Quella del 2001 (Parte I)

“Sì, ma secondo te, era più forte quella Virtus, quella della doppietta del 1998, o quella della tripletta del 2001?”

Mi rispondo magari il 19 giugno.

 

Finiva cosi il post del 31 maggio ed il momento è arrivato. Tante volte mi sono posto la questione, non solo io ovviamente, una domanda a cui è veramente difficile rispondere ma alla quale proverò a dare una mia idea.

Da dove partiamo? Direi dall’estate, o forse dal 30 maggio 2000, quando la Fortitudo per la prima volta vince lo scudetto. Al quarto tentativo, due anni dopo quel 31 maggio 98, l’aquila biancoblu raggiunge il traguardo sperato da una vita. Bologna si ribalta, cambiano le gerarchie ma non solo.

Cazzola, il grande patron della Virtus invincibile lascia, Madrigali prende il comando della V nera, la squadra viene rivoluzionata, ma il punto fermo rimane sempre lui, il coach Ettore Messina. Arrivano giovani di prospettiva e dalle qualità indubbie: Manu Ginobili, 22enne italo-argentino, l’anguilla di Baia Bianca e Marko Jaric, serbo 22enne che passa dalla F scudata alla Kinder, attraversando semplicemente Bologna come Frosini tre stagioni prima. A questi si aggiungono un lungo giovane e capace come David Andersen, un centro enorme, 2.11 che di nome fa Rashard e di cognome Griffith il quale dominerà le aree pitturate dei parquet di tutta Europa e un giovanotto sloveno, una ala grande con una mano molto educata dall’arco che va sotto il nome di Matjaz Smodis.

Il materiale non è male, anzi, va sgrezzato, c’è tanta gioventù ed esuberanza che va mixata con gli storici senatori: Rigadeau, Sandro “Picchio” Abbio, Hugo Sconochini e Sua Maestà Danilovic.

La leggenda virtussina però, ad inizio ottobre, poco prima che inizi il campionato, dopo le Olimpiadi di Sydney, dice basta e chiude con il basket. A 30 anni, dichiara che non ce la fa più e che le sue caviglie non sono più in grado di andare avanti a certi livelli. Il vuoto. Questo è quello che genera una decisione così, la quale lascia nello sconforto mezza città e gli amanti della pallacanestro.

Danilovic abbandona il basket giocato, il campionato sta per iniziare e l’ultimo scossone arriva da un altro uomo di grande carisma come Sconochini che viene trovato positivo al controllo anti-doping. In pochi mesi, la Virtus viene ridisegnata del tutto, ma come spesso capita, da una tornado di dimensioni devastanti e in un contesto tutt’altro  che promettente, viene fuori la stagione perfetta. La più grande stagione della storia della Virtus Bologna, quella del Grande Slam.

La Kinder parte male, perde la Supercoppa, alla terza di campionato scivola a Udine, perde a Atene in Eurolega, Messina capisce definitivamente che dovrà compiere un miracolo per dare chimica e fisionomia ad una squadra di talento ma acerba e soprattutto orfana di due guide.

Quando la Virtus torna in campo è il 5 novembre e batte al Palamalaguti la Scavolini Pesaro 86-78, sembra una vittoria normale, in realtà, da quel momento in poi, la Kinder non perderà più.

Infila una striscia di successi che termina a marzo, dopo un supplementare a Varese. I bianconeri macinano punti e vittorie trascinati da Ginobili e Jaric, la svolta dell’anno arriva a pochi giorni da Natale quando a Casalecchio arrivano i campioni in carica della Paf Fortitudo ed il derby si trasforma in un massacro sportivo di dimensioni spropositate.

La Virtus vince 99-62, un +37 che cambia la storia del campionato. Perché pochi giorni dopo la V nera va in testa da sola e ci rimarrà fino al termine della stagione.

La squadra decolla, nessuno riesce a spiegarsi l’esplosione totale di un gruppo così nuovo, i giovanotti non cedono alle pressioni ma si caricano la V nera sulle spalle e la portano passo passo in cima a ogni competizione. A febbraio la Virtus gioca a Roma e vado a vederla, per la prima volta. Ho 13 anni e vado da solo, in curva, nel settore ospiti. Vinciamo comodamente e nel turno infrasettimanale passiamo anche al BPA di Pesaro allungando a + 12 sulla Fortitudo.

Arriva il derby di ritorno che lo vince la Paf ma nel frattempo la corsa delle bolognesi in Europa sta per incrociarsi ancora, come nel 1998 e nel 1999 e ancora una volta in semifinale, con una serie al meglio delle 5.

Parto in gita con la scuola e la mia preoccupazione più grande è questa partita che grazie a Telepiù nero posso vedere. È un remake del derby d’andata di campionato, finisce solo con un +27, ma due giorni dopo in Gara-2 la musica è diversa. La F scudata non molla e si fa sotto, l’eroe di giornata è Davide Bonora che nel secondo tempo sposta gli equilibri e dà il 2-0 alla Kinder. Cinque giorni più tardi si va per Gara-3 in casa della Paf, e quando il collegamento inizia, Geri De Rosa di Telepiù apre dicendo: “Dopo due partite a Casalecchio la serie si sposta ora nel centro di Bologna, al PalaDozza.” Non chiedetemi perché, ma a me ‘sta frase ha sempre esaltato in maniera indicibile e ci ripensavo proprio pochi giorni fa.

Si mette male, l’aquila scappa e la Virtus soffre. Poi, sul + 20 Fortitudo, dopo una bomba di Myers, non so cosa succeda. Loro spariscono e la partita cambia del tutto. Ginobili fa canestro da ogni posizione, bucherebbe la retina anche da Piazza Maggiore, la Paf va in tilt totale, il parziale della quarta frazione recita 1-25, Frosini mette un canestro d’oro, arriva il soprasso e io vivo gli ultimi secondi praticamente in mutande per la trance agonistica nella quale sono entrato.

Finisce 70-74 che significa 3-0 e finale di coppa campioni. La quarta finale europea in 4 anni e la terza volta in cui in uno scontro diretto continentale la F scudata si piega alla forza della V nera. Corro per casa come un ossesso e finisco la mia cavalcata addosso al comodino di mia madre in preda a uno di quei momenti di esaltazione che sarà dura poter rivivere…

(CONTINUA)