“Quando tutto inzia”

Non avevo finito nemmeno di leggere il libro che già smaniavo per scrivere questo post. Una specie di recensione, più che altro una nota di disappunto.

“Quando tutto inizia”, l’ultimo libro di Fabio Volo pubblicato lo scorso novembre, è veramente poca roba. Ma pochissima roba aggiungerei. Sarei tentato di scrivere che è un pessimo libro, ma penso che in questo caso incida anche un po’ l’aspettativa ed il fatto di aver letto tutti i suoi romanzi precedenti.

Senza ombra di dubbio questo libro è il peggiore dei sette pubblicati in questi anni, non credo sia una mia opinione personale anche perché facendo un giro sul web ho percepito lo stesso sentimento.

Nel corso degli anni non mi aveva entusiasmato “Le primi luci del mattino”, che a mio avviso ha un finale troppo breve e in parte fuori luogo come quest’ultimo. Al tempo stesso però ne avevo apprezzato la scelta, rischiosa indubbiamente, di scrivere il romanzo in prima persona ma in qualità di donna, un ruolo non semplicissimo, nonostante l’espediente del diario-racconto ad agevolare l’impostazione narrativa.

Questo ultimo romanzo è un lunghissimo racconto di nulla per circa 100 pagine. Sbrigate le pratiche dell’introduzione, si passa a descrivere l’incontro fra il protagonista single e una donna sposata e con un figlio. Nasce un rapporto quindi clandestino che si sviluppa solo ed esclusivamente fra le mura dell’appartamento di lui, un rapporto in cui non emerge nulla. Molta retorica voliana, che in altri contesti si manda giù senza troppe storie, qui molto meno essendo la trama pochissima roba.

I personaggi raccontano il nulla, non si va mai in profondità, tutto rimane superficiale, rari flashback evidenziano qualcosa di interessante, i dialoghi sono abbastanza elementari e cadenzati dalle performance sessuali e immancabili dei due.

Una aridità narrativa che mi ha stupito molto onestamente: quando ho scollinato pagina 100 mi sono domandato cosa avessi letto fino a quel punto e la risposta è stata un semplice silenzio, non avendo nulla da dire. La speranza che il finale potesse regalare qualche spunto interessante è stata vanificata rapidamente. Un salto temporale in avanti di alcuni anni, il protagonista che è tornato ovviamente a galla dopo la delusione generata dalla storia finita male con l’amante sposata, la quale a un punto, unico snodo del libro, decide che non se la sente di mollare tutto per lui, dopo che gli ha sentito proferire pubblicamente il suo coinvolgimento sentimentale.

Un libro veramente piatto, in cui ho rimpianto quei Natali in cui il libro di Volo regalato mi accompagnava puntualmente dopo le serate di festa e tombole.

La sensazione è che questo romanzo sia veramente figlio dei vincoli contrattuali. Conseguenza della Mondadori che ti ha messo sotto contratto e si aspetta da te un libro per Natale 2017 come successo in tanti altri precedenti. Un libro scritto perché quello dice il contratto e non si può far altrimenti.

Una imposizione che ti obbliga a tirare fuori qualche idea, scarna e tirata per i capelli, a impostare una storiella basica con qualche spunto da vecchi scritti precedenti e chiudere tutto in maniera fugace.

Male, veramente male, questo “Quanto tutto inizia”, 19 Euro abbastanza buttati ed un grossissimo passo indietro per un autore che ho sempre letto con grande piacere perché lo ritengo capace di parlare e raccontare vicende con un tono gradevole ed un lessico adatto.

L’ho sempre apprezzato, questo volta però hanno avuto ragione, almeno per una volta –aggiungo- i suoi detrattori, quelli che per pura invidia, o senza aver mai sfogliato un suo romanzo, lo bastonano da anni a prescindere.

Il mio manoscritto

 

Devo chiedervi innanzitutto scusa per la mia negligenza, è vero, non sono stato molto attento nel raccontare le sorti del mio manoscritto ma la realtà è che non mi piace parlarne troppo.

Eravamo rimasti che a febbraio avevo messo il punto a pagina 121 di un libro scritto in quattro mesi, una raccolta di racconti calcistici degli ultimi 25 anni legati da un filo comune. Mi sono riletto il testo a Dublino, l’ho corretto e alla fine ho voluto aggiungere due pagine dopo l’introduzione.

Ai primi di giugno ho iniziato una lunga ricerca relativa alle case editrici sportive medio-piccole per poter inviare il libro e nel giro di alcune settimane ho spedito via mail il mio testo con tanto di sinossi e presentazione del sottoscritto a 20 editori.

In questi due mesi ho avuto contatti con 4 case editrici. La prima ha apprezzato l’idea ma mi ha chiesto praticamente di stravolgere tutto allargando il campo d’indagine in maniera impossibile. La seconda è stata quella che ha partecipato di più con un’analisi del lavoro approfondita, dicendomi però di aggiungere ritagli di giornale ed interviste ai protagonisti dei racconti. Su questo aspetto si è bloccato un po’ tutto: non ho contatti, non conosco nessuno, mi risulta improbabile soddisfare questa richiesta dal momento in cui la casa editrice non mi ha mostrato un eventuale appoggio.

Il terzo editore mi ha risposto gentilmente che il loro piano editoriale era già pieno per il prossimo semestre, l’ultimo invece, dopo alcune mail, mi ha proposto di pubblicare con l’obbligo però di acquisire prima una cinquantina di copie per me, per un costo complessivo di 400 euro.

Ho detto no, ho rifiutato l’altro ieri ufficialmente perché qui entriamo nel mondo dell’editoria a pagamento. La storia è semplice: se hai un manoscritto devi proporlo e per fartelo pubblicare non devi tirare fuori un euro. Se paghi significa che non credi nel tuo lavoro, se paghi vuol dire che non pensi possa esserci qualcuno veramente interessato e disposto a investire su di te.

L’editoria a pagamento è anti-meritocratica, è una mazzetta legale. Io non ho alcun interesse, mi piacerebbe che il mio manoscritto venisse pubblicato, anche a costo di guadagnare un centesimo a copia. Sarebbe una soddisfazione per me, niente di più. Scrivendo libri non ci si arricchisce. Io voglio che qualcuno valuti la bontà della mia opera a prescindere da un mio contributo.

Per quanto riguarda invece il “print on demand” mi sono informato ma è un’altra strada, o meglio scorciatoia, che non mi convince.

Insomma, per una serie di ragioni voglio aspettare, attendo che le altre case editrici, le quali si prendono sempre almeno 3 mesi di tempo, possano avere spazio e modo per valutare il mio lavoro.

Se qualcuno riterrà la mia fatica degna di pubblicazione sarò felice, altrimenti il manoscritto rimarrà salvato in una cartella del desktop con buona pace di tutti quanti.

Stralci

 

Rientrato dall’Irlanda ho ricominciato a leggere, soprattutto la sera prima di dormire. In questi due mesi, in realtà, ho riletto 3 libri, diversi fra loro ma a mio avviso molto belli. Ci sono tre passaggi, uno per ciascuno testo, che mi coinvolgono particolarmente: sono questi che vi riporto qui di seguito.

 

 

C’era la luna piena quella sera del 4 luglio 1982. Ci fermammo a guardarla, nell’atrio dell’albergo che ospitava la Nazionale. Ero con Gaetano.

Gaetano aveva un suo modo di essere divertente, ma aveva anche un velo di malinconia quando stava in mezzo agli altri, quasi intuisse il suo tragico destino.

“E se fosse un segno?” se ne uscì Gaetano sorridendo e con gli occhi rivolti al cielo.

E poi riattaccò: “Vedi, ci sono momenti in cui respiri un’aria diversa, avverti che il vento sta andando nella direzione giusta. È come se una pioggia magica, improvvisamente, ti investisse. Ti sembra di essere Achille immerso nel fiume Stige: ti senti invincibile”.

È ciò che capita a quella Nazionale. È ciò che mi disse nella notte di luna piena prima di Italia-Brasile, Gaetano Scirea.

 

 

Domani mi sposo.

Io e V. siamo nella casa di campagna, la mia futura moglie in quella di città, dai genitori. La sera prima del matrimonio gli sposi non dormono insieme. Mi verso un goccio di whisky, giusto un goccio per godermi il sapore, e fumo l’ultimo sigaro da scapolo con V., seduto in terrazza.

Sono felice.

In sottofondo De André finisce Sinàn Capudàn Pascià: meravigliosa, struggente, puro piacere. Poi anche lui, il Faber, mi dice: “Ciao, buonanotte, e soprattutto buona fortuna”.

È il lato A. E non parlo del disco. È il lato buono. Dodici anni fa ho pensato che fosse il lato B della mia vita a cominciare con la ribellione a tutto quello che ero stato fino a quel punto. Ma ho vissuto la vita al contrario. Questo è il lato A, questo è il lato buono e ci sta dentro un sacco di roba: il dolore e l’amore, la stupidità e l’intelligenza, gli errori e le parolacce, il piacere e la curiosità.

“Ci sono dei giorni di merda, certe volte, ma in questo momento, qui, con questo bicchiere e questa musica e con domani che sta per arrivare…Cristo, sarei disposto a essere triste per mille anni, per ogni giorno come questo”, dico al mio amico.

“Ha un nome, questa cosa. Si chiama vivere e porta inevitabilmente alla morte. Ma in fondo, è tutto ciò che puoi avere”.

 

 

Nella ricostruzione cinematografica dell’attacco giapponese su Pearl Harbor, quando gli ufficiali festeggiano al grido di “Tora, Tora, Tora” l’ammiraglio che comanda la flotta imperiale resta imperturbabile. “Abbiamo tirato la coda alla tigre che dormiva” dice serio, ed il film finisce.

Ci sono diverse analogie tra i giapponesi del ‘41 e i fortitudini degli anni 90: intraprendenti, coraggiosi, devoti alla propria causa fino al fanatismo, ma ottusi nel non capire la forza dell’avversario, nell’insistere a stuzzicarlo.

La Virtus infatti è un po’ come gli Stati Uniti di Roosvelt: una grande potenza che non ha voglia di entrare in guerra con il vicino, ma se vi è costretta, provocata, lo fa senza risparmiare energie e va fino in fondo. Fino alla bomba atomica, se necessario: Via San Felice viene spianata come Hiroshima, il 16 settembre del 1993, data della più trionfale, schiacciante e micidiale vittoria virtussina di sempre: 41 punti di scarto in un derby.

Nagasaki e il secondo fungo nucleare sono invece storia del maggio ‘98.

La tigre bianconera a cui i fortitudini hanno tirato la coda si sveglia e ruggisce nel 1993. Sabato 8 maggio la Virtus vince il suo undicesimo scudetto…

Dopo il primo, ecco il secondo grande brivido del 2013

 

Dopo il primo grande brivido del 2013, ecco il secondo: ho scritto un libro. Oggi ho messo il punto e anche questo progetto l’ho portato a termine. Non vi avevo raccontato niente anche in questa circostanza? Sì è vero, però penso di aver fatto bene, ho eliminato ogni tipo di domanda, di pressione e curiosità. Ho potuto lavorare serenamente, sotto traccia anche qui e alla fine sono soddisfatto del risultato.

L’idea mi è venuta un giorno di novembre a pranzo, mentre mangiavo e ascoltavo il telegiornale. Ho avuto l’illuminazione e ho iniziato a sviluppare subito quello che avevo in testa. È un libro di sport, di calcio precisamente, ma sinceramente penso che scrivere di pallone in tutte le sue sfumature sia la cosa che mi riesca veramente meglio. Non è presunzione, anzi, è una constatazione per la facilità con cui riesco a mettere su carta i miei pensieri.

Ho scritto un libro che io comprerei immediatamente, i miei amici appassionati anche, perché racconto storie di calcio, attraverso un filo rosso molto chiaro che unisce emozioni, grandi campioni e squadre che hanno regalato momenti leggendari.

Scrivere un libro era una cosa che volevo fare da tempo, sono riuscito ad arrivare alla mia meta in 4 mesi, esaltandomi veramente in alcuni passaggi, scoprendo tanti aneddoti e cimentandomi a volte in momenti di ricerca snervante e minuziosa.

Ci sono tre momenti difficili nella stesura di un testo: il primo è ovviamente trovare l’idea, il secondo è passare dalla teoria alla pratica, il terzo è avere la forza e la determinazione di andare avanti quando passa l’entusiasmo e ti rendi conto che mancano ancora un centinaio di pagine.

Un libro infatti è diverso da una tesi, non sei obbligato, non hai tempi che ti stringono, sei libero e per questo puoi rischiare di perderti perché non è un dovere. Sono andato avanti malgrado tutto e sono molto felice.

Quando accennai questa cosa a Gabriele non era molto convinto, ma il suo scetticismo non mi frenò. Iniziare una cosa e arrivare in fondo. Sempre. Manca solo la prefazione, mi piacerebbe che la potesse scrivere un mio amico che contatterò nei prossimi giorni, penso che sia la persona più adatta.

Ho studiato le pubblicazioni di calcio negli ultimi tempi, ho girato molte librerie per farmi un’idea di case editrici e di temi trattati. Penso che il mio libro abbia dei contenuti e un taglio che possa interessare, per me ha le carte per poter essere pubblicato. Lo spero, sarebbe molto bello ma intanto sono contento di averlo scritto. Ora vedremo.

Fra un po’ partirò e avrò del tempo per rileggere il tutto e correggere qualche errore di forma, quando tornerò inizierò la seconda fase, entrare in contatto con gli editori. Ma procediamo un passo alla volta.

In quattro mesi di merda ho pianificato una partenza e scritto un libro. Nonostante tutto, perché barcollo, ma non mollo.

Fino alla fine.

 

 

 

libri, calcio, sport, editoria

 

(Parlo anche di questa storia, ovviamente).