Sono quello che ero

Più mi avvicino ai 30 anni, e più mi capita di rendermi conto di alcune cose, come ad esempio il fatto che sono ancora il bambino che ero. Nel modo di vivere, di stare al mondo, di credere.

Ancora oggi rivivo spesso dinamiche e momenti che mi catapultano indietro, ad anni passati e lontani, mentre qui, da questa parte di mondo, tutto è diverso e per niente paragonabile. Almeno, così sembra.

Sono quel bambino di tanti anni fa perché forse non cambiamo mai. Ci evolviamo, ma una parte di noi, una fetta prominente resta. A chi più, a chi meno. Io, indubbiamente, appartengo alla prima categoria. Forse, perché sono un tipo identitario. Sono quello. Sono così. Proverei a spiegarlo ma chissà se ce la faccio: spesso rinuncio, a volte non credo di essere chiaro e di veicolare il messaggio che voglio.

Ancora oggi, però, sono quello di 20 e passa anni fa. Mi interesso poco alle chiacchiere, alle polemiche, ai discorsi vuoti, alle teorie già sentite e che so che non porteranno verso nessuna destinazione. Non mi interessavano le polemiche da bambino, non mi importava se era rigore o il pallone era andato fuori, mi interessava giocare. Ero felice solo quando giocavo, o forse, lo ero in un modo impareggiabile. Non paragonabile. È così anche oggi. Ancora adesso.

Finisce che nei meeting divago, penso ad altro, non riesco a concentrarmi. E fremo per tornare a fare il mio lavoro. Quello che mi piace, quello che mi assorbe e mi diverte. Che fortuna, che privilegio. Lo so che è cosi. E forse lo ripeto talmente tante volte per mostrare al Fato che sono sempre riconoscente e che quindi potrebbe lasciarmi tutto ciò in usucapione per il resto dei miei giorni.

A scuola mi annoiavo, mi accendevo a intermittenza quando sapevo che serviva. Quando qualcosa mi interessava. Ero pratico già da bambino e da adolescente. Sapevo che la matematica non mi sarebbe mai servita, ero consapevole che gli integrali erano inutili, senza fini concreti, e quindi una perdita di tempo. Una poesia di Leopardi era musica, introspezione, pensiero. Vita. E oggi ancora ripenso a quello perché certi versi ti aiutano a capire e a dare una profondità che una formula fredda e sempre uguale mai ti dirà.

Sapevo questo, sapevo tutto.

Sapevo di essere nettamente più bravo degli altri, il sistema non mi permetteva di dimostrarlo. Correre in corsia era utile per chi non sapeva orientarsi e infatti dopo si è più o meno perso. Ero così e mi divertivo da solo. Un po’ asociale e un po’ conseguenza di essere figlio unico. Mi annoiavo e sognavo, la mia fantasia era sempre brace viva. E più mia madre voleva che fossi come tanti altri, sotto ogni aspetto, e più in fondo non lo ero. Non sono mai stato figlio della massa, figlio del popolo sì, della massa mai.

Troppo diverso, squadrato, troppo caratteristico e appunto identitario. Io sono così, dicevo. Lui è cosi dicevano, e dicono tuttora, quei pochi che mi conoscono davvero.

E chissà, alla fine magari la fortuna è aver proprio preservato quel pezzo di infanzia e tenerla ancora illuminata, salvarne il concetto e lo spirito. In mezzo a tutti, ma sempre un singolo. Individualista ma al servizio del gruppo, fra confini mentali tracciati e compromessi respinti. Senza l’obbligo di dover piacere e con poco tempo per le opinioni altrui su la mia essenza che poi, in fondo, quanti la conoscono?

La libertà ancora oggi, a due settimane dai 30, forse risiede in tutto questo. Motivo per cui, è uno sbarramento cronologico che non mi tocca minimamente.

Sono quello che eroultima modifica: 2017-02-21T23:51:13+01:00da matteociofi
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