Compleanno 14

Ci sono e non me ne sono mai andato via, tanto per chiarire.

Ci sono stato meno: per ritmi, un po’ per scelta e forse anche per colpa della pigrizia. Non si può certamente dire che sia mancato il materiale a disposizione, ci eravamo lasciati con uno scudetto ed in mezzo c’è stato anche un Europeo, il famoso trofeo “che mi mancava” e che ho vissuto sulle tribune. Un giorno potrò dire, io c’ero, almeno qui a Roma, quando la favola iniziava a raccontarsi.

Tanto lavoro, e quello non si può mai commentare in senso negativo dopo un 2020 del genere. Lavoro sì, ma anche altri colloqui, distrazioni e rivisitazioni varie di contratti.

Soldi nuovi e altri sottratti come l’ultima sciagura della carta clonata che sembra aver trovato un lieto fine, un epilogo che di certo non elimina la sensazioni di aver messo in mano a dei dilettanti i miei risparmi.

C’è stata tanta Italia in questi mesi. Bari, Catania, Siena, Pescara e Terni. A breve anche Trento e Bolzano, un 2021 alla scoperta di quelle parti di Italia meno da copertina. Ma tanto, ogni luogo, ogni città, nasconde una sua anima, meno autentica di un tempo forse, ma sempre affascinante anche solo da percepire.

Sono stati mesi di corsa, anche nel senso più ginnico, mesi non banali. Un tempo di rinnovate convinzioni e scoperte. Un tempo in cui ripeto che mi sto invecchiando, perché ho sempre meno pazienza e ho un calante interesse verso persone e cose.

Un tempo in cui ho dato più valore alla mia attenzione, che va conservata e protetta, ma soprattutto devoluta a chi se la sa guadagnare.

Quattordici anni fa iniziavo a scrivere qua, avevo 20 anni e qualche mese. Mai avrei immaginato di essere da queste parti dopo tutta questa strada, anche se ultimamente meno presente. Ad un compleanno però non si dice mai di no, e allora oggi, più che mai, bisognava esserci.

O semplicemente, tornare.

16 dicembre: 11 anni dopo

Era un mercoledì di sole anche quello del 2009, quando per la prima volta il 16 dicembre usciva dal suo anonimato di normale data del calendario, per diventare il giorno della prima laurea e negli anni a venire una ricorrenza, un segnalibro, uno spunto per fare qualche riflessione e riguardare un po’ il film dell’anno ormai ai titoli di coda.

“Fra dodici mesi esatti ci vediamo qua, in questa provincia. Spero di no, ma temo di sì. A essere ottimisti in certi tempi è impresa semplicemente ardua”.

Finiva così il mio post di 12 mesi fa e non mi sorprendo che sia stata una previsione azzeccata. Nessuno poteva immaginare il 2020 falcidiato da una pandemia ma anche in condizioni normali sapevo che sarebbe stata dura essere altrove.

L’aspetto bizzarro di quei giorni era la lotta contro il Tribunale e la burocrazia, proprio per questo, mentre scrivevo quelle righe, ero assolutamente inconsapevole che 25 giorni più tardi mi sarei sposato.

Non è una stato un anno semplice per decine di motivi, ma nella mente rimangono due momenti di assoluto valore: il matrimonio ed il trasloco che mi ha riconsegnato al mio personale “ermo colle”.

Mai infatti avrei immaginato di ritrovarmi a scrivere questo post così vicino a “quella scrivania” dove ero lo scorso anno, ma tutto in un certo senso ha trovato compimento nel gennaio 2020. Da lì in poi, l’anno ha regalato ben poco, con la grande mazzata del licenziamento a metà tragitto.

In queste settimane finali di anno, passo dal pensare che non lavorerò mai più in vita mia alla speranza che ci sia un cash-back anche per me, perché presto o tardi dovrò andare a riscuotere tutto ciò che ho patito negli ultimi due anni.

Nel mezzo rimane la ricerca, la noia, il freddo, i giorni identici ed il tempo che malgrado tutto passa rapidamente, come se ormai fossimo un po’ tutti abituati a questa non-vita.

È chiaro che in questi 11 anni ci siano stati alcuni 16 dicembre molto più esaltanti, non per forza i primi due dove a fare da sfondo c’erano una festa di laurea o un Mondiale per Club, ricordo con particolare intimità anche quelli a Toronto, quando il countdown al volo per tornare per le vacanze era già partito.

Questo è certamente il più piatto. Non il più doloroso – quello del 2018 vince a mani basse – ma questo è il più stantio, quello sospeso in un mondo completamente in stand-by.

Ma fra 12 mesi si parlerà di altro per forza di cose e saremo altrove, a fare altro. In un’altra casa e in un’altra città. A ripensare alla pandemia andata e al caffè che ho preso oggi tornato a casa dal parco.

P.S. La playlist di Inter Legends è stata aggiornata con gli ultimi 5 episodi, quelli della seconda stagione. Qui tutto il cucuzzaro.

 

 

Fare le cose di sempre, anche in quarantena

Una delle mode di questa quarantena è quella di riproporre eventi sportivi, evidentemente perché non ce ne sono più da un po’, e poi perché forse è sempre bello e in parte emozionante rivedere certe immagini.

Penso di non aver mai rivisto per intero una partita in vita mia, nemmeno le più belle o sentite, semplicemente perché non ci trovo nulla di interessante.

Impossibile riprovare le stesse emozioni perché si sa quello che succede e soprattutto qualunque cosa è meglio che stare 90 minuti a rivedere una partita.

Mentre sui social impazzano promo e suggerimenti dove riguardarsi di tutto, in questi giorni di quarantena non penso di aver fatto una singola cosa diversa, eccetto aver disegnato domenica sera per una mezz’ora con dei pastelli due maglie dell’Inter come facevo alle elementari.

Per il resto il tempo passa, a volte più rapidamente, altre meno. Si lavora, si fa la spola fra la cucina e la camera, si sta seduti o sdraiati, gli esercizi fisici che però facevo da prima, si cucina, si mangia e si lavano i piatti. Si controlla il telefono, si guarda qualche video, e senza alcuna foga stiamo finendo di vedere una serie su Raiplay.

Si va avanti, con la noia che piomba in modo deciso in certi momenti, con la sveglia mai puntata su un orario (non succede mai in realtà), con il telefono che funziona sempre meno bene e quello nuovo lasciato distrattamente a casa dei miei più di due settimane fa.

Il brutto è pensare che non siamo nemmeno a metà del tunnel, quella rimane la cosa più scoraggiante e non so davvero come arriveremo a metà aprile.

Se la quarantena mi cambierà, è semplicemente perché mi avrà portato allo stremo della resistenza mentale.

Dubito profondamente che questa vicenda possa cambiare le persone, più che altro non vedo sotto quali aspetti. Penso semplicemente che rimarrà dentro di noi come un terribile segmento della nostra vita, di privazioni, paure e ansie, una parentesi che ci si augura di non rivivere mai più. Noi poi torneremo a essere quelli di prima, nel senso che torneremo a fare la nostra vita presto, e poco dopo, quando le vecchie abitudini saranno tornate, avremo tempo solo per preoccuparci delle cose di sempre, perché la vita è questa roba qua.

Coronavirus, oggi

Non che ci sia altro da aggiungere sul coronavirus, ma volevo spendere venti minuti di tempo della quarantena per fissare qui appunti e riflessioni che un giorno sarò magari curioso di rileggere.

Senza alcuna pretesa e senza voler dare nessun contributo al dibattito che ogni giorno diventa sempre più carico e intenso, direi che intanto sarebbe bene evitare di usare il termine guerra.

Non tanto perché è improprio, semplicemente perché la guerra è un’altra cosa.

La guerra è quella che massacra in Siria, o quella che conoscono i nostri nonni, quando non si poteva ordinare la spesa a casa grazie a una app, ma si doveva camminare chilometri per andare in cerca di castagne o farina.

Sarebbe opportuno evitare polemiche sulle donazioni, tipo quella del Cavaliere. In certi momenti si prende quello che viene senza discutere, si ringrazia e fine della storia.

Converrebbe anche non mettersi a discutere sui flash-mob, una spontanea voglia di condivisione un po’ sgangherata. Oggi è così, passerà, e non penso sarà meglio quando la quarantena ci avrà davvero fiaccato.

Non è facile, tutt’altro, chiusi in due in un bilocale, senza un balcone, senza una terrazza, senza uno spazio, sarà lunga e il peggio arriverà inevitabilmente; pertanto sia santificato il lavoro fuori che permette una necessaria e inevitabile evasione, la spesa, la spazzatura da buttare. In situazioni limite ci si attacca tutto, anche al banale.

Rasenta la tenerezza la voglia di una certa stampa di parlare di sport, di lanciarsi in previsioni e calendari. Non ce ne frega nulla del pallone e di ciò che lo circonda, interesserà agli addetti ai lavori, ma a un punto ho iniziato a provare fastidio per articoli di approfondimento fatti tanto per popolare le pagine, roba che non interessa nemmeno al peggiore dei disperati.

In fondo, siamo abituati che quando non c’è il calcio, c’è il mercato, ora non c’è niente ed è una meraviglia. Ci vorrebbe un decreto per mantenere questa pace, senza tutto questo circo si sta meravigliosamente.

Tutti navighiamo a vista, difficile pensare che la scadenza del 3 aprile possa essere rispettata, ancor di più con Pasqua la domenica successiva. L’evento genererebbe un tale movimento ed una condivisione anche confusa che sarebbe un clamoroso autogol.

Non ho idea di come e quando finirà, so che mi è saltato il trasloco e che se anche ad aprile dovessi ritrovarmi dentro queste quattro mura impazzirò, come è normale che sia.

Per il resto? Spegnere i cellulari, impresa impossibile in tempi di quarantena, ma distaccarsi ci fa solo bene, anche per respirare.

Di questi tempi, non è poco.