Jungleland

Citazione

“L’Italia è il paese che amo. Bello come inizio, non trovi?

Il Mediterraneo, la primavera in fiore, la ricetta dell’amatriciana, i sampietrini per terra. Ogni cosa sa di arte, il mare è quasi ovunque (attento ai pesci). Ci baciamo su muretti che sono monumento nazionale, rifrulli e mani ovunque davanti a cattedrali del Trecento. Quando piove sai che finirà presto. Siamo paraculi (è un avverbio, cit.), individualisti, gente che gesticola con le quattro frecce in doppia fila. Familisti, mammoni, esperti di calcio, rimorchiatori professionali, timorati di un Dio imparato al catechismo e del quale ovviamente dubitiamo, educati all’evasione fiscale e alla sgommata col semaforo giallo, all’abuso di clacson e appuntamenti senza futuro (chiamami quando vuoi). Flessibili campanilisti cazzari. Bonari Peter Pan.

Mangiamo tielle e mozzarelle, sarde a beccafico e canederli. E’ tutto un lungomare. Non ci incolonniamo un chilometro prima del bivio, come gli inglesi. Se serve sparigliamo, a scopone scientifico e nella vita. Guccini e Falcone, Fellini e Benigni ma anche tv spazzatura, con magnifiche tette ovunque (c’è di peggio). Divisi su Silvio B. da vent’anni e due giorni esatti. Tassiamo molto il lavoro e poco le rendite, tanto per farci passare la voglia. Chi è dentro è dentro col mojito in mano, gli altri, fuori, a lavurà. Siamo cento popoli in un paese solo. Ingovernabili. Divisi tra guelfi e ghibellini, grintosi renziani e suscettibili cuperliani, Roma nord e Roma sud, pure. Le correnti le abbiamo inventate noi, la scissione ce l’abbiamo sempre pronta in canna, i condoni anche (ora si chiamano sanatorie, impegna meno). Tutto sotto controllo.

Bossi ha sposato una siciliana, Grillo farà la rivoluzione dopo pranzo, Renzi ha vinto alla ruota della fortuna, Fassina al massimo ha pareggiato. I Forconi durano tre giorni, i comici fanno i politici, ma soprattutto, c’era il rigore Iuliano/Ronaldo? Panta rei, dicono. Che significa che tra poco si va al mare. Sciallatissimi. Sposta la bottiglia e lasciami guardare.

Questo pezzo di terra, questa focaccia profumata, le tue gambe, anche. Il paese che amo fa incazzare, non è certo il migliore dei mondi possibili, eppure vale la pena”.

La Via Dolorosa – Gerusalemme

Sarà anche un po’ questione di tempo, o forse questione di lavoro inteso come l’attività specifica che faccio ogni giorno – scrivere –  ma di certo mi rendo conto di aver sempre meno cose di cui parlare. Tutto ho tranne che una vita monotona, ma a volte ho come la sensazione che tempo fa, qualche anno addietro, avessi più da dire, più spunti da condividere.

Sto mondo americano mi avrà reso anche meno idealista per certi versi e molto più pragmatico e cinico per altri, di certo ho meno pensieri di cui parlare quando invece, apparentemente, dovrei averne di più. Ma non tutto a volte è spiegabile o si può sviscerare in maniera sensata, tuttavia, alle parole a volte è meglio lasciare spazio a video ed immagini, come quelle di Gerusalemme, e la sua Via Dolorosa, la Via crucis percorsa da Cristo quasi 2000 anni fa.

Il Venerdì Santo, la Passione, la storia della salvezza all’interno di una città unica e fantastica dove ho avuto la fortuna e il privilegio di sostare per un po’ 13 mesi fa.

Ecco il mio video e la mia riflessione su una delle cose (non mi viene un termine più adatto a quest’ora, abbiate pietà) più caratteristiche ed importanti di Gerusalemme.

Contenti voi…

Eppure, dopo due anni abbondanti, ancora non ho capito cosa funzioni in questo posto. Ancora non mi è chiaro cosa ci sia di così notevole da mettere Toronto, da tempo, nella classifica delle città in cui si vive meglio. Mi sfugge tutto questo, e temo sempre più non perché sia rincoglionito, ma perché la verità è diversa, come i miei parametri di valutazione, i quali onestamente non sono però nemmeno fuori dal mondo.

Un posto sporco, dove si vive male, con un meteo infame per la maggior parte dell’anno, pieno di gente disperata, homeless e mendicanti, morti di fame a piede libero. Un posto di finto perbenismo, ipocrita, con regole e restrizioni insensate sull’alcol, un posto di gente che pensa di vivere bene. quanto.

A me questo posto negli anni mi ha succhiato via qualunque cosa, di certo mi ha privato di tantissime cose, dalle più importanti a quelle banali, o apparentemente tali.

Un città in cui i mezzi funzionano male, e rimpiangi l’ATAC, dove tutto costa caro, dove internet ancora oggi si paga con cifre irragionevoli. Un posto in cui si mangia e beve malissimo, dove non c’è il mare. Dove non c’è vita.

Un posto che non offre nulla in più di Milano o Roma. Una città che per almeno 6 mesi l’anno ti costringe al letargo. Puoi uscire, certo, ma sarà dura goderti la passeggiata, un qualcosa che da passeggiata diventa tortura, e quindi non la farai.

Un posto che gestisce la tua vita, il tuo bioritmo a prescindere. Da settimane desidero fare una corsa, non si può. Passo week-end interi a casa, lavoro 5 giorni per passarne due chiuso dentro, quando potrei fare altro e tutto questo quasi sistematicamente per mesi interi. Uno spreco di tempo, di vita, un crimine contro l’umanità, contro se stessi e verso chi ci ha donato la vita affinché venga vissuta e non sprecata.

Un posto in cui nessuno si lamenta, un luogo di pecoroni. Una città che ti rende pigro, ti imbruttisce, che elimina il tuo piacere e la cura di te stesso, come metterti ad esempio il gel sui capelli.

Una città dove giro con la lama nel cappotto quando esco la sera dopo che un testa di cazzo, uno dei morti di fame che citavo prima, recentemente mi ha aggredito prima verbalmente e poi mi è corso dietro. Un pazzo? No, uno dei tanti che vedi qua.

Una città in cui pensano di essere cool, quando noi potremo insegnargli ancora tutto, anche ad allacciarsi le scarpe. Un posto senza cultura, identità, storia. Senza anima.

Una città che è un fallimento senza avere tutti i problemi e le nostre storiche ed ataviche ragioni di malfunzionamento e per questo ancor peggiore.

Trudeau, quello a cui piace piacere un sacco a tutti, dovrebbe farsi un giro qui, anche solo downtown, e vedere davanti ai suoi occhi il fallimento di questo sistema, spesso incensato, quello che ambisce (direi ambiva) a dare opportunità e assistenza a tutti. Si facesse un giro per strada, per vedere schifo e degrado che ci circondano, invece di parlare di diritti e pari opportunità sempre e comunque.

Al netto di tutto questo, vorrei capire come si faccia a vivere bene qui. Chi ama questo posto, e qualcuno lo conosco, deve essere scappato di casa o venire da un posto di merda, a volte anche magari da un paesino di mille anime sperduto chissà dove. Il lavoro? Be sì, ma dopo un po’ è meglio mangiarsi pane e sputo a casa propria, anche perché non può essere tutto lavoro, la vita non è solo quello. Altrimenti si finisce per vivere alienati.

Ma tutto questo però, non si può mai dire ai vecchi italiani emigrati, che da qui poi non si sono mai più spostati. Tasto dolente quello, dirgli che non ti piace qui è come insultarli: equivale a dirgli che hanno fatto male, non tanto a venire, ma quanto a restare. Sarà che a casa non sono mai potuti o voluti tornare, e sapere che invece tu lo farai e che qui non t’è piaciuto gli trasmette un senso di indiretto fallimento e di non comprensione.

A me dispiace per chi qui ci è nato, o ci vive da molto, sono addolorato per voi, perché per me è diverso, appartengo a qualcosa di ben differente e lì tornerò. Fortunatamente.

Voi tenetevi il nulla da cui siete circondati, le partite del vostro calcio da Serie C, la neve, il gelo, il vento, LCBO, il vostro inno che mette sonno, lo sciroppo di acero, le porcherie che vi mangiate, i “thanks” gratuiti ed esagerati, quelli di plastica detti in automatico, tenetevi il tram che dà la precedenza ai pedoni e alle macchine che si immettono da strade secondarie, tenetevi questo. Contenti voi…

15/03/2017

30

Mi sono anche domandato ad un punto se non era il caso di scrivere comunque qualcosa su questo compleanno, la verità è che ho avuto pochissimo tempo e soprattutto non avevo moltissimo da dire. Più che altro da aggiungere, perché in post precedenti avevo già espresso le mie sensazioni, ed il modo in cui approcciavo a questo sei marzo diverso dagli altri.

Alla fine non ho scritto nulla e non ho il rimpianto, ho avuto una piccola ma spontanea festicciola (sì proprio festicciola direi) in ufficio nel pomeriggio di lunedì, e una pizza mangiata a casa la sera con la Ragazza del Venezuela.

Non avevo una voglia spasmodica di celebrare, fossi stato a Roma me la sarei goduta di più, ma qui inevitabilmente tutto è passato un po’ in sordina e ci sta.

Ho ricevuto gli auguri che mi attendevo, ho parlato con chi dovevo malgrado impegni e fuso orario, ho ricevuto una bella cravatta ed una bottiglia di vino cileno, oltre due bei regali visti solo via Skype, insomma, ho avuto comunque il piacere del regalo il giorno del compleanno.

Sono stati 30 anni belli ho ripetuto a diversi persone, 30 anni da 30 per usare una metafora universitaria. Tre decenni resi belli da chi continua ad accompagnarmi, da chi c’è sempre o da chi per motivi quasi fisiologici mi sono perso per strada.

Non avrei potuto chiedere molto di più: il destino, il Signore, la vita, insomma, chi vi pare, sono stati benevoli con il sottoscritto. Tutte le cose che desideravo o immaginavo da bambino sono successe e questo dice molto, spiega il mio voto altissimo a questi 30 anni.

Non si apre nessuna fase ora, continuerà la vita come prima, con le stesse responsabilità ed i medesimi impegni. Non è questo passaggio simbolico che cambierà qualcosa, saranno gli eventi dei prossimi mesi, ad esempio, ad incidere sul futuro prossimo.

Intanto un’altra settimana è andata, un altro mese di freddo e rischio neve non ce lo toglie nessuno, ma il peggio è passato, o comunque il grosso è alle spalle, magari la terza Pasqua qui me la farò con temperature umane.

Grazie per gli auguri, un caro abbraccio.

30