Bravi e poverini

Quello che non capisco è il perché qualcuno vorrebbe sentirsi dire “bravi” per come è stata gestita l’emergenza e “poverini” per il dramma enorme vissuto. A tutto questo, ovviamente, deve seguire l’aiuto vero dell’UE e i soldi, ma soprattutto non si può dire che altri siano stati più bravi, non tanto nel gestire l’emergenza, quanto nell’avere un sistema più funzionante e meglio gestito.

Ad esempio, la gente continua a scandalizzarsi dei numeri della Germania. “Sicuramente stanno nascondendo qualcosa, certamente la proporzione contagiati-deceduti non è realistica, indubbiamente mentono”: ecco un altro pensiero che sta prendendo sempre più piede qui. Secondo l’opinione di molti, la Germania doveva vivere lo stesso dramma di Italia e Spagna, se non è successo è semplicemente perché nascondono dati al mondo e ancor di più all’Europa.

Questo atteggiamento lo trovo talmente imbarazzante che oltre a evidenziarlo non lo voglio nemmeno commentare, perché c’è veramente da vergognarsi.

Bisogna nascondere la testa sotto terra quando si pensa di essere così intelligenti e perfetti, mentre continuano a morire 500 persone di media al giorno, e l’unica cosa che è stata fatta è solo ed esclusivamente tenere le persone a casa.

Era inevitabile? Molto probabilmente sì, ma di disastri ne sono stati fatti tantissimi, anche in Lombardia, dove da settimane continuano a ricordarci la sua eccellenza in campo sanitario.

Il punto è che giorno dopo giorno l’attenzione si sposta sul dopo, il dramma vero, quello che ci accompagnerà ben più a lungo del COVID-19.

Troveremo il vaccino e torneremo ad una vita più o meno normale, prima di essere nuovamente nella nostra esistenza old-style, ma i guai economici ci attanaglieranno non si sa per quanto.

Penso a commercianti e imprese e mi domando come si possa essere rinfrancati dai numeri che si sentono sugli aiuti e i denari. L’italiano è furbo e malandrino, ma soprattutto malfidato e non crede negli aiuti, sa che quei soldi se arriveranno gli arriveranno in minima parte e serviranno a ben poco.

L’italiano infatti sa che su finanziamenti e prestiti, soldi e liquidità varia, si allungheranno le mani delle varie mafie. Sa che tantissimi soldi verranno spesi male. È consapevole che niente gli darà indietro i soldi persi in questo disastro.

Ecco, c’è poco da stare sull’uscio in attesa che il pacchetto dall’Europa ci venga recapitato, semplicemente perché i ristoranti o i bar, soprattutto in luogo dall’alto tasso turistico, avranno ben poco da poter celebrare i soldi in arrivo.

Attendiamo intanto le nuove direttive sulla fine del lockdown. Aspettiamo e vediamo come si ripartirà, augurandoci ci sia una idea, anche perché dal 4 maggio i problemi da gestire saranno ancora di più e diversificati.

Questo è ora il problema maggiore: quello che sta per arrivare, ossia un mix che non possiamo ancora decifrare, anche se chi ci governa dovrebbe avere la lungimiranza per capire cosa potrà succedere.

Intanto ci guardiamo l’ennesima Instagram live di Bobo Vieri, anche perché parlare sui social è il mondo della comunicazione di oggi, ma parlare su Facebook quando si è primo ministro, nell’emergenza attuale, mi pare l’ennesimo autogol dal punto di vista della strategia comunicativa.

COVID-19: cosa ha fatto il Vaticano finora? E il Papa?

Il virus che sta falcidiando la provincia dell’Hubei dai primi giorni del 2020 diventa sempre più una notizia che apre telegiornali e prime pagine in Italia verso la fine di gennaio.

L’emergenza avanza e il 3 febbraio una nota della Sala Stampa annuncia che sono state inviate in Cina centinaia di migliaia di mascherine (circa 700 mila) per limitare la diffusione del contagio da coronavirus. Il comunicato specifica che l’invio è destinato alle province di Hubei, Zhejiang e Fujian, mentre l’iniziativa è congiunta ed eseguita  dall’Elemosineria Apostolica e del Centro Missionario della Chiesa Cinese in Italia, con la collaborazione della Farmacia Vaticana.

Passano le settimane, inizia la Quaresima ed il virus raggiunge l’Italia, soprattutto il nord-est del paese. Crescono i contagi e si individuano due focolai, ma soprattutto c’è la prima vittima, un signore di 78 anni che muore a Vo’ Euganeo in provincia di Padova, venerdì 21 febbraio.

Due settimane dopo, vengono stabilite nuove disposizioni riguardanti la Lombardia: la sera del 7 marzo le stazioni ferroviarie di Milano vengono affollate prevalentemente da fuorisede, studenti e lavoratori, i quali cercano di lasciare la città per evitare di rimanere intrappolati nel capoluogo lombardo.

Solo quattro giorni dopo, con il dpcm dell’11 marzo, il premier Conte dispone misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale, sospendendo “le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità”.

Cala così il lockdown su tutto il paese, la notizia fa il giro del mondo, ma poche ore prima, nel tardo pomeriggio del 10 marzo Apsa e Propaganda Fide, i due Dicasteri della Santa Sede che si occupano della gestione degli immobili, avevano annunciato di essere pronti a rivedere le tariffe per gli esercizi commerciali di fronte alla crisi per l’epidemia di coronavirus.

La nota esplicita che considerando “le situazioni di particolare sofferenza economica che si trovano ad affrontare i conduttori, in conseguenza dei provvedimenti emanati dalle Autorità italiane per arginare la diffusione del Covid-19”, si offre la disponibilità “ad accogliere richieste di riduzione temporanea dei canoni di locazione commerciale”.

Due settimane più tardi è il Santo Padre in prima persona a realizzare un nuovo gesto mentre l’emergenza sembra non arrestarsi: il 25 marzo infatti il pontefice affida 30 respiratori acquistati all’Elemosineria Apostolica affinché li possa donare ad alcune strutture ospedaliere nelle zone più colpite dalla pandemia. Italia e Spagna, i due paesi europei con maggiori difficoltà nel contrastare l’epidemia, sono gli stati a cui vengono affidati i respiratori.

Termina marzo ed il 3 aprile Papa Francesco è il protagonista di una nuova donazione: 60 mila euro al vescovo di Bergamo – tramite il Capitolo di San Pietro- perché provveda a comprare dei respiratori per l’Ospedale Papa Giovanni.

La curva inizia a scendere, si vedono i primi dati che lasciano sperare dopo settimane di numeri sempre in crescendo ed arriva anche un nuovo gesto di enorme portata voluto dal pontefice.

Il 6 aprile infatti, arriva un fondo per le zone di missione colpite dal virus. Il contributo iniziale stanziato da Papa Francesco ammonta a 750 mila dollari, le Chiese che possono, chiede il Papa, contribuiscano attraverso le Pontificie Opere Missionarie.

Quello di ieri è stato l’ultimo gesto di solidarietà e beneficenza da parte del pontefice, un’azione che allunga la lista di ciò che negli ultimi due mesi ha fatto la Chiesa, durante una Quaresima che mai come stavolta è stata un tempo di privazione e sofferenza, ma anche di carità, parola centrale di questo magistero guidato da Bergoglio.

Piccioni e gabbiani ai tempi del COVID-19

Anche piccioni e gabbiani stanno avendo i loro problemi in questi tempi di COVID-19. Nessuno ci pensa, ma io li vedo. Senza nessuno in Piazza San Pietro e in tutta l’area, senza persone in giro, senza turisti che si sbrodolano mangiando ai tavoli sui marciapiedi, c’è veramente poca roba per questi due mai amati volatili.

In aggiunta, va anche sottolineato come improvvisamente i cassonetti della spazzatura siano sempre puliti e svuotati con rara precisione.

Soffriamo noi ma soffrono anche i gabbiani che chissà, magari, se ne torneranno al mare e lasceranno in pace la città e i suoi abitanti.

Intanto oggi mi sono fatto per la prima volta una vera coda per entrare al supermercato. Sarà perché era il lunedì che porta a Pasqua, sarà che il supermercato in Vaticano lavora fino a mercoledì, ma un’ora e 35 minuti in piedi in attesa me la sono fatta, inveendo contro uno che aveva fatto ampiamente il furbo passando davanti a me e a una signora di almeno 150 anni.

Il lievito per roba salata non c’è nemmeno lì, zucchero e farina invece sì. In tempi di pandemia sembra chiaro che il lievito sia diventato il vero oro, mentre il petrolio, l’”oro nero”, continua a battere record ogni settimana per quanto vada giù.

Forse fra 7 giorni inizieremo a vedere la luce, nel lunedì dell’Angelo, nella vecchia e cara pasquetta, qualche disposizione potrebbe regalarci il brivido di una libertà non vicina ma un po’ meno lontana.

Nel frattempo i morti continuano ad essere tanti, le terapie intensive si stanno alleggerendo, il toto-date va alla grande con ipotesi che arrivano da ogni lato.

Resta il fatto che io continuo ad essere più preoccupato per il dopo che per oggi. La mia poco celata certezza è che il dramma economico sarà un qualcosa che non riusciamo ad immaginare. Non solo la nostra quotidianità continuerà ad essere minata da tanti piccoli spigoli ma la crisi finanziaria, soprattutto qua, sarà terribile.

Intanto domani è 7 aprile. “Ci vediamo il 7 aprile” con la sua rappresentativa voce stridula ci disse il Presidente a me e al Catto, ma ricordo bene anche il 7 aprile del 2016, e i giorni a seguire. Poesia e dramma, altro che quarantena.

Fare le cose di sempre, anche in quarantena

Una delle mode di questa quarantena è quella di riproporre eventi sportivi, evidentemente perché non ce ne sono più da un po’, e poi perché forse è sempre bello e in parte emozionante rivedere certe immagini.

Penso di non aver mai rivisto per intero una partita in vita mia, nemmeno le più belle o sentite, semplicemente perché non ci trovo nulla di interessante.

Impossibile riprovare le stesse emozioni perché si sa quello che succede e soprattutto qualunque cosa è meglio che stare 90 minuti a rivedere una partita.

Mentre sui social impazzano promo e suggerimenti dove riguardarsi di tutto, in questi giorni di quarantena non penso di aver fatto una singola cosa diversa, eccetto aver disegnato domenica sera per una mezz’ora con dei pastelli due maglie dell’Inter come facevo alle elementari.

Per il resto il tempo passa, a volte più rapidamente, altre meno. Si lavora, si fa la spola fra la cucina e la camera, si sta seduti o sdraiati, gli esercizi fisici che però facevo da prima, si cucina, si mangia e si lavano i piatti. Si controlla il telefono, si guarda qualche video, e senza alcuna foga stiamo finendo di vedere una serie su Raiplay.

Si va avanti, con la noia che piomba in modo deciso in certi momenti, con la sveglia mai puntata su un orario (non succede mai in realtà), con il telefono che funziona sempre meno bene e quello nuovo lasciato distrattamente a casa dei miei più di due settimane fa.

Il brutto è pensare che non siamo nemmeno a metà del tunnel, quella rimane la cosa più scoraggiante e non so davvero come arriveremo a metà aprile.

Se la quarantena mi cambierà, è semplicemente perché mi avrà portato allo stremo della resistenza mentale.

Dubito profondamente che questa vicenda possa cambiare le persone, più che altro non vedo sotto quali aspetti. Penso semplicemente che rimarrà dentro di noi come un terribile segmento della nostra vita, di privazioni, paure e ansie, una parentesi che ci si augura di non rivivere mai più. Noi poi torneremo a essere quelli di prima, nel senso che torneremo a fare la nostra vita presto, e poco dopo, quando le vecchie abitudini saranno tornate, avremo tempo solo per preoccuparci delle cose di sempre, perché la vita è questa roba qua.