“Ho bisogno di una sorpresa ogni tanto”

La scorsa settimana mentre mi aggiravo su Youtube ad un punto ho deciso di vedere dopo tanti anni da Zero a Dieci, il secondo film di Ligabue. Dei vari spunti che la pellicola regala, ce ne è uno che mi è rimasto più a cuore, in realtà è una frase del protagonista, di Giovanni Benassi il quale ad un punto esclama: “Ho bisogno di una sorpresa ogni tanto.”

Un pensiero che mi ha portato a bloccare per un attimo il film, perché mi sono fermato e rivolgendomi idealmente all’attore gli ho detto: “Bravo, è esattamente quello che sto pensando io da alcune settimane.”

Sì perché in fondo ci vorrebbe una sorpresa, un colpo di scena, un episodio inatteso che ti meraviglia e ti stordisce un po’, ovviamente in senso positivo. Questa frase mi ha riportato a quella utilizzata due anni fa quando scrissi una citazione tratta dal libro di Maffucci: “La vita è una traiettoria imprevedibile, casuale. Tutto sembra andare storto e finisci dritto nel posto giusto. Basta una buca, un sussulto, una svista improvvisa che sposta l’asse e rompe la geometria del destino.”

Pochi giorni dopo aver finito di leggere questo libro andai in Svizzera senza aspettarmi nulla, se non di passare dei giorni diversi in un paese con degli scorci incantevoli. E poi? Appunto, tutto sembra andare storto e finisci nel posto giusto. Cinque giorni dopo infatti, mentre mi aggiravo per la stazione di Lugano, con i biglietti del treno per Milano in tasca, continuavo a ripetere da solo e a voce alta: “Quanti brividi, quanti brividi, quanti grandi brividi per la Madonna.”

Quella è una istantanea magnifica di come ad un punto succedano cose che vanno al di là dell’immaginazione, eventi che scappano di mano e al massimo puoi rincorrerli, consapevole che sarà dura raggiungerli. Visto che poi non sono uno che rinnega nulla e si rimangia certe cose, quel fomento, quella parentesi magica e sorprendente, la rivivrei altre cento volte pur mettendo in conto tutto il resto. Perché sì, come dice il Benassi, ho bisogno di una sorpresa ogni tanto, e onestamente avrei bisogno di questo tipo di sorprese ora, soprattutto adesso.

Essendo dotato di una consistente dose di fantasia da sempre, mi capita di immaginare ipotesi e scenari, è uno dei miei passatempi, soprattutto la mattina o la sera. Fantastico, disegno scenari, mi pongo domande e organizzo come potrei fare o come sarebbe se succedesse questo o quello. L’ho sempre fatto, più che altro credo sia una reazione naturale al fatto che quasi sempre so già quello che succederà, e quindi vivo una specie di “noia esistenziale” dettata dal fatto che so come andrà. Sarò un visionario, uno troppo scaltro, o semplicemente conosco certe dinamiche che mi circondano per cui la vita normale mi offre poche sorprese, pochi colpi di scena, rare situazioni inimmaginabili.

Tutto è sempre abbastanza pronosticabile, spesso nel male, e quindi in questa specie di agnosticismo mi creo una sottospecie di dimensione parallela nella quale solitamente entro quando mi dico: “Ma pensa se…”

Mi diverte, mi distrae, mi alleggerisce. Non c’è nulla di male, ogni tanto una scappatoia fantasiosa ci sta anche bene, o no?

Però, ora, mi rendo conto che servirebbe una roba del genere, quel qualcosa che sposta l’asse e rompe la geometria del destino, sarebbe intrigante, anche perché capisco che dopo 5 mesi sto iniziando a prendere il controllo della situazione e quindi sarebbe utile e curioso uno scenario spiazzante che cappotta tutto. Solitamente però, sono cose esterne, situazioni che capitano e che non vengono in base o in seguito alla propria volontà.

Sì, sì, ci vorrebbe una cose del genere, ne sono profondamente convinto e mentre riflettevo sul termine giusto da usare, e ripensavo alla frase del film mi dicevo: “Sì però la parola non è sorpresa, va bene, ma non è quella, nemmeno situazione o colpo di scena, no, è un’altra parola.” Dopo un po’ mi sono fermato e mi sono detto: “Brivido! Brivido! Serve un brivido.”

E sì, capita anche questo, un po’ come quando giri per casa e cerchi le chiavi e poi ti rendi conte che le avevi già in mano.

Ecco, mi è successa la stessa cosa. 

Quella serata a Frascati, con la Rossocrociata e tutti gli altri

 

E fu così che mi ritrovai un sabato sera di fine estate, nel giorno del mio onomastico, in un ristorante di Frascati accompagnato da alcuni amici. Alla mia sinistra avevo Antonio e La Bionda, a destra Andrea e Martina. Davanti a me la ragazza elvetica, la famosa Rossocrociata che era tornata due settimane dopo la celebre improvvisata. Eravamo noi sei, e dopo un fritto misto seguito da una pizza, fummo raggiunti dal mai dimenticato Gallo con tanto di baffetti e da Alfredo che a quei tempi stava facendo uno stage alla Gazzetta dello Sport, quando la poltrona da dirigente Rai (posto che occupa ormai da 36 anni ininterrottamente) era soltanto una pura chimera.

Si creò un’atmosfera solare, un’aria distesa. Era stato rotto il ghiaccio e la mia insistenza nel far si che La Bionda e la Rossocrociata parlassero tra di loro un po’ in francese era stata parzialmente soddisfatta. Nel frattempo Andrea aveva provato argutamente a mettermi in imbarazzo e a ridicolizzarmi, mentre Antonio, fedele compagno alla mia sinistra, vigilava attento come un ufficiale sabaudo. Il Catto era felice, aveva riottenuto una palla di vetro da Dublino che però ruppe maldestramente la notte stessa, quando arrivato al casello di Anagni venne aggredito da due briganti dai quali si divincolò eroicamente tirandogli la palla addosso e ferendo loro gravemente.

Usciti dal ristorante ci dirigemmo verso San Rocco: Alfredo faceva strada, con il suo passo dinoccolato, le mani in tasca e la testa piegata verso destra, con la sua andatura da uomo di mondo introduceva la ragazza svizzera nei meandri di Frascati.

A quel punto, giunti dinnanzi ad un muretto, mi tornò in mente una situazione capitata esattamente tre anni prima, quando in quel posto preciso, Alfredo e David mi prendevano in giro prospettando il mio futuro. Eravamo nuovamente lì, di tempo ne era trascorso e di cose ne erano successe, anche soltanto in quel mese del lontano 2013.

Fu una serata allegra, piacevole, in cui pensai ripetutamente che in fondo mancava solo Gabriele per completare il concistoro in questa riunione ufficiale.

Tirammo avanti fino alle 2.30, poi Alfredo mi riportò a Villa Sciarra per prendere la macchina e lì ci separammo. Fu proprio lui a salutare la Rossocrociata con tre baci sulla guancia seguendo le tradizioni elvetiche, fece una bella figura se non fosse che poco dopo, risalutandoci nuovamente, gliene diede due rientrando nella parte dell’italiano medio.

Io mi gustai la scena, mentre il Catto davanti a me si lisciava i suoi mustacchi fiero del suo nuovo look.

Tornammo verso Roma e la Rossocrociata inserì il frontalino della radio per farmi compagnia, consapevole che si sarebbe addormentata dopo aver raggiunto la rotonda dell’ospedale ed infatti avvenne proprio questo. Io rimasi in silenzio senza musica in sottofondo, assecondai le curve della strada ripensando alla serata, ripercorrendo alcuni momenti e certe battute.

Convinto che era stata una serata per tanti motivi molto importante, una di quelle che iniziano a cambiare i punti di sospensione in punti esclamativi.

Basta poco

 

L’immagine che mi rimarrà in mente di quest’estate è una in particolare, apparentemente inutile ma molto simbolica: metà luglio, io che corro una domenica nel tardo pomeriggio da solo, all’altezza dell’incrocio fra Via Columbia e Via Cambridge, davanti la mia facoltà, penso “Eppure qualcosa deve succedere, un brivido, un qualcosa…per forza!”.

È un’istantanea curiosa, ma ricordo perfettamente questo pensiero e quel momento, racchiuso in una considerazione che era figlia di un’estate fino a quel punto inconsistente, vuota e arida di tutto.

Il punto però è che a volte le cose succedono e noi non siamo completamente gli attori di ciò che capita, molte cose sfuggono al nostro volere, spesso le intenzioni non corrispondono ai fatti e viceversa. Tutto quello che infatti è avvenuto dopo, dal 27 agosto in poi, non era minimamente preventivabile a Ferragosto, figuriamoci a metà luglio quando il sole batteva e io correvo in una desolata Tor Vergata.

Fino a lunedì 26 agosto, giorno in cui ho comprato il biglietto del treno per Milano, la sensazione chiara era quella di un’estate così insipida che avrei ricordato in eterno per il suo essere stata inutile.

Fino a quel giorno avrei potuto raccontare di essere stato a Roma, di non aver fatto ne viaggi o vacanze, di essere andato 7 volte al mare, di essere uscito poco, di non aver trovato lavoro, di aver rivisto quasi tutte le 5 serie de Il Testimone di Pif, lo speciale in 8 puntate sui Club Dogo e di aver rivisto tutta la prima edizione di MTV Trip, anno 2000, quando Luca e Paolo erano due semi sconosciuti che viaggiavano per l’Italia con un carro funebre ma a me facevano già molto ridere.

Avrei ricordato l’estate 2013 così, in un modo oggettivamente piatto e senza clamori, tra la sensazione forte di aver perso del tempo e la convinzione che qualcuno me lo avesse fatto sprecare non dandomi segnali di alcun tipo a livello lavorativo.

Sarebbe finita così se una serie di cose non fossero successe per ricordarci che il destino ha veramente più fantasia di noi, e di come certe trame nascano da lontano, magari da David a Dublino che si ricorda di dare il mio indirizzo mail a chi gli avevo detto. Oppure al blog e alla sua funzione Contatta l’autore che mi scuote in un sabato sera di inizio agosto mentre ero a cena da Ivo a Trastevere. Sarebbe stata un’estate diversa se non avessi deciso di rientrare per 24 striminzite ore su Facebook per mandare un messaggio ad una persona che oltre tutto non era nemmeno nei miei amici.

Insomma, se non ci fossero state tutte queste cose, sommate poi inevitabilmente al fomento e alla voglia di farsi trascinare dalle onde, starei qui a parlare di tutt’altro.

Invece no, perché poi le cose succedono e quello che auspicavo sudando mentre correvo a Via Columbia in fondo è capitato, e basta veramente poco per cambiare completamente il giudizio su un’estate, per toglierle l’etichetta “Pochi Brividi” e metterle quella con scritto sopra “Montagna di Brividi”. Basta poco. Un amico, una mail, il blog, Facebook e una doppia dose di entusiasmo e follia ben mescolate fra loro.

 

“Puoi svegliarti anche molto presto all’alba, ma il tuo destino si è svegliato mezz’ora prima di te”.

 

(Proverbio africano)

 

 

estate, riflessioni, 2013, svizzera

(Lugano, sabato 31 agosto, a mangiare le costine)

Le mirabolanti avventure estive di un Azzurro e una Rossocrociata (Parte 4)

 

Il primo teorema sui brividi afferma che “Un brivido è un brivido”. Frase tautologica, ripetuta tante volte ma che riassume nella sua banalità un mondo di verità. Il secondo postulato sostiene che “Un brivido tira un altro brivido”. Quest’ultimo concetto fu ripreso dalla Rossocrociata che lanciò un ulteriore dose di benzina su un incendio di fomento che divampava già da giorni. Fu lei infatti a posticipare di un giorno la partenza, non più giovedì bensì venerdì dopo pranzo, un prolungamento accolto con entusiasmo e soddisfazione dall’Azzurro.

Il mercoledì fu la volta della chiesa dei cappuccini in Via Veneto, quella con la cripta trasformata in una specie di ossario, uno scenario macabro ma carico di fascino, una cosa che oltre tutto il giovane italiano non aveva mai visto. Davanti ad un panino enorme l’Azzurro provò ad imbastire una sorta di offerta-proposta matrimoniale per ottenere i vantaggi di un secondo passaporto dal valore notevole ma l’elvetica non fu così accondiscendente, soprattutto perché non era troppo entusiasta di uno scambio alla pari: il passaporto italiano non lo desiderava. Le Domus a Palazzo Valentini, il ritorno a casa ed il giro a San Lorenzo con passaggio davanti al Verano, prima del celebre tiramisù di Pompi furono i titoli di coda di un’altra puntata. Un’altra giornata finiva in archivio con giovedì che iniziava a farsi largo e che avrebbe portato i due a Cinecittà per un tour coinvolgente in particolare per quel che riguardava i set cinematografici della Roma Imperiale, del Borgo medievale e di Un Medico in Famiglia che scatenò una ingiustificabile ondata di fomento nel volto dell’Italico.

Trascinati da un flusso emotivo non arginabile la serata terminò a Campo de Fiori, tra discorsi sul futuro e interpretazioni varie di tutto ciò che era accaduto. Era l’ultima nottata insieme prima della partenza ma ci fu tempo anche per altri momenti da ricordare, così come lo spaesamento del giovanotto italiano per tornare alla macchina.

Impossibile arrestare le lancette, impraticabile procrastinare ancora la partenza, il tempo inchiodava per la prima volta i due avventurieri che si diressero verso la stazione Termini alle 13.00.

Al binario 6, numero tanto caro all’Azzurro, si consumò l’arrivederci approfittando della pazienza del capo treno che aveva già il fischietto in bocca. Nessun imbarazzo ma quel senso di tristezza classico di quando una grande avventura volge alla fine, quando per una volta il fomento viene superato dalle scadenze e dai doveri. Trentasei ore dopo lei infatti sarebbe ripartita per Dublino, dove si erano incontrati casualmente e mai salutati. Travolti da undici giorni inattesi, avvolti da un alone perpetuo di carica si salutavano con quei puntini di sospensione che sono la coda immancabile in situazioni del genere, punti che rimandano ovviamente a quello che accadrà in seguito, puntini di sospensione che ti auguri di trasformare in punti esclamativi. Prima o dopo.

 

« Sì, perché il ciclone, quando arriva, non è che t’avverte. Passa, piglia e porta via. E a te, ‘un ti rimane altro che restare lì, bòno bòno a capire che, forse, se ‘un fosse passato, sarebbe stato parecchio, ma parecchio peggio »

 

(Leonardo Pieraccioni – Il Ciclone).

 

 

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FINE