L’aggressione di Piervincenzi

Il breve video in cui il povero Pierivincenzi di “Nemo”, insieme al suo cameraman, viene aggredito barbaramente da uno (non credo che si possa definire in altro modo uno così) sta girando da qualche ora in rete.

L’ho visto casualmente su Twitter perché ritwittato da Nicola Savino e dopo l’iniziale sorpresa, mista a sdegno per quanto si vede, come spesso mi capita in situazioni analoghe, mi sono chiesto se io lo avrei fatto.

Mi sarei recato in un territorio a rischio, a intervistare qualcuno di molto poco raccomandabile con una alta probabilità di passare un brutto quarto d’ora?

No, non lo avrei fatto e nemmeno mi vergogno a dirlo. Non posso biasimare chi l’ha fatto, gli riconosco il coraggio e quel briciolo di incoscienza necessaria, ma io non ci sarei andato. Non per paura, ma perché oltre a possibili danni fisici, avrei messo a repentaglio la salute di qualcun altro e rischiato ritorsioni in seguito. Questo è il mondo di oggi, questa è in un certo qual modo l’Italia, questa è l’atmosfera che si respira e i rischi da affrontare per un giornalista.

Non avrei avuto paura di andare a cercare una verità, avrei avuto il terrore delle conseguenze, considerando la questione e i personaggi coinvolti.

Se c’è della vigliaccheria in tutto questo non lo so, forse sì. Magari invece è solo buon senso, e la ragionevolezza di aver a cuore la propria pelle e quella degli altri, colleghi compresi.

Non sta scritto da nessuna parte che per essere un bravo giornalista si debba fare scoop a raffica e indagare nella merda. Ci sono molti modi di fare questo mestiere, io ad esempio, in questi anni, sono ben felice di non dover lavorare in ambiti sportivi e per lo più calcistici.

Sembra assurdo, ma è così. Se fin da bambino sognavo di fare il telecronista, oggi, in questo mondo di social e ricco di maleducazione, dove chiunque può vomitare di tutto direttamente ad un professionista, come nel caso specifico un giornalista, sono bel felice di stare alla larga, lontano dal dover raccontare calcio.

Sono felice di fare il mio giornalismo, e non lo cambierei con niente oggi. Me lo tengo, contento di quello che faccio, delle responsabilità che ho, di quello che guadagno e di sapere che al massimo qualcuno mi può dire in modo garbato o un po’ più stizzito che alla domanda X non vuole rispondere. Bene, benissimo.

Anzi, male quando capita questa situazione, ma bene e benissimo che tutto finisca lì. Normale. civile e giusto.

Ogni volta che vedo giornalisti aggrediti o insultati, insomma, in situazioni molto più che scomode, rifletto molto su quello che siamo. Mi sento soprattutto parte di un paese in cui la magistratura potrebbe fare più schifo di quello che ha dato una testata a Piervincenzi.

Perché il mio grande timore è che tutto potrebbe finire in una denuncia, che niente succederà e nulla cambierà. Ho paura di quello, perché se una persona rischia questo e può subire una violenza così brutale, la colpa non potrà mai essere del mestiere che svolge, bensì di altri. Di chi non lo protegge e di chi permette questo, ancora, e senza prendere reali provvedimenti.