Una “piacevole condanna”

L’ultimo post dell’anno sono soltanto alcune righe dedicate al “progetto” che mi ha portato via più tempo in questo 2017, ossia il mio programma settimanale, quello ideato, scritto, condotto e montato dal sottoscritto, quello che ha cambiato anche location, dallo studio alla terrazza.

Quello che ad un punto è divenuto anche filmato dal sottoscritto. Insomma, lo show che è andato in onda per 37 settimane in questo 2017, da venerdì 3 febbraio fino al 30 giugno e poi con la nuova serie dal Vaticano, dall’8 settembre a ieri sera.

Una “piacevole condanna” che ha scandito le mie settimane, un nuovo impegno che ha stravolto il mio schedule quotidiano. Una lunga maratona che proseguirà nel 2018 e vedrà il traguardo, come lo scorso anno, a fine giugno.

L’ironia della sorte ha fatto sì che l’ultima puntata dell’anno, quella relativa alla settimana più importante, sia stata girata all’interno, nella terrazza della splendida Residenza Paolo VI, una delle frasi che utilizzo sempre in apertura, ma non per contratto, attenzione, ma proprio perché è ciò che penso considerando la visuale ed il luogo.

Ci rivediamo venerdì prossimo, ovviamente, non si va mai in vacanza qui, ma il fatto di rimandare il tutto al 2018 dà un po’ quell’idea però. E allora tanti auguri e buon anno.

Qui l’ultima tappa della “piacevole condanna”.

Come è diventato il Natale

La verità è che Natale non interessa praticamente più a nessuno, e secondo me il motivo principale va rintracciato nello scarso desiderio delle persone di condividere e di stare quindi con qualcuno. Siamo – parlerò al plurale anche se non appartengo a certe categorie – vittime di un rincoglionimento che si sviluppa su due livelli: il primo è che ci siamo stancati delle feste comandate e degli impegni obbligati, proprio perché costretti a condividere del tempo con una compagnia spesso non “scelta”, e poi perché siamo assuefatti dal mondo virtuale, ciascuno con dosi diverse, ma tutti nel calderone.

I telefoni che escono dalle tasche, al pranzo di Natale, o alla Vigilia, dicono molto. C’è quasi una smania ormai nel tirare fuori il telefono che sembra irrefrenabile. E non basta una tavolata in un giorno di festa a fermare quel desiderio di illuminare il display, no, non c’è niente di più interessante che dare un’occhiatina a quel cellulare. Se questo è il punto di partenza, ossia isolarsi per guardare la propria vita virtuale via social, come si può star bene in giornate di festa e tradizionalmente di aggregazione? È impossibile.

A me il Natale è sempre piaciuto. Sono un natalista convinto della prima ora e ho meravigliosi ricordi del 24-25 dicembre, in compagnia e a casa mia. Memorie di pacchetti, regali, vacanze, del camino acceso e di tutte quelle cose che rendono questo momento dell’anno unico.

Pur crescendo, ho perennemente cercato di preservare questo spirito, ma la verità è che gli anni e il corso della vita hanno indubbiamente intaccato la mia visione del Natale.

Il punto è che la gente invecchia, i periodi sono diversi e le persone, in maniera quasi inesorabile, tendono ad allontanarsi. È come se i rapporti fossero destinati, in modo irreversibile, ad allentarsi.

Gli ultimi miei Natali vivono di questa descrizione appena fornita.

Come detto in precedenza, gli ultimi tre sono stati per me troppo caratterizzati dal fattore Canada e tornare a casa è sempre stato più quello che la festa di Natale stessa, la quale è diventata solo ed esclusivamente la scusa per sbarcare a Roma, perdendo in compenso però gran parte della sua essenza.

Quest’anno dovrebbe essere diverso, ma la realtà è che mi rendo conto che pur stando qui è proprio il contesto ad essere differente, la voglia, o meglio la non-voglia della gente di condividere. Sembra ormai che passare 5-6 ore insieme, intorno ad un tavolo, mangiando o giocando, sia un peso insopportabile. Anche solo per due giorni l’anno, è una condanna micidiale.

A me dispiace molto constatare tutto questo, anche perché credo di pagarne in fondo le conseguenze. Sarò sempre un oltranzista del Natale, ma ogni anno che passa, in verità, lo sono sempre un po’ di meno.

Il “Classicone” del 16 dicembre

“Il 16 dicembre prossimo starò a Roma”.

 

Scrivevo questo esattamente un anno fa, nel classico post del 16 dicembre, quello che negli anni è diventato un passaggio quasi obbligatorio dal lontano 2009 ormai, giorno della mia laurea triennale.

Avevo previsto qualcosa di preciso, ed è accaduto. Poteva essere una frase non del tutto scontata ma io ero ben consapevole di come alcune dinamiche si sarebbero evolute e onestamente non mi sorprende questo esito.

È stato un anno lungo e intenso. Due aggettivi che ripeto e uso ancora per la terza volta, perché indubbiamente calzano a questo 2017 proprio come ai due anni precedenti, legati da un filo rosso chiamato Canada.

Un anno che volge al termine e lo farà senza transvolate oceaniche, ed è un bene, ovvio, con Natale a fare da sfondo e quella sensazione che gli ultimi anni mi hanno fatto perdere il piacere e l’attesa delle feste natalizie, vissute recentemente sempre e solo con tanta fretta, stanchezza e poco piacere.

Doveva essere un anno “indirizzante”, e così è stato, l’aver preso quella previsione conferma il tutto. Un 2017 con un doppio trasloco, prima quello di rientro e poi quello nella nuova abitazione romana. Un anno sicuramente pieno e ricco, e al tempo stesso bello. Ci sono state soddisfazioni lavorative, un viaggio finalmente in Sud America, e un paio di preziosi insegnamenti. Penso di aver strizzato al massimo questo anno che volge al termine, era quasi impossibile tirare fuori altro e qualcosa di migliore.

Ho capito che tornare è stata una valida idea lavorativa, pessima sotto ogni altro aspetto. Credo di aver idealizzato in qualche modo, e anche in maniera giustificata, il nuovo sbarco in Italia, ma i 5 mesi ormai passati qui mi sono serviti molto più di quanto pensassi a livello personale.

È stato l’anno dei 30, un numero e niente più. Non capivo chi voleva mettermi l’ansia della decina che cambiava e mi sfugge ancora chi si incastra su questo passaggio anagrafico. Evidentemente è gente che ha molto tempo libero e tante fesserie che svolazzano nella testa.

Per un 2017 che si chiude, c’è un 2018 in arrivo. Solo a dirlo suona come qualcosa di grande. Un numero importante, e a me gli anni pari sono sempre stati più simpatici, hanno un qualcosa di geometrico che mi piace.

Devo chiudere però come di consueto con una previsione e confermo quella dello scorso anno. Sarò a Roma, ma ho la sensazione che al tempo stesso ci saranno manovre per qualche cambio e ulteriore trasloco.

Fra 365 giorni, come la tradizione impone, ve lo dirò.