Il mio Sinodo 2018

Il mio Sinodo è finito oggi, poco prima di pranzo con l’ultima cosa da filmare relativa nello specifico a questo evento. Un’altra maratona è terminata, ma a differenza di tre anni fa, stavolta non ho anche la fretta di riempire la valigia per tornare a Toronto.

Ricordo quando nel 2015, tutti mi chiedevano se ero felice di rientrare in Canada, e la mia risposta era sempre la stessa: “Sì, perché così almeno mi riposo”.

Questa risposta implicava una grande verità, ossia la fatica che genera un Sinodo, che per me è un po’ il Mondiale della Chiesa, soprattutto per tempi e ritmi.

Anche questa è andata alla fine, e stavolta il recupero da 29 giorni di lavoro di fila (saranno 33 alla fine di questa settimana e prima di un vero weekend) sarà probabilmente più facile, considerando appunto che non ci sarà un volo, un fuso da smaltire e nessun momento per rifiatare.

A Dublino avevo riassaporato il piacere di essere dentro un grande evento, nel mese di Sinodo qui a Roma ho sperimentato lo stesso seppur con dinamiche diverse.

Rispetto al 2015 ho lavorato in una posizione diversa: meno insider, ma al tempo stesso ho seguito la conferenza stampa alle 13.30 ogni santo giorno.

Ho lavorato di più, sono stato più al servizio della squadra, ho avuto più responsabilità, un programma settimanale da continuare e fare e soprattutto sono stato il ponte, il tramite che comunicava con l’ufficio di Toronto.

È stata lunga, ma mai come questa volta ho constato il valore dell’esperienza: il sapere già quello che c’è dietro la prossima curva, la conoscenza pregressa che ti viene in soccorso e a volte ti aiuta.

Un mese di Sinodo significa nessun orario, weekend pieni a prescindere, connessioni internet che devono essere stabili, ma anche inconvenienti come il cavalletto che ha pensato bene di implodere o la tastiera del computer che una mattina ha smesso di funzionare, gettandomi nel dramma lavorativo.

Messe dentro San Pietro all’alba, controlli di sicurezza, discussioni con poliziotti a volte in versione sceriffo, gente da coordinare e colleghi mai sul pezzo.

Il Sinodo è un gruppone di gente che pascola con ritmi simili intorno 2-3 luoghi di riferimento, il fermento della Sala Stampa, tutto il mondo che si raccoglie in un’aula. Giornalisti e cameraman a volte un po’ sfasati, ma con i quali non puoi non parlare o solidarizzare.

Questo Sinodo 2018 è stato tante cose, soprattutto a livello personale, è stato un perfetto osservatorio per notare ad esempio la brigata americana carica a pallettoni ad ogni conferenza con domande solo su scandali sessuali e abusi.

Per un mese sono tornato a essere parte di un team nel senso reale, con un capo e dei colleghi affianco, un mese con un nuovo incontro diretto con il Papa e con un derby vinto al 92’.

Un mese lungo che è scappato via senza aver quasi memoria di tutto il resto, novembre è già qui intanto, le scuole chiudono a Roma come mai successo prima, il calendario dice che mancano solo 57 giorni a Natale, e dopo quello, sarà il momento di un’altra storia da raccontare con destinazione Panama.

“Pagine Vaticane” terza stagione

Venerdì ricomincia “Pagine Vaticane” con la terza stagione, la seconda da Piazza San Pietro.

Per curiosità giorni fa ho dato una occhiata a quanti episodi sono stati realizzati e il conto recita 65 che vanno divisi fra i 42 della passata stagione e i 23 della primissima serie.

Il ritorno di “Pagine Vaticane” a metà settembre, un po’ come tutti gli show settimanali di ogni TV, rappresenta per me un impegno importante sotto ogni aspetto. Uno programma così implica infatti ore di ricerca (notizie e video), scrittura, e soprattutto montaggio.

La settimana tornerà ad essere ricca e con scadenze sempre più strette, ma indubbiamente questa sarà la serie che parte con meno interrogativi e più certezze. La prima aveva i dubbi e i crucci del decollo, la seconda includeva timori sulla logistica e il fatto di essere solo a Roma, questa terza stagione si sbarazza delle questioni appena citate e sembra potersi imbarcare in questo nuovo lungo viaggio in modo più sicuro.

Tre puntate e poi sarà tempo di Sinodo. Il secondo che seguirò dopo quello del 2015, anche se questa volta avremo un punto di vista meno privilegiato, meno insider. Sarà un mese di riconcorse e di caccia, fra coffee-break in cui si deve intercettare il vescovo ed esclusive da accordare: sarà un mese nel quale ad un certo punto attendi la fine, senza giri di parole.

Nove mesi davanti con la speranza che il prodotto venga ancora apprezzato e con la sensazione di doversi inventare qualcosa in più, una aggiunta che devo però ancora individuare ma che potrebbe arrivare in corso d’opera e magari qualche sorpresa.

Mi aspettano una quarantina abbondanti di episodi, senza pause e con qualcuno che filmerò magari in studio come lo scorso aprile-maggio.

Si va avanti, si comincia, anzi, si riparte, con il piacere di fare un qualcosa di bello e con la speranza che ci sia meno pioggia della stagione passata.

Insomma, lo stratwarming capita una volta ogni 30/35 anni dicono, ecco, fino alla serie numero 36, più o meno, dovremmo stare a posto.

Gaudete et Exsultate

« Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi. »

«Rallegratevi ed esultate» (Mt 5,12). Inizia così la terza esortazione apostolica di Papa Francesco, presentata questa mattina nella Sala Stampa della Santa Sede, dove sono intervenuti Mons. Angelo De Donatis, Vicario Generale per la Diocesi di Roma; il giornalista Gianni Valente e Paola Bignardi di Azione Cattolica.

Il titolo del testo, “Gaudete et Exsultate”, è un invito a far risuonare nel mondo contemporaneo una vocazione universale, la chiamata a diventare santi. Nei 177 paragrafi del documento, suddiviso in 5 capitoli, il pontefice vuole sottolineare la possibilità della santità per ciascuno di noi, perché la storia della Chiesa racconta infatti di molti santi “della porta accanto”.

Nel primo capitolo, Papa Francesco si sofferma sulla chiamata alla santità e su quei santi che ci incoraggiano ed accompagnano al tempo stesso. Il Santo Padre, a tal proposito, afferma: “Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante”.

Successivamente, il Santo Padre spiega quale sia il disegno per un credente con queste parole: “Per un cristiano non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità, perché «questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). Ogni santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo”.

Andando avanti, nel secondo capitolo, Papa Bergoglio si concentra sui “sottili nemici della santità”: lo gnosticismo attuale ed pelagianesimo. Il primo suppone infatti «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti». Il secondo invece è la conseguenza contemporanea della dottrina di Pelagio, improntata a un moralismo ascetico-stoico. In base a questa teoria infatti, l’uomo con le sue forze può osservare i comandamenti di Dio e salvarsi; la grazia gli è data solo per facilitare l’azione. La conseguenza è la negazione del peccato originale e della necessità del battesimo e della penitenza.

Scorrendo le pagine del testo si arriva al terzo capitolo con il quale il pontefice riprende gli esempi di Gesù, colui che spiegò con grande semplicità il concetto di santità attraverso le Beatitudini (cfr Mt 5,3-12; Lc 6,20-23).

“Esse sono come la carta d’identità del cristiano. Così, se qualcuno di noi si pone la domanda: come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?, la risposta è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini. In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita”.

Nel penultimo capitolo, Papa Bergoglio, parla di alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale. Il pontefice menziona aspetti come la sopportazione, la pazienza e la mitezza. Tali caratteristiche vengono supportate anche dalla gioia e dal senso dell’umorismo, così come dall’audacia e dal fervore. Per il Santo Padre la strada della santità deve essere vista come un cammino vissuto “in comunità” e “in preghiera costante”, un percorso che arriva alla “contemplazione”, non intesa però come “un’evasione” dal mondo.

Il capitolo conclusivo serve al pontefice per ricordare un concetto fondamentale: “La vita cristiana è un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita”. Non manca l’attenzione al discernimento e ai giovani, spesso “esposti ad uno zapping costante” in mondi virtuali lontani dalla realtà. Un messaggio finale che risuona indubbiamente come un ulteriore richiamo al prossimo Sinodo di ottobre, nel quale proprio i giovani saranno i protagonisti.

Una “piacevole condanna”

L’ultimo post dell’anno sono soltanto alcune righe dedicate al “progetto” che mi ha portato via più tempo in questo 2017, ossia il mio programma settimanale, quello ideato, scritto, condotto e montato dal sottoscritto, quello che ha cambiato anche location, dallo studio alla terrazza.

Quello che ad un punto è divenuto anche filmato dal sottoscritto. Insomma, lo show che è andato in onda per 37 settimane in questo 2017, da venerdì 3 febbraio fino al 30 giugno e poi con la nuova serie dal Vaticano, dall’8 settembre a ieri sera.

Una “piacevole condanna” che ha scandito le mie settimane, un nuovo impegno che ha stravolto il mio schedule quotidiano. Una lunga maratona che proseguirà nel 2018 e vedrà il traguardo, come lo scorso anno, a fine giugno.

L’ironia della sorte ha fatto sì che l’ultima puntata dell’anno, quella relativa alla settimana più importante, sia stata girata all’interno, nella terrazza della splendida Residenza Paolo VI, una delle frasi che utilizzo sempre in apertura, ma non per contratto, attenzione, ma proprio perché è ciò che penso considerando la visuale ed il luogo.

Ci rivediamo venerdì prossimo, ovviamente, non si va mai in vacanza qui, ma il fatto di rimandare il tutto al 2018 dà un po’ quell’idea però. E allora tanti auguri e buon anno.

Qui l’ultima tappa della “piacevole condanna”.