Raccontare la morte

Un filo spezzato, un percorso interrotto drammaticamente una domenica di autunno in un luogo lontano da casa, in un altro continente. È finita al secondo giro di un Gp inutile la vita di Marco Simoncelli, una fatalità micidiale che ha fatto calare il gelo nel caldo circuito della Malesia e il silenzio in chissà quante case che si erano da poco ravvivate con le prime luci di una domenica come tante altre. Piangere un ragazzo di 24 anni è qualcosa di impensabile, piangerlo per un incidente durante una gara ti fa pensare e riflettere sul destino ed inevitabilmente sulla vita. È stato un risveglio inatteso per tutti, anche per il sottoscritto che mentre faceva colazione si era sintonizzato su Italia 1 per assistere alla gara, un po’ per svegliarmi del tutto, un po’ perché non c’erano alternative interessanti. Ho visto l’incidente, ho capito fin da subito la gravità dell’avvenuto, soprattutto quando ho visto il casco volare, un pessimo segnale, un tristissimo indizio. La gara è stata posticipata una volta, e poi un’altra fino alla cancellazione finale, un altro presagio che si incastrava perfettamente in un quadro tragico. Ho pensato al peggio, fin dall’inizio. Le notizie che circolavano parlavano di un Simoncelli giunto all’ospedale già con un arresto cardio-respiratorio in corso da tempo ed un segno evidente e maledettamente vistoso sul collo.  Ho visto il padre scuotere la testa, la ragazza piangere, ho capito che il disegno più sconvolgente si stava compiendo. Seguendo la diretta ho apprezzato moltissimo il modo in cui è stato raccontato il fatto, Guido Meda è stato impeccabile, nessuna “notizia di corridoio” ma solo certezze, meglio un punto interrogativo pesante che una mezza frase, nessuna illusione. Ho provato a immaginare cosa si potesse provare in momenti del genere, quando devi raccontare un evento sportivo, quando devi fare il tuo lavoro e ti ritrovi a parlare di morte e di qualcosa che riguarda una persona che conosci perfettamente. Per questo ragioni ho apprezzato l’umanità di Meda, la sua voce con il magone e quei silenzi di attesa. Ho ammirato il suo lavoro e quello degli inviati, soprattutto di Paolo Beltramo che conosceva benissimo Simoncelli e che nonostante la palese paura ha fatto tutto il possibile con dignità e serietà. Il lavoro è una cosa, gli affetti, le conoscenze e i drammi sono su un altro livello, quando queste strade si incrociano il risultato è sempre strano. Ieri tutti si sono distinti, malgrado le scuse sulla loro professionalità che in quei momenti stava lasciando spazio al dolore e al timore. Prima di essere giornalisti e cronisti sono uomini, persone come noi e hanno fatto un gran lavoro, io amo quel tipo di giornalismo, quello di persone che vivono il loro mestiere con il cuore e con passione e anche in situazioni estreme come ieri hanno dimostrato di essere grandi uomini, gente con una tale dignità che non può non essere ammirata.   

Raccontare la morteultima modifica: 2011-10-24T19:26:21+02:00da matteociofi
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