, ritenuti “attori privilegiati”.

Il paragrafo 103 spiega come nel corso dell’Assemblea siano emerse voci a favore del diaconato femminile. A questo proposito si chiede di poter condividere esperienze e riflessioni con la Commissione di studio convocata dal Papa nel 2016 e “attenderne i risultati”.

In conclusione, il paragrafo 111 apre alla possibilità “nelle zone più remote” di “ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo” pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Panama

Domenica mattina, mentre pensavo a come chiudere l’ultimo collegamento, mi sono reso conto veramente che tutto ero finito, che la GMG 2019 si era conclusa.

Pensando alle parole da dire, alla fine ho deciso di terminare lo stand-up nel modo più semplice: ringraziare e dare appuntamento a Lisbona 2022.

Facile a pensarlo, non complicato nel dirlo, un po’ più difficile invece metabolizzarlo.

Come ogni altra volta in vita mia ho sentito quella inevitabile malinconia, quella sensazione di un qualcosa per tanto tempo attesa e che in maniera rapida si esaurisce. La fine, in generale, soprattutto degli eventi, a me trasmette sempre questo pizzico di nostalgia, in particolar modo quando si parla di momenti che non si ripresentano subito.

Panama è stata davvero mille cose per me. Il compimento di una attesa, il realizzarsi di un obiettivo che come raccontato nel post precedente inseguivo con un certo coinvolgimento per tanti motivi. Oltre alla grandezza dell’evento, per me c’è stato anche molto di personale ed ovviamente l’esperienza ha avuto un doppio valore.

Di questa settimana contraddistinta da frenesia e “calor”, “mucho calor”, mi rimarranno nel cuore tante cose, tutte dietro però quella meravigliosa certezza di essere nel posto giusto al momento giusto, in qualche modo al centro del mondo, perché Panama nell’ultima settimana è stata questo.

Una GMG latina indubbiamente, di lingua spagnola e non solo per il paese ospitante, ma per la quantità indefinita di colombiani e venezuelani avvolti nelle loro bandiere.

Questi ultimi soprattutto sono stati fonte di riflessione: non c’è nulla da fare, quando si è in disgrazia e si soffre per il proprio paese, diventiamo tutti patrioti, tutti più orgogliosi, tutti ci sentiamo più parte di un qualcosa. Venerdì sera, durante la Via Crucis, non so per quale ragione specifica, ma questa considerazione mi ha commosso in un paio di momenti, mentre vedevo venezuelani ovunque cantare e stringersi, mentre a qualche migliaio di kilometri più a sud, nel loro paese, la storia, chissà, stava cambiando.

Come a Dublino, anche questo evento è stato occasione per conoscere e creare contatti con colleghi di tutto il mondo. Una opportunità per imparare e scoprire come ad esempio lo straordinario sistema che utilizza Sky Italia per trasmettere.

C’è stato il media centre ad ospitarmi, gli stand-up giornalieri, montaggi frettolosi e una perenne lotta contro internet che solo in due momenti ci ha ricordato che siamo nel 2019 e non nel 1998.

Svegliarsi davanti il Pacifico, cercare di capire la strana alta e bassa marea di Panama, le colazioni di lusso dell’Hilton di Avenida Balboa, i preziosi nipoti di Pedro a farci da scudieri e tassisti, tutto questo è stato un contorno che ha arricchito la settimana.

Panama mi è piaciuta, in quel suo mix di città americana mescolata al sapor latino, il contrasto fra il Casco Viejo e i grattacieli di Balboa, l’uomo considerato come lo scopritore dell’Oceano Pacifico, ma anche il menù medio di McDonald’s a 3,75 dollari o il Rum pequeno a 3 dollari che trovi dal “chino”.

Una città che ha saputo comunque gestire decentemente un appuntamento del genere soprattutto con un dispiegamento notevoli di polizia ovunque ed una forte sensazione di sicurezza in giro.

C’è stato tempo anche per il Canale, una tappa che non può non essere fatta, un obbligo, come il dover contrattare il prezzo per il taxi. E poi caldo, tanto caldo, una bellezza, una fortuna, dimenticarsi di essere a fine gennaio pensando che invece era una classica GMG estiva.

È stato bello davvero, e sabato sera, uscendo dal grande Metro Park, mi è tornato in mente del privilegio che ho avuto ancora, nonostante non possa capire la gioia della gente nel vedere il Papa, è sempre toccante osservare la fede degli altri, così come tanti giovani felici di essere insieme, festosi e carichi di entusiasmo.

Dopo Dublino, il Sinodo, il Papa prima di Natale incontrato privatamente per il nostro documentario, anche la GMG, con il meeting sugli abusi a metà febbraio in arrivo. Queste cose mi hanno ricordato una fatto durante questa settimana: se fossi rimasto a Toronto avrei vissuto tutti questi appuntamenti in prima linea? La risposta è no, penso proprio di no, e quindi a livello lavorativo la mossa è stata saggia. D’altra parte, ogni tanto bisogna porsi anche queste domande per allontanare quella tristezza che magari arriva alla fine di una grande esperienza, con l’augurio che la lista dei grandi eventi vissuti possa presto aggiornarsi.

Chiudete le valigie, si va a Panama!

Ero in camera dei miei quando a “Studio Sport”, Angelo Peruzzi, numero 1 della Nazionale, spiegava che aveva sentito un dolore al polpaccio, come se uno gli avesse tirato un sasso all’improvviso. La notizia non era tanto l’infortunio, quanto la conseguenza: avrebbe saltato il Mondiale di Francia e al suo posto avrebbe giocato Gianluca Pagliuca.

Due anni dopo, camminavo per via del Corso con alcuni compagni di classe, quando nel frattempo si giocava Italia-Norvegia, amichevole di preparazione a Euro 2000. Durante la partita Buffon si ruppe il polso e quindi fu costretto a saltare la rassegna continentale sostituito da Toldo che da lì a poco avrebbe vissuto un mese straordinario.

Questo doppio incipit che significa? Personalmente ha un valore. Sì, perché nel giugno del 2016 mi sono sentito come Peruzzi e Buffon, vicino ad un appuntamento atteso, certo di andare e poi quando ero lì, quasi sulle scalette dell’aereo, la sorte beffarda mi ha tirato giù.

Dovevo andare a quella GMG di Cracovia, e poi non sono più potuto andare. Da quel momento in poi ho aspettato quella successiva, quella di Panama che inizia martedì prossimo, ma stavolta salirò sull’aereo e mi giocherò il mio mondiale. Finalmente.

Poche ore e poi sarà la volta di Parigi (di passaggio) e di Toronto, per due notti prima di Panama. È tutto quasi pronto, la valigia da finire, il check-in online fatto, il briefing in sala stampa seguito per le ultime indicazioni prima di osservare il Papa in questo altro evento mondiale, dopo quello di fine agosto a Dublino.

Si riparte ancora una volta, un altro giro da inviato, pur non essendo sul volo papale, un’altra storia da vivere e soprattutto raccontare, con il clima che mi farà sognare in faccia all’Oceano.

Solo il triplo volo mi preoccupa un po’: soprattutto la tante volte battuta tratta Roma – Toronto, anche se il pezzo finale Toronto – Panama non può essere del tutto sottovalutato.

Tuttavia ci siamo, seguire eventi mondiali ha sempre un fascino unico, l’ho capito a in Irlanda e tornando a casa mi auguravo solo di rivivere qualcosa di analogo molto presto.

L’ho detto e ripetuto mille volte: se avessi dovuto scegliere fra la GMG di Cracovia e quella di Panama avrei scelto indubbiamente quest’ultima e adesso è il momento di andarci e allora…

Chiudete le valigie, si va a Panama!