Il muro di Paul

 

Quell’inverno, nel 1994, Paul Merson erano solito guidare guardando i muri. Ma che cosa era successo? Eppure Paul è stato uno dei più grandi giocatori del dopo guerra del calcio britannico, almeno nella prima parte della sua carriera.

È di Londra e non fa in tempo a tirare i primi calci che è già all’Arsenal. A 18 anni debutta in prima squadra, gioca un po’ a centrocampo e un po’ in attacco, ma soprattutto gioca benissimo. L’Arsenal vince subito con lui, lui è un londinese amante dell’Arsenal che gioca nella squadra del cuore.

Ma dietro quell’Arsenal, il grande Arsenal, c’è una squadra di alcolizzati, è una delle storie più incredibili dello sport mondiale.

Il capitano è Tony Adams, difensore insuperabile, sia in area di rigore, che sostanzialmente dietro il bancone del pub. La regola è tre: tre pinte di birra per volta, se vincono bevono, se perdono bevono, se pareggiano bevono, però dovete moltiplicare per cinque. La media di pinte di birra dopo una partita dell’Arsenal è quindici.

L’Arsenal vola, ma i giocatori scendono sempre di più. La vita di Paul diventa stretta, è un giocatore in bilico, sulla linea laterale del campo vicinissimo a finire in panchina, e la sua famiglia gli ha già esibito il proprio cartellino rosso sbattendolo fuori dalla porta di casa.

E adesso torniamo a quell’inverno del 1994, Paul di muro ne sta cercando uno solido, il più solido possibile, una volta trovato si sarebbe lanciato contro a tutta velocità, uno schianto per fare a pezzi la sua vita, accartocciarla come le lamiere della sua auto e sparire.

La sua vita non gli apparteneva più. Il muro finalmente lo trova, 140 km/h, la macchina distrutta, ma per uno di quei casi della vita anziché schiantarsi, Paul Merson rimbalza. Rimbalza lontano, rimbalza emotivamente, rimbalza da tutti i punti di vista.

L’Arsenal lo riammette in squadra, la Football Association lo aiuta evitandogli ogni sanzione. L’inferno di droghe e alcol è una punizione sufficiente, lo cedono al Middlesbrough, Serie B, ma cosa importa, torna a giocare, e clamorosamente, due anni dopo Glenn Hoddle lo riconvoca per i Mondiali di Francia, corre l’anno 1998.

Non importa se oggi Paul Merson ha smesso di giocare, il messaggio è molto chiaro: nella vita si può rimbalzare, anche quando ci si ritrova negli inferi, fra droga e alcol.

 

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