Fare le cose di sempre, anche in quarantena

Una delle mode di questa quarantena è quella di riproporre eventi sportivi, evidentemente perché non ce ne sono più da un po’, e poi perché forse è sempre bello e in parte emozionante rivedere certe immagini.

Penso di non aver mai rivisto per intero una partita in vita mia, nemmeno le più belle o sentite, semplicemente perché non ci trovo nulla di interessante.

Impossibile riprovare le stesse emozioni perché si sa quello che succede e soprattutto qualunque cosa è meglio che stare 90 minuti a rivedere una partita.

Mentre sui social impazzano promo e suggerimenti dove riguardarsi di tutto, in questi giorni di quarantena non penso di aver fatto una singola cosa diversa, eccetto aver disegnato domenica sera per una mezz’ora con dei pastelli due maglie dell’Inter come facevo alle elementari.

Per il resto il tempo passa, a volte più rapidamente, altre meno. Si lavora, si fa la spola fra la cucina e la camera, si sta seduti o sdraiati, gli esercizi fisici che però facevo da prima, si cucina, si mangia e si lavano i piatti. Si controlla il telefono, si guarda qualche video, e senza alcuna foga stiamo finendo di vedere una serie su Raiplay.

Si va avanti, con la noia che piomba in modo deciso in certi momenti, con la sveglia mai puntata su un orario (non succede mai in realtà), con il telefono che funziona sempre meno bene e quello nuovo lasciato distrattamente a casa dei miei più di due settimane fa.

Il brutto è pensare che non siamo nemmeno a metà del tunnel, quella rimane la cosa più scoraggiante e non so davvero come arriveremo a metà aprile.

Se la quarantena mi cambierà, è semplicemente perché mi avrà portato allo stremo della resistenza mentale.

Dubito profondamente che questa vicenda possa cambiare le persone, più che altro non vedo sotto quali aspetti. Penso semplicemente che rimarrà dentro di noi come un terribile segmento della nostra vita, di privazioni, paure e ansie, una parentesi che ci si augura di non rivivere mai più. Noi poi torneremo a essere quelli di prima, nel senso che torneremo a fare la nostra vita presto, e poco dopo, quando le vecchie abitudini saranno tornate, avremo tempo solo per preoccuparci delle cose di sempre, perché la vita è questa roba qua.

Coronavirus, oggi

Non che ci sia altro da aggiungere sul coronavirus, ma volevo spendere venti minuti di tempo della quarantena per fissare qui appunti e riflessioni che un giorno sarò magari curioso di rileggere.

Senza alcuna pretesa e senza voler dare nessun contributo al dibattito che ogni giorno diventa sempre più carico e intenso, direi che intanto sarebbe bene evitare di usare il termine guerra.

Non tanto perché è improprio, semplicemente perché la guerra è un’altra cosa.

La guerra è quella che massacra in Siria, o quella che conoscono i nostri nonni, quando non si poteva ordinare la spesa a casa grazie a una app, ma si doveva camminare chilometri per andare in cerca di castagne o farina.

Sarebbe opportuno evitare polemiche sulle donazioni, tipo quella del Cavaliere. In certi momenti si prende quello che viene senza discutere, si ringrazia e fine della storia.

Converrebbe anche non mettersi a discutere sui flash-mob, una spontanea voglia di condivisione un po’ sgangherata. Oggi è così, passerà, e non penso sarà meglio quando la quarantena ci avrà davvero fiaccato.

Non è facile, tutt’altro, chiusi in due in un bilocale, senza un balcone, senza una terrazza, senza uno spazio, sarà lunga e il peggio arriverà inevitabilmente; pertanto sia santificato il lavoro fuori che permette una necessaria e inevitabile evasione, la spesa, la spazzatura da buttare. In situazioni limite ci si attacca tutto, anche al banale.

Rasenta la tenerezza la voglia di una certa stampa di parlare di sport, di lanciarsi in previsioni e calendari. Non ce ne frega nulla del pallone e di ciò che lo circonda, interesserà agli addetti ai lavori, ma a un punto ho iniziato a provare fastidio per articoli di approfondimento fatti tanto per popolare le pagine, roba che non interessa nemmeno al peggiore dei disperati.

In fondo, siamo abituati che quando non c’è il calcio, c’è il mercato, ora non c’è niente ed è una meraviglia. Ci vorrebbe un decreto per mantenere questa pace, senza tutto questo circo si sta meravigliosamente.

Tutti navighiamo a vista, difficile pensare che la scadenza del 3 aprile possa essere rispettata, ancor di più con Pasqua la domenica successiva. L’evento genererebbe un tale movimento ed una condivisione anche confusa che sarebbe un clamoroso autogol.

Non ho idea di come e quando finirà, so che mi è saltato il trasloco e che se anche ad aprile dovessi ritrovarmi dentro queste quattro mura impazzirò, come è normale che sia.

Per il resto? Spegnere i cellulari, impresa impossibile in tempi di quarantena, ma distaccarsi ci fa solo bene, anche per respirare.

Di questi tempi, non è poco.