730 giorni dopo

Il giorno del mio onomastico se lo ricordano da sempre soltanto tre persone: mia madre, mia nonna (perché c’è la signora Alice che ascolta radio religiose e glielo dice) e poi Roberto, un mio ex compagno di liceo che essendo di Salerno festeggia San Matteo patrono della sua città.

Onestamente non mi interessa celebrare questa data, ma a questo giorno abbino senza dubbio un mio segnalibro esistenziale. Due anni fa, il 21 settembre, tornai da Budapest con mio padre, fin lì tutto era andato bene: l’estate, lo stage e i viaggi considerando anche quello di pochi giorni prima a Parigi. Tutto sembrava filare liscio quando in realtà il corso degli eventi stava per imboccare definitivamente la strada sbagliata. Da lì in poi infatti tutto cambiò. Il primo sentore fu la beffa al colloquio per lo stage al Ministero, e poi, ottobre porto con sé disastri, disgrazie, problemi, sciagure di vario tipo, funerali, fatti che si andarono a sommare rapidamente in una spirale nera mai vista prima.

Se avessi saputo quello che mi aspettava forse sarei rimasto a Budapest per sempre. Personalmente sono convinto che la mia miglior parte sia rimasta lì, in quei giorni pre 21 settembre, dopo ho perso progressivamente molto, quasi tutto, e non l’ho mai più ritrovato. Ho vissuto successivamente passaggi importanti, momenti belli, di grande valore e circostanze formative ma in realtà non sono mai più stato “quello lì”. Non mi sono mai più sentito perfettamente in sintonia. Pur muovendomi, ricominciando e accettando nuovi inizi non è più stata la stessa cosa. Il vuoto di questo 2014 certifica le mie parole, guardando indietro rifarei tutte le scelte ma prenderei anche qualche decisione in più, mi rammarico di quello. “Non siamo più quelli del Triplete”, spesso dico a David scherzando, ma è la realtà e non solo per un aspetto anagrafico. È cosi, lo so benissimo e lo riconosco, se qualcuno me lo fa notare non posso far altro che annuire e condividere il pensiero. Non è così per tutti, molti fuggono da verità o non accettano dei dati di fatto, a me non è mai piaciuto.

La sensazione è che intanto il tempo scorra e un senso di incompiuto si faccia strada dentro forte e chiaro, che l’adoperarsi in tutti i modi non porti da nessuna parte, che le ambizioni diventino sempre più illusioni concrete come nuvole, che tutte le cose che ti piacciono in fondo non ci sono quasi più.

Ci sono stati momenti in parte peggiori, botte e lampi, improvvisi e taglienti, ma questa lunga parentesi ha un valore diverso, più profondo e di sostanziale smarrimento.

Settembre per me

Ho sempre cordialmente detestato settembre. Un mese che per quindici anni mi ha costantemente trasmesso un senso di tristezza, di nostalgia per l’estate ormai alle spalle e quell’angoscia di tornare sui banchi di scuola per riprendere il filo della routine.

Per anni è stato così, non nel periodo universitario quando settembre si è trasformato nell’anticamera dei brividi che ci avrebbero atteso, nel mese della sessione di esami prima dell’anno accademico. Con il passare del tempo sono quindi riuscito ad apprezzare anche questo mese, non lo amo, ma crescendo l’odio si è attutito senza dubbio. Il tornare a certi abitudini nel periodo dell’università non mi dispiaceva, anzi, sapevo che era sinonimo di intensità, entusiasmo e tante altre storie da vivere.

Lo scorso anno settembre ha coinciso con l’ultimo esame della magistrale e soprattutto il viaggio a Pechino. Mai come nel 2011 ho aspettato questo mese. Un anno più tardi mi ritrovo per la prima volta in vita mia a non avere intorno libri, quaderni, appunti e penne, una sensazione strana dopo quasi vent’anni. Niente esami, niente corsi da immaginare e amici da ritrovare su una panchina a Tor Vergata. Oggi sono passato in facoltà, aveva appena piovuto, c’era pochissima gente ma quei colori e quell’aria mi hanno fatto viaggiare con la memoria.

È un settembre diverso questo, rispetto allo scorso anno ci sono ancora viaggi da fare ma non c’è nessuna certezza su cosa mi aspetterà tornato da Budapest. Sul volo che mi riportava a Roma da Pechino già pensavo alla tesi, a come avrei potuto iniziare e a cosa dovevo ancora leggere. Sapevo che avrei avuto un lungo brivido da vivere ed altre 150 ore di part time da fare, sapevo quasi tutto. Oggi è ben diverso, è un settembre differente, meno affascinante per certi versi, e se non ci fossero di mezzo Parigi e Budapest mi sembrerebbe opaco e soavemente triste, come quando vedevo i giorni passare e dovevo finire il libro delle vacanze in tempo per il primo suona della campanella a scuola.

 

 

Summer has come and past,

 

The innocent can never last,

 

Wake me up when September ends