Il dialogo di Albert Dock

 

liverpool, viaggi, inghilterraC’è un sole inusuale a Liverpool, è una splendida giornata primaverile, una di quelle in cui puoi andare in giro senza cappotto. Cammino sotto la ruota panoramica e passo davanti all’ingresso del Beatles Story, giro a destra e mi siedo su una panchina. Alle mie spalle Albert Dock, davanti a me il fiume Mersey. Guardo Birkenhead sull’altra riva quando si siede al mio fianco un ragazzo.

Tira fuori un quadernino e comincia a scrivere. In italiano. Attacco bottone e gli chiedo qualcosa. Mi dice che ha 21 anni, ha finito il secondo anno di università e ha deciso di venire qui a Liverpool. È il suo primo viaggio da solo all’estero, e l’altro ieri è stato anche a Manchester. Dopo un attimo di pausa vedo che scruta l’orizzonte. Gli chiedo se stia pensando ad una ragazza, gli occhi sono quelli, quelli di quando pensi a qualcuno di importante. Lui nemmeno troppo stupito annuisce e conferma. Mi volto verso di lui e gli dico:

“Guarda che fra una ventina di giorni Maria Grazia lascia Oppini, non preoccuparti, però sappi che non succederà nulla tra voi, malgrado tutto, anzi, ad aprile finirà il vostro rapporto completamente”.

Poco dopo, tra il perplesso ed il divertito mi chiede di Mourinho. Stavolta gli do una pacca sulla spalla e gli confido: “Be, sappi che saranno brividi, grandi brividi. Fra due anni, in una notte umida di dicembre salirai sul tetto del mondo con la tua squadra e tu sarai lì, ad Abu Dhabi. Mourinho però, già non sarà più l’allenatore dell’Inter”.

Il mio conoscente è quasi imbarazzato, forse incredulo e comincia a prendere le distanze quando gli dico: “Non ti laureerai in Storia della lingua italiana ma in Storia della Gran Bretagna con un personaggio di cui ignori del tutto l’esistenza”. La conversazione sembra quasi surreale ma io vado avanti: “Questo viaggio in realtà ispirerà la tua tesi magistrale, goditi gli anni dell’università e non preoccuparti, il futuro che ti attende andrà oltre le tue migliori aspettative. Il meglio deve ancora venire.”

Il ragazzo, che veste un maglioncino a V di cotone verde, si alza di scatto, mi fissa e con un filo di voce mi domanda: “Ma tu come fai a sapere tutte queste cose, chi sei?”. Prendo tempo e gli rispondo: “Sono te fra cinque anni”.

Mi guarda nuovamente, un sorriso educato lo tradisce, mi fa un cenno con la mano e se ne va.

 

You can leave Liverpool, but Liverpool never leaves you

 

(Frase della maglia che ho comprato ad Albert Dock. Quanto è vera…)

 

 

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(2008)

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 (2013)

 

 

Liverpool Atto II

 

A volte ritornano, stavolta sono tornato davvero. Buona sera da Liverpool, splende il sole oggi sulla città del Merseyside che è riuscita ad accogliermi nel modo migliore. Mi sono alzato alle 4 e giunto all’aeroporto mi sono trovato in mezzo ad un fiume di magliette rosse: i tifosi dello United andavano a Manchester per celebrare il titolo, quelli del Liverpool erano diretti ad Anfield per il derby contro l’Everton. Più che un aeroporto sembrava un pub.

Il volo è stato ottimo e soprattutto breve, 40 minuti volati in tutti i sensi, alle 9.45 ero nel centro città. Ho lasciato il mio trolley in albergo e poi mi sono involato verso i punti nevralgici. Nel frattempo la città si stava iniziando a colorare di rosso, tutti con la maglia in attesa del derby. Come 5 anni fa, ho avuto nuovamente la stessa sensazione: pochi posti al mondo vivono così visceralmente la passione per la propria squadra come qui.

Mi sono entusiasmato nel rivedere tanti dettagli che ricordavo, sono stato felice di non essermi sbagliato e di essermi orientato alla grande. Arrivare in una città estera e sapere dove andare esattamente o conoscere in quale via sbucherà quella stradina è una sensazione comunque strana. Inevitabilmente tanti ricordi sono riaffiorati nella mia mente ma è stato bello. Ho fatto alcune foto che avevo già scattato nel 2008 ed ho pranzato da Uncle Sam in Bold Street dove prendevo sempre la carbonara, anche oggi ho fatto così. Ho girato già tantissimo, nel pomeriggio dopo aver guardato un pezzo di derby in un pub sono andato alla Cattedrale e devo dire che è sempre bella e imponente, nulla a che vedere con San Patrizio.

L’hotel è in un’ottima posizione, migliore anche del vecchio e caro Lord Nelson. Sono a due passi da Matweh Street la strada dove cominciarono a suonare i Beatles.

Domani il tempo dovrebbe essere ancora buono, io in mattinata sarò ad Anfield per portare la mia tesi sotto il memoriale di Hillsborough, nel pomeriggio mi aggirerò per Albert Dock.

È tutto da Liverpool, buonanotte.

Chiudete le valigie, si va a Liverpool! (Quanto fomento…)

 

“Se un giorno dovessi scappare, sparire, il primo posto all’estero in cui ti suggerisco di venirmi a cercare è Liverpool. Ma questo lo dico solo a te, è un nostro segreto”.

(Febbraio 2010)

 

È giovedì 22 novembre 2012, sono appena uscito dalla metro di Ponte Lungo e mi sto dirigendo verso la stazione Tuscolana. Devo prendere il treno per andare alla Muratella, mentre cammino parte dal mio I-pod “Mersey Paradise” canzone degli Stone Roses dedicata al fiume di Liverpool. Un verso dice: “She doesn’t care of my despair”, e io credo esattamente quello, anche perché sono ancora dentro una fossa e penso a quanto pagherei per essere proprio a Liverpool, quattro anni indietro, felice, forte e curioso. Sarà una giornata di merda, l’ennesima di un inverno drammatico, ma il Mersey è sempre nella mia mente.

 

Dopo aver stabilito che sarei venuto a Dublino, ho deciso che sarei tornato anche a Liverpool. Troppo vicine le due città, troppo ghiotta l’occasione, troppo bassi i prezzi della Ryanair per non attraversare il Mare d’Irlanda e andare. Sapevo che sarei tornato, mia nonna mi ha regalato i soldi al compleanno prima di partire dicendomi testuali parole: “Questi sono per te, con questi ci vai a Liverpool, la mamma mi ha detto che vorresti tornare lì”.

Alla fine il momento è arrivato, il biglietto è stato acquistato un mese fa, l’hotel prenotato, sfrutto il bank holiday del sei maggio per tornare nel Regno Unito.

Alcuni posti ti entrano dentro con il tempo, altri invece ti appartengono da subito e te ne accorgi immediatamente, Liverpool si può catalogare in questo secondo gruppo. Credo che questa città per me abbia molti significati: è stato il mio primo viaggio all’estero da solo, la prima volta in cui ho assaporato un totale ed inebriante sapore di libertà. È la città che ha ispirato la mia tesi su Hillsborough, è di fondo la città di Maria Grazia, perché se devo legare un volto femminile a questo posto non può essere nessun altro se non il suo. Ricordo quando tornando da Manchester mi precipitai alla Library per controllare se aveva risposto alla mia mail, ricordo quelle emozioni.

Liverpool è l’estate del 2008, quella dell’arrivo di Mourinho e soprattutto quella prima della terza serie. Per me, rimane l’anticamera dei brividi e di un’annata universitaria memorabile. Insomma, sono troppo legato a questa città e non è un caso se per lei faccio uno strappo alla mia regola, ossia quella di non tornare in località già visitate. Per Liverpool e New York esiste una deroga speciale. Per le mie due città, si può fare tutto.

Sono un filo emozionato perché tra poche sarò nuovamente davanti il Mersey, in mezzo agli Scousers, sotto il Liverbird, a casa.

Anche perché, prima o poi, tutti torniamo a casa.

 

 

CHIUDETE LE VALIGIE, SI VA A LIVERPOOL!

 

…’Cos you were there for me

Oh, and you set me free

To be what I want to be

With dignity

 

Heart as big as my hometown

Lay me down by water cool

Heart as big as the city

Heart as big as Liverpool.

 

 

You are always in my mind

 

Non è mai un giorno come gli altri il 15 aprile per me, ancor di più dallo scorso anno, da quando ho scritto e discusso la tesi magistrale sul disastro di Hillsborough.

Rispetto alle volte precedenti, quest’anno, l’anniversario ha un sapore ulteriormente diverso perché mi sento più vicino a questo fatto, lo sono di fatto geograficamente ma non solo.

Stamattina vedevo il mare e sapevo che dall’altra parte una città si stava svegliando per commemorare quella drammatica giornata quando 96 persone furono letteralmente ammazzate dalla polizia.

Per la prima volta mi sono collegato sul sito del Liverpool per seguire tutta la cerimonia senza fuso orario, anche per me stavolta le 15.06, il momento esatto del minuto raccoglimento e dell’interruzione di quella partita, erano le 15.06, non le 16.06 italiane come sempre.

Ha parlato anche Phil Scraton, docente di criminologia a Belfast, l’autore di “The Truth” il libro che racconta la realtà su Hillsborough. Proprio lui è stato fondamentale nella mia tesi, poiché ho avuto il piacere di entrarci in contatto e perché è stato così gentile nell’inviarmi diverso materiale per il mio lavoro.

In tutto ciò, sabato un amico di mio cugino verrà a Dublino dalla sua fidanzata e avrà il compito di portarmi una copia della mia tesi che sarà con me a Liverpool il 5 maggio quando potrò finalmente metterla sotto la lapide dei 96 ad Anfield. Sarà un gesto simbolico, ma dovuto, una qualcosa che volevo fare dallo scorso anno e che finalmente potrò realizzare, mi sembra il giusto tributo anche al mio lavoro.

Cosa è successo in questi dodici mesi? Lo scorso settembre, il premier britannico Cameron ha chiesto scusa per l’imperdonabile attesa prima arrivare alla verità: “A nome del governo e a nome del paese, chiedo scusa per questa ingiustizia a cui non è stato posto rimedio per così tanto tempo”.

L’ho detto un milione di volte ma lo ripeto ancora: aver scritto quella tesi, su questo argomento, rimane una delle cose di cui vado più orgoglioso perché è semplicemente dentro di me.

C’era il sole oggi a Liverpool, e per la prima volta dopo tanti anni durante la cerimonia ho visto anche dei sorrisi. Il sole e dei sorrisi, due cose banali ma meravigliosamente belle e significative, magari sono un piccolo segnale affinché possa esserci finalmente giustizia per chi se ne è andato 24 anni fa e per quelle famiglie che continuano a chiedere solamente verità e rispetto.

 

M. Aspinall: “After a quarter of century, the truth is out”. (15.04.2013)

 

Never forgotten, justice for the 96

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