Estate 2022

Baby K un paio di anni fa cantava che l’estate può durare anche per sempre, in verità pure questa è finita.

Al netto del calendario, del 21 settembre e delle prime ventate fresche con tanti sbalzi di temperatura, l’inizio di ottobre mette realmente il punto a tutto quello che sa di mare e estate.

Ma c’è un però.

Come fu nel 2017 quando mi ritrovai a Lampedusa per girare il documentario sul Papa e i migranti, la fine di questa estate 2022 troverà il suo compimento in Grecia fra due settimane. C’è ancora vita quindi, c’è ancora estate e il costume deve rimandare di qualche settimana la sua gita senza ritorno verso gli scatoloni stagionali per fare spazio a tutt’altro tipo di indumenti.

Se è vero che questa estate vedrà il suo tempo supplementare a Lefkada, c’è da parlare di tutto quello che è stata questa infinita stagione, iniziata a metà maggio, con il primo mare domenica 22 maggio e proseguita fra caldo e zanzare, cocomero e sveglie presto.

È stata appunto l’estate del mare in anticipo e dello scudetto visto sfumare lo stesso giorno, del contratto a tempo indeterminato, di un altro tricolore –nel basket- scappato via, e poi la settimana del World Meeting Family, una avventura vera con un numero non quantificabile di ore lavorative sul groppone, ma vissuta in grande compagnia.

È stata l’estate delle prime vacanze e del primissimo viaggio internazionale post-covid. La Croazia, la costa dalmata rotolando verso sud, da Zara a Spalato, giù fino a Dubrovnik: fra cevapi e sassi al mare, onde con ogni tipo di azzurro e la birra Karlovacko, aerei e bus, frontiere e passaporti.

È stata l’estate di Lukaku. Del ritorno impensabile. Per gli altri, aggiungerei.

L’estate con il covid e della gente che sa ma non ti scrive come stai, così come quelli che non lo sanno perché non ti scrivono mai.

E poi l’estate romana da turisti a casa, Trastevere e le birre a San Calisto, ma anche la gita sul battello e la città vista dalla sua pancia, dal basso, dall’acqua, prospettiva rara e curiosa.

L’estate solo a casa, dal 31 agosto in poi a sperimentare la solitudine torontiana a cena, in silenzio, tutto spento, non per forza così male, se fatto ogni tanto.

L’estate del Falcone e della focaccia, del campionato iniziato, ucciso e perfino sepolto, ma soprattutto l’estate che termina con un deja vù: lunedì 12 settembre, mattina presto e zaino in spalla per andare a lezione.

Sì, c’è stata anche la settimana da studente al corso per giornalisti alla Santa Croce. Roba insolita ormai per me, ma ho trovato spunti interessanti e contatti utili, oltre a vivere un bel clima internazionale, e poi Roma quando si risveglia nelle sue vive nascoste merita sempre di essere respirata.

Che altro? Come dimenticare banche e notaio, calcoli e numeri, perché è stata l’estate in cui ho comprato casa, non una qualunque, ma quella in cui sono cresciuto, quella di mia nonna. Quella che da 30 anni mi ha sempre fatto pensare: “Chissà che brutta sensazione avrò quando qua abiterà qualcun altro…”

Aver azzerato quasi del tutto questa condanna che mi ha accompagnato non è poca roba, ma forse nemmeno me ne rendo conto ancora.

L’estate di uno SPID fatto a distanza, del bonus trasporti, della denuncia per la carta d’identità, la tessera elettorale, le visite dal dottore, le analisi del sangue, le elezioni.

Tanta roba e non solo perché è iniziata presto e finirà tardi, tanta roba perché dentro c’è stata tanta vita.

Estate 2022.

 

Croazia 2022

Bella, cara e sassosa. Partirei con questi tre aggettivi per descrivere gli otto giorni in Croazia fra Zara, Spalato e Dubrovnik.

350 km di costa, rotolando gradualmente verso sud, in un viaggio molto poco vacanza e molto viaggio per l’appunto.

È stato bello tornare in un posto e visitarne altri due, scoprire punti in comune e aspetti evidentemente differenti. Tre città, tre realtà che a modo loro ci hanno comunque affascinato.

Zara (per far felici i croati Zadar…il riferimento è a una mia discussione del 2016 con una croata al Crocodile di Toronto. Lei si presentò come una che veniva da Rijeka e io la salutai come una originaria di Fiume, creando una filippica di rare dimensioni e allora facciamoli contenti).

Piccola cittadina se non villaggio, storico centro universitario, secondo Sergio Tavcar accademia della pallacanestro slava, in fase di sviluppo e con un lungomare in via di rifacimento. Una piccola Spalato. In giro stranieri di ogni provenienza, ci siamo ritrovati nella sua pancia ed è stato molto bello. Forse non eravamo mai stati così centrali in altre città e fra il mare che ti parla, o meglio canta con l’organo e il suo piccolo foro romano, merita due giorni pieni.

La spiagge di Kolovare, scogli e sassi, ma anche lastroni di pietra dove sdraiarsi e tante acqua azzurra, trasparente, camminate lungo strada ma sotto i pini, e poi Ivo da Verona che casualmente ci ha nutrito nel suo ristorantino tre volte su quattro.

Spalato (per far  felici sempre i croati Split).

Due ore e mezza e siamo giunti a Spalato grazie a Antonio Tours Pag descritto come pessima compagnia ma perfetto mezzo che ci ha condotti nella grande città, o anche in una Zara XXL. Se a Zara si legge ovunque Tornado 1965, a Spalato il marchio di fabbrica è la Torcida 1950, la tifoseria dei tifosi di casa.

Già nel 2014 ero stato in grado di riscontrare l’ossessione per la squadra della città, stavolta ne ho notato la forma quasi patologica che assume considerando il tempo trascorso e i riferimenti, in particolare murales, in giro per le strade.

A me Spalato era piaciuta a suo tempo e in questa circostanza mi è piaciuta ancor di più. Abbiamo soggiornato in una casa vera e propria, in una via a due passi dal centro storico, un lungomare molto bello e il suo splendido labirinto intorno al campanile di Diocleziano, in questi giorni teatro di concerti estivi.

Qui abbiamo iniziato a familiarizzare coni supermercati, fra cui Studenac e l’onnipresente Tommy, luogo in cui abbiamo preso l’unica versa sòla della vacanza, ossia una bottiglia di olio da mezzo litro pagato 67 kune, quasi 10 euro.

Il suo mercato della frutta e verdura, il parco Marjan, il porto, le mega-barche, il movimento e la movida, così come le numerose spiagge: siamo stati conquistati giorno dopo giorno.

Cara sicuramente, posti economici introvabili, tutto costa come in Italia se non di più, ma è un luogo che rimane da visitare ed apprezzare.

Bacvice, Firule, Jezinac e Lubinski sono state le nostre spiagge, diverse fra loro e lontane da quelle a cui siamo abituati ma tutto è sempre valso la pena, soprattutto la camminata nel parco immenso, dejà vù della mia visita del 2014.

Ragusa (per far felici sempre e comunque i croati, detta anche Dubrovnik)

Croatia bus è la compagnia che ci ha portati oltre la Dalmazia, giù fino a Dubrovnik con tanto di doppia frontiera bosniaca da attraversare in una domenica estiva.

Risultato? Quasi sei ore di viaggio e duplice controllo con tutti i passeggeri del bus in fila a mostrare il passaporto.

E mentre imprecavo per chi avesse ridisegnato i confini della ex-Jugoslavia lasciando questi 22 km di costa e sbocco sul mare ai bosniaci, sono finito per scoprire la storia del ponte di Sabbioncello proprio dopo averlo superato, la grande costruzione che permetterà ai croati – e non solo – di aggirare questa frontiera e di arrivare a Ragusa restando sempre in Croazia.

Opera enorme, all’85% finanziata dalla UE con i cinesi a costruire: una storia che ha creato inevitabilmente malumore nei bosniaci segnando una interessante storia di geo-politica dei tempi nostri.

Del viaggio non si può non annotare il momento in cui l’autista, mentre avevamo da poco superato Fort’Opus e costeggiavamo la Neretva, si è acceso una bella sigaretta e ha fumato tranquillo e indisturbato. Visto il tipo, giustamente nessuno ha pensato di proferire parola, anche perché gli slavi è sempre bene lasciarli stare, soprattutto a casa loro.

A Dubrovnik siamo stati accolti da uno splendido monolocale affacciato sul porto, a 25 minuti a piedi dalla città vecchia ma con una vista meravigliosa. Qui siamo stati nella peggiore spiaggia ma anche in quella migliore, ossia il pezzetto davanti il Ponat Beach Bar.

Ragusa si differenzia dalle altre perché ha nel suo saliscendi una caratteristica molto netta, mentre il labirinto di stradine nella città vecchia è più facile da interpretare che nelle due precedenti. Abbiamo visitato l’isola di Lokrum, selvaggia e non abitata se non dai suoi pavoni (di conigli nemmeno l’ombra) una riserva naturale con scorci di mare incantevole, prima di ammirare il centro storico di giorno e poi di notte, provando nella terza città i tipici cevapcici (per la cronaca, hanno vinto quelli di Zara fatti da un italiano).

Bella, cara e sassosa dicevo all’inizio, ma per tanti motivi mi è sembrato il miglior posto dove andare e fatico a ricredermi sulla scelta.

Hvala!

Croazia, 8 anni dopo

In questi mesi ho pensato a cosa potesse essere degno di nota per tornare a scrivere.

In primavera, ho sperato che una seconda stella fosse il gusto appiglio, dopo ho puntato sul rinnovo di contratto – che rispetto alla stella almeno è andato in porto – ma i troppi impegni mi hanno tenuto alla larga.

Ad un punto il grande evento del World Meeting of Families, con rievocazioni ma anche diversi aspetti unici, sembrava essere l’input perfetto, se non fosse che gli orari improbabili ed il lavoro no-stop mi hanno spento ogni tipo di velleità.

Alla fine, le ferie ed un viaggio imminente hanno ottenuto la patente di argomento per un post e a poche ore dal salire finalmente su un aereo che valicherà i confini nazionali, mi ritrovo a scrivere qualcosa.

Andare in ferie realmente dopo 3 anni con nel mezzo un licenziamento, una pandemia e una assunzione estiva ha un bel sapore. Quella sensazione di pausa meritata, di riposo inevitabile e necessario per recuperare e svagarsi soprattutto. Vivo esattamente quello con l’aggiunta del piacere di una vacanza itinerante in un posto che per me ha sempre avuto un suo fascino.

Sarà stata l’infanzia a vedere il TG1 distrattamente con Pino Scaccia che parlava dalla Jugoslavia, sarà il mio viaggio in solitaria nei Balcani del 2014, ma anche il mito del grande Sasha Danilovic e la luna di miele dei miei, eppure a me la Jugoslavia ha sempre evocato un fascino molto particolare.

Di conseguenza, essere in ferie e andare in Croazia, risulta una combinazione magica.

Zara, Spalato e poi Dubrovnik, un bel pezzo di costa attraversando le tre città principali, in pullman come nel 2014 ma non da solo come quella volta.

Anche questo aspetto conta tantissimo e vale l’emozione, finalmente un viaggio all’estero dopo quello ormai lontano del 2017 in Colombia quando io raggiunsi lei. Stavolta sarà ben diverso, un’ora di volo attraversando Italia e Adriatico ma soprattutto insieme e oltre i confini.

Era saltata Londa a marzo per un visto, Malta a fine maggio per un cambio volo inatteso della compagnia, stavolta scioperi permettendo ce la dovremmo fare a raggiungere quella parte di Europa che non è una area geografica, bensì “uno stato d’animo” come sostiene il mitico Sergio Tavcar parlando dei Balcani.

È tempo di chiudere le valigie, si torna a viaggiare. Si va in Croazia!

Il Tour dei Balcani: direzione Mostar

Quasi subito capisco che Mostar non sarà raggiunta in quattro ore visto l’itinerario del pullman che punta verso sud, verso Dubrovnik, per risalire in seguito e dirigersi in Bosnia. Il paragone che mi viene è il seguente: è come se volessi andare a Perugia passando per Napoli costeggiando il mare, una roba folle, ma questo è ciò che accade. Vedo angoli magnifici, ci aggrovigliamo intorno ai monti, e a picco, sotto di noi, c’è un azzurro magnetico. Arriviamo a Ploce e finalmente prendiamo la strada per Mostar, ma durante una sosta nella campagna sperduta croata con il wi-fi riesco a chiamare casa. Qui c’è linea free ovunque, anche in mezzo al nulla. Rimango stupito e mi rendo conto di quanto noi siamo indietro, anche su discorsi che per gli altri sono ormai scontati. Costeggiamo fiumi, laghi, bacini idrici che non si capisce cosa siano, vedo acqua ovunque, in un paesaggio davvero strabiliante: verde e azzurro, in progressione rapida. Mi domando cosa ci facciano con tutta questa acqua, non penso ci possano coltivare solo angurie visto che in alcuni punti ci sono più chioschi con i cocomeri che persone.

Dopo quasi tre ore di musica folk slava, una condanna che farebbe perdere la pazienza anche a Don Mazzi, inizio a dialogare con i miei nuovi compagni di viaggio, due ragazzi bosniaci che rientrano dalle vacanze in Croazia e sono diretti a Sarajevo. Parliamo amabilmente, fin quando gli chiedo della dogana e mi confermano che il passaporto sarà chiesto certamente. Lasciamo la Republika Hrvatska e superiamo il confine, alla frontiera ci bloccano. Sale un poliziotto croato e gli dico che sto scendendo per prendere il mio passaporto che ho lasciato in valigia. Ho commesso una leggerezza, è vero, una stupidaggine, ma quando lo spiego al famoso autista che mi aveva salvato dalla morte, questo personaggio si altera in un modo onestamente esagerato. Sembra un po’ Zare Markovski a forma di fiasco, non parla nessuna lingua al di fuori dello slavo e comincia a tirare giù le altre valigie per trovare la mia, dopo un minuto il suo compare apre il portellone dall’altro lato ed estrae comodamente il mio trolley. Prendo il passaporto, chiedo scusa nuovamente e mi propongo addirittura di aiutarlo a rimettere su le valigie insieme, non accetta, e allontanandomi lo mando affanculo sottovoce. Nel frattempo il poliziotto croato ha requisito tutti i documenti ai viaggiatori, consegno anche il mio, ce li riportano, e dopo due minuti sale l’agente bosniaco per la stessa procedura. In mezz’ora sbrighiamo fortunatamente la pratica, il mio disguido come è evidente non ha rallentato nulla, ma l’autista continua a essere infastidito.

Ripartiamo e riprendo a chiacchierare con i due bosniaci, si parla di calcio, di politica, di lavoro e soldi. Vogliono entrare nella Comunità Europea, avviso loro però che Euro e UE non sono poi una salvezza o una svolta garantita. Almeno, a noi non hanno regalato qualcosa di così speciale. Nel frattempo il viaggio scorre, dura 5 ore, più del previsto, alle 21 Mostar mi accoglie. È fresco, raggiungo l’hotel dialogando con un coreano e mi sistemo nel mio alloggio a Drage Palavestre, perché, abbandonata la Croazia, tocca alla Bosnia…

(CONTINUA)