Chiudete le valigie, si va a Sofia! (Con David Spera…eh, avessi detto)

Dovevamo andare a Istanbul e siamo finiti ad Atene, avevamo deciso per Lisbona e ci stiamo per imbarcare su un aereo con direzione Sofia. È destino che alla fine, io e il mio inseparabile David “Gallo” Spera ci ritroviamo altrove, in balia di eventi, tariffe matte e prenotazioni last minute.

Tre anni e mezzo dopo Stoccolma è arrivato il momento di ripartire per una tappa europea. Il fomentometro è già a livelli considerevoli, ci attende una città che qualcuno considera di seconda fascia ma molti ignorano che è la terza capitale più antica d’Europa dopo Roma e Atene, due città a noi non del tutto sconosciute.

Abbiamo passato mesi a fantasticare su Lisbona, sulle notti lusitane e la possibilità di inglobare nel giro anche Oporto, in realtà ci troveremo in Bulgaria, fra cirillico, cambi valuta e quel bizzarro senso esoterico. Penso che la destinazione in qualche modo ci appartenga, è un posto da non omologati, da gente che ama la scoperta e vive con un profondo e innato senso di curiosità. Entrambi siamo soddisfatti della scelta, anche più di Bratislava, candidatura che di fatto è rimasta in piedi ben poco, superata di slancio da Sofia e dai voli Wizz Air. Per la prima volta ci affidiamo a questa compagnia low-cost, mostro sacro dell’est Europa, un versante che mi riabbraccia dopo un mese circa dal tour dei Balcani.

Abbiamo sempre sperato di poter partire, e seppur la prima scelta è saltata ci siamo comunque adoperati per trovare qualcosa di affascinante facendo quadrare conti, date e impegni. Sono convinto che se avessimo fatto saltare tutto ce ne saremmo pentiti nel giro di poco tempo, l’esperienza ci ha insegnato che organizzare e partire con il passare degli anni è sempre meno facile, i tre viaggi in 15 mesi del periodo 2010-2011 lo testimoniano se paragonati alle difficoltà degli ultimi anni. Ci sarà da ridere e questo è indubbio, torneranno d’attualità tutta una serie di cose che ci hanno accompagnato nei giri precedenti: i versi, le cazzate, le imitazioni, il juke-box umano, i tormentoni, il Grande Fratello, gli insulti e le “volgarità gratuite”, confessioni e punti di vista, questioni e polemiche. Magari non troveremo nessun ciambellaro a chiederci se siamo argentini e non rischieremo l’ergastolo per aver urinato sul muro del Parlamento, però ci imbatteremo di certo in qualche nuovo personaggio in corso d’opera e arricchiremo il quaderno di bordo con degli episodi da ricordare. L’atmosfera mi pare adatta per un altro capitolo di brividi.

Ci sarà la notte a “zonzo”, quella finale, situazione che potrebbe rimanere impressa, ma prima c’è la “provaccia”, la sera prima trascorsa insieme per entrare in clima, un lunghissimo pre-partita che ci condurrà alla partenza, visto che il divertimento inizierà dalla vigilia (da ora praticamente) offrendo al Gallo un soft-drink (stavolta presumibilmente un Tinto de Verano) come prima di Venezia 2008.

Il mio compagno di viaggio non si discute, trovatelo uno come lui, vi sfido convinto che non ce ne siano all’altezza. Sempre presente, attivo, spalla perfetta, fucina di perle e di puttanate. Non saremo più quelli del “Triplete” ma in grandi occasioni possiamo ancora esaltarci mostruosamente. Comunque sia, fra un po’ spengo il computer e inizia ufficialmente il viaggio, dopo Venezia, Verona, Atene, Madrid, Stoccolma, Siena e Napoli tocca a Sofia.

Fra un po’ inizia lo show, con il Cauto in modalità “briglia sciolta” e allora:

CHIUDETE LE VALIGIE, SI VA A SOFIA!

“…Cerca quel brivido in più,

come lui non ce n’ è,

David Spera es mas grande que Pelé”

Tutti gli interrogativi prima di Sofia

Mancano pochi giorni al viaggio di Sofia eppure sono molti gli interrogativi con i quali bisogna fare i conti. Anzi, per essere più precisi, sono più le domande che le certezze, i dubbi che le convinzioni, stiamo per partire ma rimangono parecchi nodi da sciogliere, esaminiamoli in ordine.

 

La tracotanza del Gallo – Quasi nessuno sa una cosa riguardo il mio compagno di viaggio che è affetto da una fissa magnifica. Il Gallo quando rientra la sera si va a lavare subito i denti, con tanto di cappotto addosso perché poi potrebbe non fomentarsi più. Per me già questo vizio o vezzo, decidete voi, rende il mio fido amico un personaggio inenarrabile. Il punto però è vedere se ancora una volta io avrò la pazienza di chinare il capo dinnanzi le sue manie, se ancora una volta subirò questa sua violenza, la prepotenza del Gallo potrebbe portarmi anche a una reazione forte dopo tanti soprusi.

 

L’importanza del “Lattato” – Ho dichiarato apertamente che la mia priorità per Sofia è quella di andare in lattato. L’ho scritto a David e di fondo solo lui può capire questa frase che abbiamo assorbito nell’aprile scorso da un invasato corridore-personal trainer. Se non vado in lattato per me il viaggio sarà irrimediabilmente negativo.

 

Quale modulo? – La disposizione dei letti, aspetto dominante, ancora non è stata decisa. Partiamo dal teorema base: io di solito dormo sulla sinistra del letto, lui a destra. Involontariamente e non so perché, è una cosa che mi è capitata anche in altre situazioni e con altre persone. Nel “Lettone”, io ormai occupo quel lato senza storie e ovviamente sulla mia destra opera David che in realtà sarebbe al centro con Alfredo a presidiare la fascia destra alla Maicon. A Napoli ad esempio, decidemmo uno schieramento diverso, io e Alfredo alle spalle del Catto unica punta considerando la disposizione dei letti. Stavolta è tutto da capire. Il punto è che dalle foto ho notato anche una impostazione diversa: due letti singoli non paralleli, ma uno spostato leggermente in avanti seguendo la struttura della camera. Qualora fosse così, io agirei alle spalle di David che andrebbe a ricoprire la posizione di “falso nueve”, idea tattica che a me non dispiace. In caso contrario, due letti sulla stessa linea, io a sinistra (ovviamente) e David sul letto destro. Questo interrogativo è quello che più mi agita.

 

Riposino o non riposino? – Il primo giorno bisogna pianificarlo per bene. Avendo una sveglia abbondantemente prima dell’alba, una notte arricchita dal lungo pre-partita e il viaggio sul groppone, il rischio che a un momento della giornata una ventata di cecagna e stanchezza potrebbe coglierci drammaticamente esiste. Pertanto, dovremmo decidere se rispolverare la tattica usata a Madrid: pennica intorno l’ora di pranzo e poi via per nuove esilaranti avventure.

 

Notte a “zonzo” – Il non aver preso l’hotel anche per l’ultima notte visto l’orario del volo alla mattina è stata una buona scelta? Lo scopriremo solo vivendo. Attualmente è l’interrogativo meno martellante di quelli precedenti, senza dubbio la scelta è stata fatta su una base chiara: se la notte a “zonzo” può regalare brividi, si sceglie questa soluzione senza problemi, ci mancherebbe. Speriamo di aver preso la decisione corretta.

Il Tour dei Balcani: “Questa sera, c’è il delirio al Marakana…”

Le donne di Belgrado mi affascinano meno di quelle viste nelle città precedenti. A mio avviso hanno qualcosa di diverso, i tratti tendono all’Est più vero, sono una via di mezzo fra russe e albanesi-romene. Ho la convinzione che un volto del genere lo potrei trovare comodamente al mio fianco su Via Casilina aspettando il 105. Ogni tanto spunta qualche ragazza notevole, ma il livello è senza dubbio più basso. Faccio questo riflessione mentre vado in centro, inizia l’ultimo giorno del viaggio e fortunatamente il sole è bello pieno e si fa sentire. A Piazza della Repubblica incappo in una “buca” del signore incontrato il giorno prima, non si presenta all’appuntamento, non mi avvisa e dopo 20 minuti di attesa me ne vado, consapevole che in fondo sia meglio così, il timore di rimanere magari un po’ incatenato c’era, e rischiare di non vedere qualcosa mi avrebbe infastidito.

(Per dovere di cronaca, mi ha scritto venerdì scorso scusandosi e ricordandomi che le porte a Singapore sono sempre aperte).

Viro così verso la Cattedrale di San Michele e poi passo davanti l’imponente edificio della National Assembly. Sarà il cirillico, saranno i volti, ma a Belgrado ho la netta sensazione di essere veramente a Est, più nell’orbita di Mosca che in quella di Roma, al di là di storici allineamenti mancati. Punto dritto verso il sud della città, destinazione stadio Marakana, l’impianto della Stella Rossa. Cammino più di mezz’ora, mi godo uno scorcio nuovo di Belgrado, un discesone che incrocia una specie di circonvallazione. Da lontano scorgo i riflettori e seguo la strada, all’improvviso lo stadio si svela davanti a me dopo una serie di alberi enormi. Lo circumnavigo e passo dalla parte sbagliata, camminando arrivo a un punto in cui trovo un cancello aperto e senza tentennare un attimo entro. Il Marakana è lì sotto ai miei occhi, 54 mila seggiolini vuoti, sono sul lato della curva e mi torna in mente ancora la storica frase di Davide: “A Mattè, al Marakana è ‘na bolgia, non se passa…” Credo sia effettivamente così, quasi 60 mila serbi incazzati potrebbero veramente farti tremare un po’ le gambe quando calchi un terreno del genere. Mi avvio verso il museo, risparmio 450 Dinari mostrando la tessera stampa e mi metto a parlare con il responsabile, uno di quelli che vivono per il club e se gli dai un ruolo del genere sai di renderlo l’essere più felice al mondo. È un almanacco vivente, parliamo della squadra della leggenda, quella in grado di compiere l’impresa del 1991 vincendo la Champions e poi entro in tribuna stampa, mi faccio scattare un paio di foto e ripenso al tormentone dell’estate, la canzone simbolo dei mondiali, quella di Emis Killa “Maracanã”. Nell’anno della coppa del Mondo, anche io, nel mio piccolo e ironicamente, potrò raccontare di essere stato al Marakana.

Dopo aver visitato lo store e aver ricevuto un invito con tanto di accredito per vedere un derby dal gentile tipo del museo, mi allontano e punto lo stadio del Partizan, cinque minuti di camminata e sono lì, più piccolo e meno scenico, impossibile entrare, guardo la struttura e riparto. Mi fermo in una specie di fast-food locale, prendo un panino con i ćevapčići, me ne mettono dentro 6-7 con un sacco di maionese, è buonissimo e gustoso, la pezza giusta per arrivare fino a cena. Dirigendomi verso l’hotel mi fermo ancora al tempio di San Sava, la sua imponenza mi affascina così come le persone che entrano e dopo aver pregato baciano i quadri della Madonna, un gesto ricorrente e normale per gli ortodossi.

Rubo un po’ di wi-fi all’albergo e riempio il tempo prima di imbarcami per l’aeroporto dissetandomi con un bel Mojito analcolico e comprando un paio di gadget, tra cui il portachiavi della Jugoslavia perché sono uno storico e un nostalgico. Rimango stupito per l’ennesima volta della disciplina dei serbi che si fermano sempre e a dieci metri dal pedone se devi attraversare, un rispetto che ho visto in vita mia solo a Montecarlo. L’episodio rafforza nuovamente la mia tesi secondo la quale se vuoi avere una mezza impressione di un popolo lo devi vedere a casa propria, noi inevitabilmente abbiamo un’idea sbagliata e negativa degli slavi, tendiamo a generalizzare ma personalmente in una settimana a spasso per i Balcani, non ho avuto un problema e ho riscontrato grande cordialità, rispetto ed educazione.

L’ultimo prodezza che mi regala l’hotel Slavija è la possibilità di prendere il bus diretto per l’aeroporto attraversando la strada, una comodità unica, 300 Dinari e sono a bordo, sono le 19:00, il volo è alle 21:30, sono sereno e comodo con gli orari, imbocchiamo finalmente un’autostrada, il sole tramonta, Belgrado svanisce alle mie spalle. Il viaggio è finito, si torna a casa.

 

Cosa ti è piaciuto di più? Questa è la consueta e ovvia domanda che ti senti fare al ritorno da un’esperienza del genere, a tutti però ho risposto nello stesso modo: “Mi è piaciuto il viaggio”. Se devo essere sincero, il viaggio nella sua essenza è ciò che mi porterò dietro, il fatto di essere stato costantemente in viaggio, di aver sperimentato qualcosa di diverso. Ricorderò scorci e volti, odori e nomi di vie, ma è il valore del percorso che pesa, le emozioni e quello status del solitario alla scoperta di nuovi luoghi. È stata una magnifica parentesi e onestamente quello che ho capito fino in fondo è una cosa in particolare:

“I Balcani, non sono una regione geografica. I Balcani, sono uno stato d’animo”.

(Sergio Tavcar)

(FINE)

DSC02092

Il Tour dei Balcani: Бeoгpaд / Beograd

L’hotel Slavija è uno degli alberghi storici di Belgrado. Palazzone di evidente timbro comunista anni 70-80, posizionato in una zona strategica e a 15 minuti dal centro città. L’arredamento è un pochino datato ma il servizio offerto è ottimo, considerando anche l’ufficio cambio e il ristorante, se a tutto ciò si aggiunge il prezzo di 15 euro a notte e colazione compresa, è evidente che siamo dinnanzi ad un affare.

Il maltempo della sera precedente lascia lentamente spazio al sereno, l’Oki preso prima di dormire mi ha ristabilito e la mia tappa iniziale è la fortezza. Per raggiungerla percorro il corso cittadino e la zona pedonale, Belgrado si differenzia da Sarajevo per tanti motivi, il primo e più facile da intravedere è l’effetto della guerra. La capitale serba, rispetto a quella bosniaca, l’ha sofferta molto meno, non è stata distrutta e gli edifici lo testimoniano, il colpo d’occhio è diverso. Il bianco a Sarajevo è grigio a Belgrado, le facciate dimostrano il peso degli anni, non c’è stata nessuna ricostruzione (se non in funzione della guerra con il Kosovo del 1999), di conseguenza tutto è meno nuovo. La fortezza si innalza all’interno di un bel parco, curato e circondato da attrazioni diverse: i campi da tennis in cui i bambini prendono lezioni da un’istruttrice notevole, l’area con i dinosauri, cannoni e carri armati qua e là, mentre sul versante nord il panorama sono i due enormi fiumi, Sava e Danubio che si incrociano. Il sole inizia a riscaldare l’aria, lascio la mia prima meta, faccio un giro per Piazza della Repubblica e visito il National Museum che espone tre esibizioni. Punto successivamente Skadarska, la via bohemien della città la quale non mi affascina più di tanto e poi decido di andare a camminare lungo fiume, ai bordi del Danubio. Un cameriere mi invita a prendere il bus gratis, senza pagare, io desisto e me la faccio a piedi, dopo mezz’ora il poderoso Danubio si staglia davanti a me. Di fatto mi ritrovo sotto la fortezza e decido di risalire facendo un percorso alternativo.

Tira vento, ma fa caldo adesso, sono passate le 14:00 e mi fermo a una specie di rosticceria per uno spuntino. È il penultimo giorno del viaggio e rifletto sul fatto che ancora non c’è stato un grande personaggio, che non mi sono ancora imbattuto in qualcuno da ricordare. Azzanno l’hot-dog e un signore affianco a me attacca bottone, parliamo serenamente e dopo aver sbrigato i soliti convenevoli: provenienza, motivo della visita e quant’altro, ci incamminiamo insieme per il centro. Mi offre un caffè, conversiamo amabilmente, si parla di lavoro e ognuno della propria vita attuale, il tizio in questione è un serbo di 36 anni che da 15 gira il mondo, vive attualmente a Singapore, parla 5 lingue ed è a Belgrado per visitare la famiglia. Il personaggio è scaltro e di cultura, parla e sa quello che dice, si capisce che non è uno sprovveduto, anche se io rimango sempre un pochino sulla difensiva e vigile.

Si candida a guida personale, vorrebbe regalarmi un libro di storia serba in inglese dopo aver compreso i miei interessi ma non troviamo nessun testo di questo genere. Mi ripete che non ha alcun doppio fine, ne soldi ne tanto meno sesso, lo sottolinea perché evidentemente capisce che una tale disponibilità, al giorno d’oggi, può essere facilmente male interpretata, soprattutto da un turista. Mike, così si fa chiamare, si rivela un personaggio sorprendente, sa una marea di cose e il fatto di aver vissuto in Siria, Etiopia, e in altri posti, si capisce che gli ha dato molto. Mi accompagna così al tempio di San Sava, la chiesa ortodossa più grande del mondo, incrociamo i tifosi del Partizan che si incontrano in questo luogo sacro prima di raggiungere in corteo lo stadio e mi spiega la differenza delle tifoserie di Belgrado.

L’ultima tappa è San Marco, prima ci dissetiamo in un bar e poi mi chiede se mi interesserebbe lavorare magari con lui a Singapore. È un consultant in un’azienda di telecomunicazioni, dice che potrei essere senza dubbio all’altezza, insomma, mi formalizza praticamente un’offerta di lavoro. Gli spiego la mia situazione ma l’opportunità l’annoto mentalmente, non si sa mai mi dico e con questa crisi, potrebbe essere un jolly da tenere nel taschino. Ci salutiamo dopo 4 ore di piacevole compagnia, gli lascio la mia mail, decidiamo di rivederci la mattina successiva e rientro in hotel. Mike mi ha raccontato molte cose ma nonostante tutto anche lui, uomo di mondo, mi sottolinea come nella guerra dei Balcani i serbi avessero ragione e argomenta la sua tesi in maniera per alcuni aspetti interessante.

Dopo cena cedo alla tentazione e mi infilo nel casinò-sala scommesse adiacente l’ingresso del mio albergo, un giro alla roulette devo farlo, di camminare ancora non ne ho più voglia e quindi mi piazzo intorno al tavolo. Parto piano, entro con 100 Dinari, perdo subito e ne metto altri 100, perdo ancora e ne infilo dentro 200 cominciando la mia risalita. Ho studiato il tavolo, continua a uscire nero ma a un punto cambia tutto. Cerco mentalmente di anticipare le mosse, ne becco parecchie, la roulette è magnifica perché dannatamente democratica, non ci sono tattiche e abilità, ma io sono sempre convinto che un po’ di ragionamento sia utile. Vinco, perdo, mi sto per alzare all’ultima puntata ma azzecco “nero e pari”. Comincia la scalata, mi rimetto in linea di galleggiamento, è quasi l’una e intorno al tavolo siamo in due. Supero la quota giocata, ossia 400 Dinari e quando arrivo a 715 premo cashout e riscuoto. Ho vinto una miseria, ma non ho perso. Alla roulette conta questo, è un discorso di onore. Sono felice come se avessi guadagnato chissà quale somma, entro in camera festoso fra canti e cori da stadio. Forse sono già in clima, perché una delle destinazioni dell’ultimo giorno è proprio il Marakana di Belgrado…

(CONTINUA)

DSC02059