Come la sera del 22 maggio

Il pranzo a casa di mia nonna, il sole di quel sabato e il fresco della metro che mi portava a Termini. La stazione, il saluto con Alfredo e la Gazzetta sotto braccio. Spalle alla direzione del treno, la greca davanti a noi, ore di silenzio intervallate da pochissime parole, per via della tensione e della trance agonistica che possono vivere solo i tifosi. “Mago Mou pensaci tu” titolava la rosea, Alfredo che continuava a fingere di darmi un pugno e ripetere Pem! Fino a quando gli ho detto che aveva rotto i coglioni poco prima di Bologna, sì Bologna. Il treno nel frattempo aveva caricato tifosi in giro per l’Italia e diretti a Piazza Duomo, l’epicentro di 100 mila cuori in attesa.

La stazione centrale a pochi minuti e Alfredo che parlava in spagnolo con i peruviani che avevano la maglia con la croce del centenario e gli ricorda però che il “Rojo e Blanco” sono i colori del Bayern. Milano appunto. Caldo, caldissimo. Il trolley lasciato in hotel, alcuni messaggi che iniziavano ad arrivare sul mio cellulare. In bocca al lupo, sentiti, ne ricordo due soprattutto.

La fermata del Duomo chiusa e la lunga camminata per raggiungere la piazza passando davanti la Scala e dentro la Galleria. Poi un mare umano. Niente cena, niente acqua, sospesi in una dimensione ultra terrena quasi. Si comincia, ma alle 21,22 viene giù tutto, guardo il Duomo, ma non parlo di Alfredo che sta alla mia destra, e mi domando per un attimo, in un secondo di lucidità, come è possibile che sia rimasto in piedi. Ha tremato la città, io ho sentito un dolore in pieno petto mentre gridavo come un ossesso e continuavo a spingere il Duomo, sì stavolta Alfredo.

Alle  22,24 ancora. Un vulcano tappato per 45 anni esplode di nuovo. Sappiamo che è fatta, ma non vogliamo crederci.

Poi però succede. E siamo nella storia e ci abbracciamo tutti insieme. Non ho idea di quello che stia succedendo, continuo a dire “l’abbiamo vinta”, un po’ lo grido, un po’ lo penso, a volte lo sussurro, altre lo ripeto a me stesso, al telefono lo strillo invece, aggiungendo anche che l’abbiamo riportata a casa. Forse piango pure, penso a mia nonna e a quello che le ho detto poche ore prima, mi vengono in mente migliaia di immagini e tante persone che vorrei stringere. Sono sfinito tanto quanto contento, e questo significa allora che sono distrutto. Sono completamente fuori controllo ed è una sensazione bellissima. Sembra che l’ho vinta io questa coppa, ma forse è un po’ così.

La missione è compiuta, l’impresa è stata fatta. Primi e unici ad esserci riusciti. Andiamo a San Siro, sta succedendo di tutto, quando sono le 2.30 e siamo sul piazzale sotto la Curva Nord,  al grido “Vaffanculo Piquè”, ci guardiamo e ci abbracciamo con Alfredo.

Stiamo iniziando a capire quello che è capitato, e con un tono normale, ma ancora in estasi, ci diciamo in contemporanea che ce l’abbiamo fatta. Ora andiamo dentro e aspettiamo che ce la facciano vedere però. Succede mentre sta per albeggiare, è una immagine che va oltre qualunque sceneggiatura, siamo in 50 mila e non vogliamo più andare a dormire, non vogliamo che questo 22 maggio finisca.

Saltiamo e cantiamo, esco un attimo a prendere un panino con la salamella, è il più buono che abbia mai mangiato, almeno così pare. Vedo per un attimo San Siro illuminato da fuori, è una cartolina che grida e celebra, penso che valeva la pena aspettare così tanti anni per una emozione del genere.

Quando Cambiasso me la alza a pochi metri realizzo seriamente che è tutto vero e so che quando andrò nuovamente a dormire, prima o poi capiterà, lo farò non solo da campione d’Europa ma senza un sogno cullato una vita, e sarà una strana sensazione.

Diventiamo grandi il giorno in cui capiamo che i sogni di quando eravamo bambini sono irrealizzabili, a volte però avviene il contrario, a volte, invece, diventano realtà.

Come la sera del 22 maggio 2010.

Amarcord

21/05/2010

Ad un passo

Siamo lì, ad un passo dal sogno, a 90 minuti dalla gloria. L’attesa infinita sta per terminare, poco più di 24 ore, e poi sapremo chi riuscirà a completare questo Grande Slam portandosi la Coppa Campioni a casa. È certamente la partita più importante della mia vita, e l’occhio destro che mi batte da giorni, è il termometro di quanto la tensione si sia impossessata di me. In qualche modo, è anche il post che ho sempre sperato di poter scrivere, raccontare le mie sensazioni prima della partita che tutti sognano di vedere e giocare. Sento questo avvenimento più dei finali di campionato al foto-finish e addirittura più della finale dei Mondiali del 2006. È la mia prima volta, mentre è la quarta occasione in cui vedo l’Inter arrivare all’atto conclusivo in una competizione europea, ma i tre precedenti erano di coppa Uefa, l’ultimo è datato 1998 a Parigi. Fin da quando ero piccolo e ho iniziato a tifare, ho sempre desiderato vedere l’Inter campione d’Italia, crescendo, il desiderio irrefrenabile di conquistare questa coppa, mi ha accompagnato, l’Europa è diventata l’ossessione della mia adolescenza e della prima gioventù. Ora che sono alla vigilia di questo appuntamento, mi pare tutto molto strano, in parte ancora non me ne rendo conto, ma sento dentro di me la voglia esagerata di vivere questo momento e di alzare quella dannata coppa. È paradossale pensare come solo l’Inter mi faccia essere una persona tesa, ansiosa e angosciata, nient’altro mi porta a certi livelli. Sono notti che dormo male e faccio incubi inquietanti che hanno come sfondo la partita di domani, non ne posso veramente più. È una finale inedita, nessuno avrebbe scommesso su questo epilogo a settembre, ma da una parte, penso che sia la “Vera Finalissima”, non è mai successo che due squadre vincendo la Coppa Campioni, potessero completare rispettivamente il loro personale tris. Questo dato statistico, per quanto magari ininfluente, è a mio parere abbastanza emblematico, Inter-Bayern Monaco è una grandissima finale, la sfida dell’anno. Non mi interessano le polemiche, il futuro di Mourinho, le schermaglie verbali della vigilia, il mio pensiero è rivolto solo al campo e alla vittoria. Non credo che sia il caso di sottolineare ancora quanto tenga a questo momento, la sua eccezionalità lo rende veramente unico, magico e forse irripetibile. Come ho scritto qualche giorno fa, siamo dei privilegiati, ci sono decine di milioni di tifosi in tutto il continente che vorrebbero essere al posto nostro, invece, almeno per stavolta, sarà il nerazzurro a gremire le tribune del Bernabeu.

 

Ancora qualche ora, e poi saremo lì, sarò lì, con il cuore che batte forte e la voce che trema, ad un passo dal sogno, a 90 minuti dalla leggenda.

 

 

So che potete farcela. Che farete di tutto. Che sentite che vi siamo vicini. Adesso ragazzi. Adesso è il momento. Noi ci crediamo.

Una partita “logica”

Il calcio è uno sport molto semplice, è facile da praticare e ancor più da commentare. Ieri sera, nella seconda semifinale di Champions League, il Barcellona ha espugnato meritatamente Madrid compiendo un passo determinante verso la finale del 28 maggio. È facile quindi capire come una squadra che provi a giocare a calcio alla fine possa vincere mentre un’altra che rinuncia al proprio gioco alla lunga possa essere sconfitta. Il calcio non è molto logico a volte, ma diventa scontato quando si assiste a partite come quella di ieri sera. Mourinho voleva vincere difendendosi, ma la sua squadra alla fine non ha mai creato nulla di pericoloso, vincere senza giocare è difficile, riuscirci senza tirare mai in porta è impossibile. E’ su questo concetto che si basa la logica della partita di ieri, il Real non ci ha mai provato, il Barça malgrado qualche difficoltà di troppo ha sempre tentato di sviluppare il proprio gioco ed alla fine è stato premiato, anche grazie ad un’espulsione generosa ma che ci poteva comunque stare. Per la terza volta in 10 giorni abbiamo visto un primo tempo bloccato, teso e con mosse strategiche da partita di scacchi, nel secondo tempo è uscito fuori il Barcellona che con un infinito possesso palla ha sfiancato il Real prima di colpirlo al momento giusto. Mercoledì scorso, in Coppa di Spagna, Mourinho aveva impostato un partita identica a quella di ieri e dopo 102 minuti era passato in vantaggio grazie ad un contropiede micidiale, ha voluto giocare nuovamente in questo modo ma è stato evidente come una tattica del genere possa premiarti raramente e condurti molto più spesso ad una sconfitta, soprattutto quando affronti una squadra superiore. Il Real non poteva affrontate il Barcellona come ha fatto lo scorso anno l’Inter perché è inferiore a quella squadra per uomini e determinazione e così ha dovuto ripiegare su una tattica difensiva e di contenimento che ha concesso agli avversari il 72% di possesso palla, un dato indicativo che alla fine ha punito i blancos. Nella serata del Bernabeu oltre alle difficoltà madridiste si è visto un giocatore fenomenale come Leo Messi che è tornato ad essere decisivo nelle gare fondamentali di Champions, un arbitraggio discreto e un aspetto ormai noto dei giocatori del Barça: la tendenza alla sceneggiata in seguito a certi falli. Dani Alves ha esagerato sull’intervento di Pepe così come Busquets fece dopo la psuedo-manata di Thiago Motta, evidentemente questo comportamento è una costante da parte dei catalani, maestri nella simulazione e nell’accentuare ogni contatto. L’Uefa dovrebbe prendere provvedimenti perché la ripetitività di tali gesti significa di certo qualcosa, se dobbiamo vedere queste sceneggiate quanto meno sarebbe opportuno togliere quella ridicola toppa sul braccio sinistro di tutte le squadre voluta dall’Uefa con scritto Respect. Questo termine invocato continua ad essere assente ed il Barcellona ne è il capofila, una squadra così forte potrebbe fare a meno di espedienti del genere. Per la prima volta si sono giocate due semifinali che hanno dato lo stesso risultato, una vittoria secca da parte della squadra in trasferta, due successi che chiudono il discorso e fanno partire già il count-down verso la sfida di Wembley. A Londra andrà in scena la rivincita del 2009 e per il Barcellona c’è il cliente più difficile per la finale più giusta ovvero il Manchester United che potrà mettere in seria difficoltà gli spagnoli per la forza e l’immensa personalità e mentalità che hanno gli uomini di Sir Alex. Fra un mese sapremo se sarà rivincita o ancora dominio catalano.  

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E’ una vita che ti aspetto

Non so cosa dire, o meglio, non so come raccontare le emozioni di sabato sera, l’unica certezza di cui sono pienamente consapevole, è che ho vissuto la più bella nottata di sempre. Dopo 45 anni, finalmente, l’abbiamo riportata a casa, al termine di un inseguimento infinito, i nostri splendidi ragazzi, hanno conquistato la terza Coppa Campioni della storia interista. L’incantesimo è stato spezzato, il sogno è diventato realtà, l’ossessione si è sciolta magicamente. Sono strafelice, per contenere tutta questa gioia, dovrei essere due persone. Onestamente ancora non me ne rendo conto, mi pare impossibile che sia successo tutto ciò: in 17 giorni campioni di ogni cosa, l’annus mirabilis che tutti i tifosi del mondo sognano ed in pochi possono vivere. È stato un sabato emotivamente assurdo, mentre ero in metropolitana per raggiungere la stazione Termini, in 5 fermate, ho ripensato a tutta la mia vita da tifoso interista. In 15 minuti, ho rivisto veramente tutte le sofferenze vissute, e memore dei precedenti “viaggi della speranza” andati male, per un attimo ho avuto paura. Dopo aver incontrato Alfredo, è scattato ufficialmente l’avvicinamento verso l’ora cruciale, verso le 20 siamo giunti in p.za Duomo, epicentro della passione nerazzurra con i due megaschermi, e fin da subito abbiamo capito il totale delirio in cui eravamo finiti. Attraverso la bolgia, ci siamo divincolati per raggiungere un buon posto, ottenuto solo dopo aver circumnavigato il Duomo stesso. Alle 20.45, sono iniziati i 90 minuti più sentiti e sofferti, da quando seguo questa squadra. Il gol di Milito ha spazzato via i primi timori, mentre il raddoppio ci ha regalato un finale più tranquillo. Le due reti sono state accolte con un doppio boato impressionante, io ho dato il meglio di me, ho gridato a tal punto che ho sentito male dentro, non so dove, ma ho avvertito un dolore. Al fischio di chiusura, è stata l’apoteosi, un popolo impazzito che si abbracciava, saltava, gridava, ed io fuori di testa, che continuavo a stringere Alfredo. In qualche modo, questa coppa, l’abbiamo vinta insieme, è stato stupendo condividere questa trionfale cavalcata, e mi piace pensare che quando ricorderò questo momento, mi verrà in maniera inevitabile in mente anche il mio caro amico. L’alzata di coppa firmata Capitan Zanetti e poi 5 minuti in cui sono rimasto inebetito davanti lo schermo, fermo con le braccia lungo il corpo, estraneo dal mondo, incredulo completamente. Finita la diretta, la serata è proseguita lungo le vie della piazza, prima di tornare in hotel e dirigerci verso la stadio. Alle 2 eravamo già sotto il piazzale della curva Nord, mezz’ora dopo siamo entrati, accaparrandoci i posti sulle scale al primo anello arancio, posizione ottima con perfetta visuale. Lì seduti, abbiamo vissuto un’attesa infinita quasi quattro ore, prima di vedere la squadra in campo. La notte più buia è diventata mattina, 45 mila persone a gremire i primi due anelli in attesa dei propri eroi. L’alba, le prime luci del mattino e poi il Capitano con la coppa in mano che entrava sul terreno di gioco. In quel momento ho capito che avevamo vinto, per ore ho ripetuto: “Non ci credo fin quando non me la portano qui e la vedo”. Quando Cambiasso l’ha sollevata proprio lì davanti, è stato un brivido inspiegabile. Prima delle sette abbiamo abbandonato San Siro, con gli occhi lucidi non per la stanchezza, ma per le sensazioni attese da troppo tempo, una serata magica che rimarrà lì, nel cuore di tutti. Ormai l’aponia dimora nel mio corpo, ho raggiunto ciò che desideravo fin da quando ero piccolissimo e sono orgoglioso di appartenere a questa squadra, ho lavorato e sofferto anche io per anni e quindi questo successo lo sento veramente mio, ed è il motivo per cui ho apprezzato e assaporato tutto. È una vita che ti aspettavo cara Coppa, a marzo scorso te lo avevo promesso (12.3.2009) prima o poi ti avrei conquistato; anche l’emozione più bella l’ho vissuta, sono contento, e non ho veramente più nulla da aggiungere.

 

I campioni siamo noi. Noi, siamo l’Inter.

 

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Che coppia!!!