29 febbraio – Atto II

Otto anni fa festeggiavo la mia seconda laurea, finiva l’avventura universitaria e inevitabilmente entravo in una nuova fase della mia vita.

Ricordo che nell’eccezionalità della data pensai a dove sarei stato 4 anni dopo, nel successivo 29 febbraio, ossia quello del 2016.

Quattro anni più tardi, tornai ovviamente con la mente a quel giorno mentre salivo le scalette di un bus turistico parcheggiato di fronte l’hotel sulle rive del Lago di Tiberiade, una delle location più impensabili nella quale mi sarei immaginato con la tesi in mano mentre salutavo amici e parenti nel 2012.

Ben più normale è stato l’ultimo 29 febbraio. Un sabato, a casa, a Roma, a comprare il regalo del mio compleanno in Vaticano. Uno scenario apparentemente più facile da immaginare mentre ero su quel bus in Galilea e pensavo a dove sarei stato al prossimo rintocco del calendario su un 29 febbraio.

Otto anni non sono pochi, sono di fondo un quarto della mia vita per quanto mi riguarda e di cose ne sono successe. Tante, tantissime, più belle che brutte, di certo fatico a pensare che questi anni siano volati. Sono stati intensi e pieni, e potrei dire lo stesso anche frazionando questi 8 anni in due mini blocchi da quattro.

Dire soltanto 2020 fa effetto, parlare invece del prossimo compleanno in arrivo – Compleanno de Cristo –  come è stato ribattezzato ieri non mi scalfisce più di tanto.

Celebrare, o meglio, tornare con la mente a un 29 febbraio, è sempre unico e speciale, soprattutto quando ci si lega un ricordo molto bello che oltretutto è divenuto un segnalibro esistenziale, la frontiera che ha chiuso un percorso aprendone un altro.

Il prossimo capiterà nel 2024, ma quello attuale finora ha già mantenuto le promesse, tenendo fede al proverbio bisesto/funesto. Fra morti illustri e coronavirus, emergenze e vite limitate, campionati rinviati e falsati a piacimento, il 2020 nella sua rotondità numerica ha saputo già imporsi in modo netto.

Personalmente continuo ad abbinare bei ricordi agli ultimi 29 febbraio, e per quanto possa allungare di 24 ore l’anno, sono sempre felice di riviverlo veramente. Il prossimo chissà come sarà, ma soprattutto chissà quante altre cose succederanno in questo prossimo quadriennio scattato alle 00.01 del primo marzo, compleanno oltretutto di mia moglie.

Così, per dire…

L’Incubo

Sono cinque anni che tengo questo cartoncino nella tasca della giacca nera. Non l’ho mai tolto. Non so perché, o meglio, non so perché non l’ho buttato subito dopo che mi fu consegnato, di certo so perché negli anni successivi l’ho conservato.

È un promemoria. Mi ricorda quel giorno, quello prima e quello prima ancora. Quel weekend, e tutto quel periodo, quel finale di 2012 e quello che arrivò dopo.

Seduto sui gradini vicino l’Auditorium, mentre parlavo con Francesca, un ragazzo mi consegnò questo invito per Halloween. La scritta “Incubo” sintetizzò alla perfezione il momento, e come spesso capita, in momenti tragici c’è sempre un aspetto bizzarro o involontariamente comico che ti fa ridere. Da qui, di fondo, nasce il detto “ridere per non piangere”.

Tengo questo cartoncino anche se in realtà me lo dimentico ogni volta. Mi torna in mente sempre in questo periodo, quando la giacca nera torna a essere giusta per il periodo e il clima. Dopo il controllo di ordinanza delle tasche, su quella in alto a sinistra trovo sempre questo cimelio e mi ricordo, anche se mi stupisce ogni volta che sia ancora lì. Dopo qualche secondo però, sono “felice” di ritrovarlo.

In quelle settimane, in una e-mail di Alfredo datata 14 novembre lessi:

“Salda il conto intero o tieni in tasca lo scontrino. Non aver paura di tenerti tutto dentro, alla fine è il posto più sicuro in cui custodire le cose preziose”.

Involontariamente questo invito di Halloween è la ricevuta di quel periodo e seguendo il saggio ragazzo di Frascati, l’ho sempre tenuto in tasca, in quella che casualmente, o forse no, è sopra la parte del cuore.

Banale a dirsi, ma indietro di 5 anni non ci tornerei nemmeno sotto tortura, eppure decine di cose mi ci hanno riportato in queste settimane. Non solo il calendario e le ricorrenze, la giacca, il meteo o il cambio dell’ora. L’aria che respiro mi fa ripiombare lì. Anche perché è in fondo la prima volta che mi ritrovo a Roma dopo anni, dal 2012 appunto, e quindi è tutto un ripercorrere. Per quanto sia passata una vita, c’è troppo intorno per non ritornarci con la testa, sarà anche perché ottobre è sempre stato foriero di eventi negativi.

Ripenso infatti al 2005, al 2012, ma anche all’anno successivo e a Cracovia dopo il traumatico secondo inizio irlandese, così come al ritorno in Canada datato proprio 27 ottobre 2015. Certo, per onestà, c’è anche da menzionare quello passato, che ovviamente va in controtendenza con tutti i precedenti, e per quanto sia fresco e recente, si è ritrovato stritolato dagli altri e dal fatto di ritrovarmi a Roma.

A me questo posto non mi fa stare bene, non c’è niente da fare. Mi rende tutto tranne che felice e questa consapevolezza, che si sta facendo strada dentro di me, non mi regala grande serenità.

La grande fase di rigetto che anziché arrestarsi aumenta da quando sono rientrato, sta vivendo la sua fase più acuta ora, anche a causa di una serie di ricorrenze che non possono evocarmi bei ricordi.

Non mi piaceva prima questo posto, mi piace ancora meno oggi. Di fondo, tutto il tempo passato prima di andarmene è stato costellato da momenti non esaltanti, per usare un eufemismo.

Quella è stata la coda e quindi pesa ancora nelle sensazioni e nei ricordi. Da quando sono tornato mi sono realmente goduto tre giorni. Sono state le tre giornate in cui sono stato felice di essere qui: quella a Montalcino e i due matrimoni.

Per il resto, tutto è stato solo motivo di fastidio, soldi spesi, perdite di tempo, totale mancanza di sintonia con il contesto. Se pure avessi idealizzato il ritorno, non penso che questo sia il problema di tale disagio. Non mi dimentico però che a suo modo questo rientro mi ha già insegnato diverse cose, lezioni che se non avessi rimesso piede qua in maniera più o meno stabile non avrei mai appreso.

Se mai la querelle relativa alla casa troverà un suo compimento, se si prenderà il largo da ottobre e dal suo essere evocativo e potrò magari lavorare decentemente, sarò ben felice di rimettermi a posto a livello emotivo, anche se amici con genitori morti e gravemente malati non aiutano.

È strano, ma non casuale, aver scritto l’inizio di questo post con “Rockin’ Chair” di Rod Stewart in sottofondo, a me sembra di essere indietro di anni, e nemmeno pochi a dire il vero. Una ridda di ricorrenze, pensieri, ricordi, tutte quelle cose che ti rendono tetro inevitabilmente e non perché ieri era il 2 novembre.

Mi sembra di essere nella macchina del tempo, e senza voler rinnegare nulla, perché quel cartoncino mi ricorda che c’è stato di peggio, molto peggio, so solo che tutto questo non mi piace affatto e essere lontano da qui mi farebbe stare decisamente meglio.

Ovunque, ma non qui.

730 giorni dopo

Il giorno del mio onomastico se lo ricordano da sempre soltanto tre persone: mia madre, mia nonna (perché c’è la signora Alice che ascolta radio religiose e glielo dice) e poi Roberto, un mio ex compagno di liceo che essendo di Salerno festeggia San Matteo patrono della sua città.

Onestamente non mi interessa celebrare questa data, ma a questo giorno abbino senza dubbio un mio segnalibro esistenziale. Due anni fa, il 21 settembre, tornai da Budapest con mio padre, fin lì tutto era andato bene: l’estate, lo stage e i viaggi considerando anche quello di pochi giorni prima a Parigi. Tutto sembrava filare liscio quando in realtà il corso degli eventi stava per imboccare definitivamente la strada sbagliata. Da lì in poi infatti tutto cambiò. Il primo sentore fu la beffa al colloquio per lo stage al Ministero, e poi, ottobre porto con sé disastri, disgrazie, problemi, sciagure di vario tipo, funerali, fatti che si andarono a sommare rapidamente in una spirale nera mai vista prima.

Se avessi saputo quello che mi aspettava forse sarei rimasto a Budapest per sempre. Personalmente sono convinto che la mia miglior parte sia rimasta lì, in quei giorni pre 21 settembre, dopo ho perso progressivamente molto, quasi tutto, e non l’ho mai più ritrovato. Ho vissuto successivamente passaggi importanti, momenti belli, di grande valore e circostanze formative ma in realtà non sono mai più stato “quello lì”. Non mi sono mai più sentito perfettamente in sintonia. Pur muovendomi, ricominciando e accettando nuovi inizi non è più stata la stessa cosa. Il vuoto di questo 2014 certifica le mie parole, guardando indietro rifarei tutte le scelte ma prenderei anche qualche decisione in più, mi rammarico di quello. “Non siamo più quelli del Triplete”, spesso dico a David scherzando, ma è la realtà e non solo per un aspetto anagrafico. È cosi, lo so benissimo e lo riconosco, se qualcuno me lo fa notare non posso far altro che annuire e condividere il pensiero. Non è così per tutti, molti fuggono da verità o non accettano dei dati di fatto, a me non è mai piaciuto.

La sensazione è che intanto il tempo scorra e un senso di incompiuto si faccia strada dentro forte e chiaro, che l’adoperarsi in tutti i modi non porti da nessuna parte, che le ambizioni diventino sempre più illusioni concrete come nuvole, che tutte le cose che ti piacciono in fondo non ci sono quasi più.

Ci sono stati momenti in parte peggiori, botte e lampi, improvvisi e taglienti, ma questa lunga parentesi ha un valore diverso, più profondo e di sostanziale smarrimento.

Il video-racconto

 

Dodici mesi vissuti così. È questo il titolo del mio video-racconto dell’ultimo anno, un filmato che ripercorre questi 365 giorni: dalla magistrale di fine febbraio alla partenza ormai imminente.

Mentre facevo il video ho rivisto quello precedente, quello che creai prima della laurea dello scorso anno e che pubblicai a pochi giorni dalla discussione. Onestamente è molto più entusiasmante, è una carrellata di brividi, una cavalcata trionfale, la famosa victory machine portata al suo apice.

Era un filmato diverso, abbracciava due anni, dalla discussione della triennale alla vigilia della magistrale e quindi comprendeva anche il tanto citato 2010, l’annus mirabilis. Per tempo, situazioni e fatti, ovviamente è un video che sprigiona un’energia notevole ma questo ha comunque un suo perché.

Parte dal 29 febbraio 2012, dal giorno in cui sono diventato bis dottore e finisce con immagini recenti, anzi, con fotografie che mi proiettano a domani, alla prossima avventura che incombe.

È stato un anno lungo, pieno di cose, belle e brutte, di esaltazione e disperazione, dodici mesi in cui mi sono ritrovato dal brivido di parlare davanti alla lucetta rossa di una telecamera che ti riprende, a sensazioni molto meno piacevoli.

Ho vissuto di tutto, ma tra qualche tempo apprezzerò e capirò meglio anche questo 2012, credo che mi abbia insegnato un’infinita di cose.

Come detto, è un video diverso da quello passato ma mi piace lo stesso. Tecnicamente parlando è montato meglio ma mixato peggio del precedente (secondo il mio punto di vista), di certo è la coda perfetta a quello creato proprio un anno fa.

Termina con una citazione vera, un messaggio che mi ha spinto a prendere una decisione, anche se le foto finali sono dei chiari puntini di sospensione che rimandano al prossimo video-racconto.

Anche perché, un’esperienza come quella che sto per vivere, merita di essere immortalata nel modo più opportuno…

 

Buona visione!