Ripassone

Dove eravamo rimasti? Certo, a venerdì 9 giugno, come dimenticare quella vigilia, quel sabato e quel fine settimana. Il più amaro ma anche quello della consapevolezza. “Sognare non costa nulla”, dicono, invece costa sempre, almeno lo scotto della realta’ quando poi si palesa. Proprio come il 10 giugno.

La Champions League e’ stata una avventura impensabile, quasi scellerata per le sue emozioni ma mi ha insegnato una cosa: la meraviglia del percorso al di la’ della destinazione. Il viaggio e non la meta. Non a chiacchiere, ma con i fatti e le emozioni del tragitto che non baratterei mai pur dovendo rivivere il dolore finale.

L’estate e’ in sostanza iniziata così e poi e’ proseguita regalandoci i giorni a Madrid dal Catto, e poi luglio con l’Albania che si e’ rivelata una tappa meritevole prima che diventi come la Croazia e successivamente una specie di Sardegna.

Agosto e’ scivolato quasi senza averne memoria. Settembre ha significato l’inizio dei lavori a casa, l’inizio di un viaggio complesso, ma anche la percezione netta della vita da adulto come mai avvertita prima.

In che senso? Semplicemente sono problemi e gineprai che non pensi ti possano toccare. E invece, con le spalle anche scoperte e senza un granello di esperienza, abbiamo intrapreso questa opera massiccia di ristrutturazione. Cinque mesi prima di entrare, cinque mesi di sopralluoghi, fatture, Tecnomat, Ikea, Leroy Merlin, preventivi, giri, appunti, cinque mesi di sfighe e contrattempi vari. Mesi che a me non sono piaciuti, sicuramente perché non mi piacciono queste cose. Questo tipo di manualità.

Svanito il desiderio di celebrare Natale nella casa nuova, abbiamo atteso un mese prima del nostro trasloco a Km zero.

Nel frattempo, in un autunno bollente fra lavoro e lavori, Sinodo, discussioni su contratto e nuove gerarchie, con l’occhio sinistra che clamorosamente non mi e’ caduto a terra a forza di battere in continuazione, un altro anno e’ terminato. Un anno in cui se ne sono andate via due nonne e gia’ tanto basta a renderlo indimenticabile seppur nell’accezione meno sgargiante.

E’ stato un anno veramente duro. Fiaccante. Un turbinio di emozioni, molte delle quali negative che è anche difficile poter raccontare. Molto probabilmente e’ stato l’anno in cui sono arrivato alla fine con meno forze, in buona parte prosciugato sotto l’aspetto mentale.

Gennaio mi ha riportato a Parigi, un regalo di Natale che ho scelto con entusiasmo e che ha coinciso con la settimana del quarto anniversario di matrimonio. L’unica distrazione prima del trasloco che mi ha riportato nella Casa Madre.

E’ talmente diversa rispetto al passato che talvolta faccio fatica a ricondurla a tutto cio’ che ha rappresentato. Eppure, il primo giorno che mi sono seduto nella mia camera di un tempo, sulla stessa scrivania e con lo stesso mobile alla sinistra, gli unici due arredi del passato, ho avvertito qualcosa.

Per pochi secondi ho vissuto un raro disorientamento, difficile da spiegare malgrado la sua brevita’ ma chiarissimo nella mia mente.

Mentre ripercorro questi mesi, sono su un volo United partito da Monaco di Baviera e diretto a Washington. Sono al posto 53-D. Fila centrale, corsia sinistra, senza nessuno al mio fianco. Come lo scorso anno mi attende l’ufficio centrale per una settimana di meeting, ma a differenza del marzo passato, molte cose sono cambiate. In primis, il mio ruolo, o meglio le mie responsabilita’ che sono molte di piu’. E’ cambiata la mia esposizione dentro l’ufficio e la trasformazione in punto di riferimento rispetto al passato si sta completando. Anche per questo, la settimana in America ha un valore ben diverso rse paragonata allo scorso anno.

Ieri sera, prima di chiudere la valigia, riflettevo su questo viaggio e su come mi auguro possa chiudere un lungo segmento. Quello iniziato a settembre con i lavori e finito lunedì con il completamento del bagno. Questa ulteriore faticata americana mi auguro metta al punto a mesi lunghi e fin troppo impegnativi, aprendo la fase dell’assestamento e della pianura, dopo le salite, come quelle del Giro d’Italia sulle Alpi.

Marzo deve restituirci quello, a distanza di un anno esatto dalla morte di nonna e dall’inizio di una vita diversa per tutti.

Ad un passo dal sogno. Ancora.

Siamo lì, ad un passo dal sogno, a 90 minuti dalla gloria. L’attesa infinita sta per terminare, poco più di 24 ore, e poi sapremo chi riuscirà a completare questo Grande Slam portandosi la Coppa Campioni a casa. È certamente la partita più importante della mia vita.

Iniziava così il mio post del 21 maggio 2010, quello della vigilia della finale di Champions.

Torno a scrivere a distanza di mesi, perche’ l’evento e’ troppo grande, e certe emozioni non possono non essere fissate qua.

Certo, ci sono state altre storie in questi mesi di assenza, la casa comprata – e non proprio un appartamento qualunque – le feste di Natale e i compleanni, ma anche il viaggio a Washington e soprattutto la scomparsa di mia nonna.

Per settimane ho pensato a cosa scrivere della sua morte, eppure, ogni volta che mi avvicinavo al computer per fare questo, sapevo che mi sarei fatto del male, infliggendomi un dolore aggiuntivo. E poi, a volte, non possiamo trovare le parole davvero per tutto.

Nel frattempo, altre storie potevano essere raccontate con tono più leggero, come il viaggio a Nizza e Montecarlo, oppure la settimana dell’Euroderby, la tensione immane e l’emozione più forte di questi ultimi anni.

Tutto questo, alla fine, ci ha portati qua, a venerdì 9 giugno. Fra un po’ vado a lavorare, in serata a giocare a calcetto mentre al Forum inizia gara-1 delle finali del basket e io come si dice in questi casi non so a chi dare il resto.

Ecco, ritrovarmi una finale di Champions League in mezzo alla finale del campionato di basket e’ veramente troppo roba insieme, ma chissa’ come staro’ lunedi.

Come nel 2010, andro’ a Milano con il treno, staro’ in zona stazione Centrale a dormire e guardero’ la partita in un maxi-schermo. Per il resto, le analogie si sublimano nel mio abbigliamento che sara’ lo stesso di quella sera. Stessa maglia, stessi jeans e stessa sciarpa.

Saremo in due, non con Alfredo, ma con mia moglie, e ovviamente la speranza e’ che l’esito sia lo stesso nonostante ci hanno detto che sara’ impossibile.

Non siamo favoriti, e’ vero, non siamo forti come nel 2010, e’ vero, ma c’e’ qualcosa di magico in questo percorso, qualcosa che mi da’ fiducia, una convinzione non terrena. Altro insomma, qualcosa difficile da spiegare.

Le emozioni sono tante perché comunque inattese. Forse, c’e’ semplicemente il fatto di non rendersi conto malgrado tutto e questa sensazione mi avvicina molto a quella vigilia del 2010. Certo, quella era la prima finale, questa ha un sapore diverso, eppure puoi avere 23 o 36 anni, ma il cuore pulsa in modo diverso rispetto a giorni normali, in paragone alla vita di sempre.

Sara’ la nostra notte? Sarà una nuova impresa? Non lo so, ma di una cosa sono convinto: abbiamo sognato come non succedeva da tempo. Abbiamo gioito e vissuto brividi che avevamo dimenticato. Il viaggio e’ stato meraviglioso e ci rimarra’ dentro, al di la’ della destinazione.

Andiamo a Istanbul, ma forse sembra più Itaca. Si, quella di Costantino Kavafis.

Come ho scritto qualche giorno fa, siamo dei privilegiati, ci sono decine di milioni di tifosi in tutto il continente che vorrebbero essere al posto nostro, invece, almeno per stavolta, sarà il nerazzurro a gremire le tribune del Bernabeu.

Ancora qualche ora, e poi saremo lì, sarò lì, con il cuore che batte forte e la voce che trema, ad un passo dal sogno, a 90 minuti dalla leggenda.

So che potete farcela. Che farete di tutto. Che sentite che vi siamo vicini. Adesso ragazzi. Adesso è il momento. Noi ci crediamo.

Estate 2022

Baby K un paio di anni fa cantava che l’estate può durare anche per sempre, in verità pure questa è finita.

Al netto del calendario, del 21 settembre e delle prime ventate fresche con tanti sbalzi di temperatura, l’inizio di ottobre mette realmente il punto a tutto quello che sa di mare e estate.

Ma c’è un però.

Come fu nel 2017 quando mi ritrovai a Lampedusa per girare il documentario sul Papa e i migranti, la fine di questa estate 2022 troverà il suo compimento in Grecia fra due settimane. C’è ancora vita quindi, c’è ancora estate e il costume deve rimandare di qualche settimana la sua gita senza ritorno verso gli scatoloni stagionali per fare spazio a tutt’altro tipo di indumenti.

Se è vero che questa estate vedrà il suo tempo supplementare a Lefkada, c’è da parlare di tutto quello che è stata questa infinita stagione, iniziata a metà maggio, con il primo mare domenica 22 maggio e proseguita fra caldo e zanzare, cocomero e sveglie presto.

È stata appunto l’estate del mare in anticipo e dello scudetto visto sfumare lo stesso giorno, del contratto a tempo indeterminato, di un altro tricolore –nel basket- scappato via, e poi la settimana del World Meeting Family, una avventura vera con un numero non quantificabile di ore lavorative sul groppone, ma vissuta in grande compagnia.

È stata l’estate delle prime vacanze e del primissimo viaggio internazionale post-covid. La Croazia, la costa dalmata rotolando verso sud, da Zara a Spalato, giù fino a Dubrovnik: fra cevapi e sassi al mare, onde con ogni tipo di azzurro e la birra Karlovacko, aerei e bus, frontiere e passaporti.

È stata l’estate di Lukaku. Del ritorno impensabile. Per gli altri, aggiungerei.

L’estate con il covid e della gente che sa ma non ti scrive come stai, così come quelli che non lo sanno perché non ti scrivono mai.

E poi l’estate romana da turisti a casa, Trastevere e le birre a San Calisto, ma anche la gita sul battello e la città vista dalla sua pancia, dal basso, dall’acqua, prospettiva rara e curiosa.

L’estate solo a casa, dal 31 agosto in poi a sperimentare la solitudine torontiana a cena, in silenzio, tutto spento, non per forza così male, se fatto ogni tanto.

L’estate del Falcone e della focaccia, del campionato iniziato, ucciso e perfino sepolto, ma soprattutto l’estate che termina con un deja vù: lunedì 12 settembre, mattina presto e zaino in spalla per andare a lezione.

Sì, c’è stata anche la settimana da studente al corso per giornalisti alla Santa Croce. Roba insolita ormai per me, ma ho trovato spunti interessanti e contatti utili, oltre a vivere un bel clima internazionale, e poi Roma quando si risveglia nelle sue vive nascoste merita sempre di essere respirata.

Che altro? Come dimenticare banche e notaio, calcoli e numeri, perché è stata l’estate in cui ho comprato casa, non una qualunque, ma quella in cui sono cresciuto, quella di mia nonna. Quella che da 30 anni mi ha sempre fatto pensare: “Chissà che brutta sensazione avrò quando qua abiterà qualcun altro…”

Aver azzerato quasi del tutto questa condanna che mi ha accompagnato non è poca roba, ma forse nemmeno me ne rendo conto ancora.

L’estate di uno SPID fatto a distanza, del bonus trasporti, della denuncia per la carta d’identità, la tessera elettorale, le visite dal dottore, le analisi del sangue, le elezioni.

Tanta roba e non solo perché è iniziata presto e finirà tardi, tanta roba perché dentro c’è stata tanta vita.

Estate 2022.

 

Croazia 2022

Bella, cara e sassosa. Partirei con questi tre aggettivi per descrivere gli otto giorni in Croazia fra Zara, Spalato e Dubrovnik.

350 km di costa, rotolando gradualmente verso sud, in un viaggio molto poco vacanza e molto viaggio per l’appunto.

È stato bello tornare in un posto e visitarne altri due, scoprire punti in comune e aspetti evidentemente differenti. Tre città, tre realtà che a modo loro ci hanno comunque affascinato.

Zara (per far felici i croati Zadar…il riferimento è a una mia discussione del 2016 con una croata al Crocodile di Toronto. Lei si presentò come una che veniva da Rijeka e io la salutai come una originaria di Fiume, creando una filippica di rare dimensioni e allora facciamoli contenti).

Piccola cittadina se non villaggio, storico centro universitario, secondo Sergio Tavcar accademia della pallacanestro slava, in fase di sviluppo e con un lungomare in via di rifacimento. Una piccola Spalato. In giro stranieri di ogni provenienza, ci siamo ritrovati nella sua pancia ed è stato molto bello. Forse non eravamo mai stati così centrali in altre città e fra il mare che ti parla, o meglio canta con l’organo e il suo piccolo foro romano, merita due giorni pieni.

La spiagge di Kolovare, scogli e sassi, ma anche lastroni di pietra dove sdraiarsi e tante acqua azzurra, trasparente, camminate lungo strada ma sotto i pini, e poi Ivo da Verona che casualmente ci ha nutrito nel suo ristorantino tre volte su quattro.

Spalato (per far  felici sempre i croati Split).

Due ore e mezza e siamo giunti a Spalato grazie a Antonio Tours Pag descritto come pessima compagnia ma perfetto mezzo che ci ha condotti nella grande città, o anche in una Zara XXL. Se a Zara si legge ovunque Tornado 1965, a Spalato il marchio di fabbrica è la Torcida 1950, la tifoseria dei tifosi di casa.

Già nel 2014 ero stato in grado di riscontrare l’ossessione per la squadra della città, stavolta ne ho notato la forma quasi patologica che assume considerando il tempo trascorso e i riferimenti, in particolare murales, in giro per le strade.

A me Spalato era piaciuta a suo tempo e in questa circostanza mi è piaciuta ancor di più. Abbiamo soggiornato in una casa vera e propria, in una via a due passi dal centro storico, un lungomare molto bello e il suo splendido labirinto intorno al campanile di Diocleziano, in questi giorni teatro di concerti estivi.

Qui abbiamo iniziato a familiarizzare coni supermercati, fra cui Studenac e l’onnipresente Tommy, luogo in cui abbiamo preso l’unica versa sòla della vacanza, ossia una bottiglia di olio da mezzo litro pagato 67 kune, quasi 10 euro.

Il suo mercato della frutta e verdura, il parco Marjan, il porto, le mega-barche, il movimento e la movida, così come le numerose spiagge: siamo stati conquistati giorno dopo giorno.

Cara sicuramente, posti economici introvabili, tutto costa come in Italia se non di più, ma è un luogo che rimane da visitare ed apprezzare.

Bacvice, Firule, Jezinac e Lubinski sono state le nostre spiagge, diverse fra loro e lontane da quelle a cui siamo abituati ma tutto è sempre valso la pena, soprattutto la camminata nel parco immenso, dejà vù della mia visita del 2014.

Ragusa (per far felici sempre e comunque i croati, detta anche Dubrovnik)

Croatia bus è la compagnia che ci ha portati oltre la Dalmazia, giù fino a Dubrovnik con tanto di doppia frontiera bosniaca da attraversare in una domenica estiva.

Risultato? Quasi sei ore di viaggio e duplice controllo con tutti i passeggeri del bus in fila a mostrare il passaporto.

E mentre imprecavo per chi avesse ridisegnato i confini della ex-Jugoslavia lasciando questi 22 km di costa e sbocco sul mare ai bosniaci, sono finito per scoprire la storia del ponte di Sabbioncello proprio dopo averlo superato, la grande costruzione che permetterà ai croati – e non solo – di aggirare questa frontiera e di arrivare a Ragusa restando sempre in Croazia.

Opera enorme, all’85% finanziata dalla UE con i cinesi a costruire: una storia che ha creato inevitabilmente malumore nei bosniaci segnando una interessante storia di geo-politica dei tempi nostri.

Del viaggio non si può non annotare il momento in cui l’autista, mentre avevamo da poco superato Fort’Opus e costeggiavamo la Neretva, si è acceso una bella sigaretta e ha fumato tranquillo e indisturbato. Visto il tipo, giustamente nessuno ha pensato di proferire parola, anche perché gli slavi è sempre bene lasciarli stare, soprattutto a casa loro.

A Dubrovnik siamo stati accolti da uno splendido monolocale affacciato sul porto, a 25 minuti a piedi dalla città vecchia ma con una vista meravigliosa. Qui siamo stati nella peggiore spiaggia ma anche in quella migliore, ossia il pezzetto davanti il Ponat Beach Bar.

Ragusa si differenzia dalle altre perché ha nel suo saliscendi una caratteristica molto netta, mentre il labirinto di stradine nella città vecchia è più facile da interpretare che nelle due precedenti. Abbiamo visitato l’isola di Lokrum, selvaggia e non abitata se non dai suoi pavoni (di conigli nemmeno l’ombra) una riserva naturale con scorci di mare incantevole, prima di ammirare il centro storico di giorno e poi di notte, provando nella terza città i tipici cevapcici (per la cronaca, hanno vinto quelli di Zara fatti da un italiano).

Bella, cara e sassosa dicevo all’inizio, ma per tanti motivi mi è sembrato il miglior posto dove andare e fatico a ricredermi sulla scelta.

Hvala!