Il discorso del matrimonio

Visto che siamo persone precise e ci siamo sposati il 10 alle 10, il post sul matrimonio lo pubblico il 20 alle 20, di gennaio 2020.

Di seguito il mio discorso, pronunciato a inizio serata, prima della “festicciola”.

Pensando a qualcosa da scrivere per questa sera ho riflettuto sulla particolarità di questa giornata e di questo matrimonio. Unico, immediato, ma al tempo stesso, almeno in apparenza meno romantico, con alcuni simboli o passaggi consueti che sono venuti a mancare per una serie di ragioni, su tutti, il pochissimo tempo.

La verità però, è che questo viaggio che ci ha condotto a oggi è stato decisamente romantico.

Nell’inglese del 17esimo secolo, romantic significava “pittoresco, romanzesco” e questo nostro percorso, soprattutto negli ultimi mesi, è stato un vero romanzo.

A tratti mi ha infatti ricordato i “Promessi Sposi”, con i Bravi rappresentati da i vari burocrati a dirci questo matrimonio “non s’ha da fare”. In altri momenti invece ho intravisto la trama perfetta, figlia di una sceneggiatura pensata appositamente: un labirinto di problemi, un amore osteggiato, la fortuna avversa, la corsa contro il tempo. È stato veramente un romanzo.

Ma se penso invece al significato più comune di romantico, ai fiori, al bianco, alle partecipazioni, a tutta questa roba che circonda un matrimonio classico, mi rendo conto di non essere orfano di nessuna di queste cose.

È stato romantico batterci fra questura e tribunale. È stato romantico arrivare a parlare con giudici e presidenti di cancelleria, è stato romantico comprare marche da bollo per ricorsi e cercare testimoni per un atto notorio. E sapete perché è stato romantico?

Perché in ogni momento, c’è stato la voglia di arrivare a oggi. Il desiderio di rendere la nostra volontà qualcosa di concreto, l’ostinazione nel voler riuscire. Tutto questo è stato intriso di romanticismo, perché anche nel 2020 può capitare di ritrovarsi a lottare per sposare una persona e per dare un senso in più a un sentimento.

Noi che abbiamo vissuto tutto questo, sappiamo quanto sia stato difficile e in fondo romantico il nostro viaggio, e oggi possiamo renderci conto che di anelli e di fiorellini non ne avevamo veramente bisogno.

La cosa più importante è essere qua con voi adesso, e vi garantisco che tutto questo tragitto di vita è stato in certi momenti esasperante e diversamente romantico, ma il finale, la cosa che conta di più, straordinariamente bello.

Grazie a tutti.

Sì, domani

Sul treno da San Pietro a Tiburtina, rientrando da una giornata di lavoro, riflettevo che questo avvicinamento a domani è stato involontariamente molto significativo.

Vivere questo mese abbondante e casa di mia nonna, in una rivisitazione di anni passati insieme, con l’aggiunta di mia madre, ha dato un tocco particolarmente suggestivo a questo matrimonio.

È stato come tornare a casa prima di un grande evento, riadattarsi a vecchie abitudini, suoni familiari, profumi di infanzia e adolescenza. È stato come tornare da un viaggio e rivedere con piacere dopo tempo volti conosciuti, in poche parole sentirsi a casa.

Non sono suggestioni ma sensazioni vere quelle vissute in queste feste, e in questi giorni a casa di mia nonna, in un quadretto familiare che mai avremmo immaginato fino a poco tempo fa.

Eppure, ci siamo ritrovati a condividere spazi e divani, letti e bagno – sfortunatamente uno – a stilare programmi, a organizzare sempre qualcosa in una sequenza di appuntamenti di rara intensità.

Il rumore del portone, il mio letto, i libri e il mio personale archivio che non va oltre il 2006, dettagli e frammenti che mi hanno riportato ad altri tempi a cui continuo ad appartenere nonostante i calendari passati nel frattempo.

Casa di mia nonna come rifugio e tana, e se c’è un luogo in cui dovevo vivere questi giorni, quello era il più sensato, il più adatto.

Ho trovato il senso di questo mese anche nel suo accompagnarmi a domani, e non sarebbe stato corretto non andare all’appuntamento più importante senza la mia macchina. Da giorni non funzionava, per giorni ci ha fatto impazzire non riuscendo a trovare il problema e quindi nemmeno la soluzione.

Il rischio logistico e pratico di non avere una macchina per domani si sommava a qualcosa di più personale per me, non compiere questi km seduto alla guida della macchina che negli ultimi 13 anni mi ha portato dove volevo.

Ieri siamo riusciti a risolvere questo ultimo contrattempo, a superare l’ennesimo ostacolo, e ora, si va.

Anzi no, si aspetta, senza dormire bene ovviamente, come quando l’indomani c’è qualcosa che ti attende e non chiudi occhio pensando a quel che sarà. Una laurea, una partenza per una nuova esperienza da qualche parte, una finale sognata, stasera è una di quelle nottate: l’attesa e la smania, il tempo che passa in modo irregolare e la voglia che sia già domani.

Sì, domani.

Natale, il derby che torna, i documenti. Tutto.

Diciannove anni fa me ne stavo lì in camera degli ospiti, sul tappeto rosso, a vedere su Raitre il famoso derby del -37, il distacco che la Kinder inflisse severamente ai campioni d’Italia in carica della PAF.

Era il derby di Natale del 2000, l’anticamera di un anno che avrebbe consacrato quella squadra la più forte di sempre poiché in grado di vincere tutto.

Ci pensavo ieri, mentre me ne stavo al municipio e riflettevo alla data: 23 dicembre. Sì, perché quel sabato pomeriggio, mentre sentivo la teelcronaca di Franco Lauro e Dinone Meneghin non avrei immaginato che quasi un ventennio dopo, lo stesso giorno, sarei andato a consegnare gli ultimi, sofferti e agognati documenti per il matrimonio.

Pensavo a tutto questo mentre un derby di Natale, e stavolta nel vero senso del termine, incombe. In quel pomeriggio di fine 2000 infatti, non avrei nemmeno immaginato che a un punto, per oltre dieci anni, saremmo stati senza derby, per disgrazie e peripezie varie.

Tanto abbiamo dovuto attendere, e un decennio, questi anni Dieci, si stavano per chiudere senza un derby vero in Serie A.

Domani sera, saremo lì, pronti a vivere un derby insolito, con il pranzo ancora sullo stomaco e gli occhi solo per Eurosport.

In mezzo c’è stato il derbyino di A2 nel 2017, una roba di cui tutti avremmo fatto meno, un appuntamento obiettivamente triste nella storia di Bologna, un manifesto di come fosse diventata Basket City.

Ora però siamo qui, con rinnovate speranze e ambizioni grandi, in testa e con loro dietro a sognare il colpo.

Sono passati dieci anni e mezzo da quella tripla di Vukcevic sulla sirena che ci permetteva di sbancare il PalaDozza, era marzo 2009, avevo 22 anni da poco compiuti e una triennale ancora da finire.

Nel frattempo è passata una vita ma la saga può tornare finalmente, magari senza altri intervalli così lunghi.

Buon Natale, ma anche buon derby.

Dieci anni dopo, è sempre 16 dicembre

Iniziava 10 anni fa questa storia del 16 dicembre. Dieci anni fa infatti mi laureavo alla triennale e chiudevo il mio primo ciclo di università. Un bel mercoledì di sole, di cielo terso, un piccolo traguardo che metteva fine a un periodo ribattezzato la “Tesissea”: una giornata perfetta.

Dieci anni sono passati e questo anniversario fa decisamente più effetto degli altri per la sua cifra doppia e quindi tonda.

Un decennio che poi mi ha portato per casualità varie volte a ricordare questo giorno in modo diverso, perché l’anno dopo ero in viaggio fra Abu Dhabi e Dubai in attesa di giocarmi in tutti i sensi la Coppa Intercontinentale essendo lì.

Mille volte mi sono detto – e mi è stato detto – se mai avrei creduto di ritrovarmi negli Emirati un anno dopo per quel motivo, la risposta è sempre stata assolutamente no, ma d’altra parte, quel 2009 stava lasciando il passo e lo spazio al 2010, al famoso annus mirabilis.

Ogni 16 dicembre mi sono ritrovato qua a scrivere una specie di resoconto dell’anno e ancora di più a sbilanciarmi, per gioco e scaramanzia, su dove mi sarei ritrovato il 16 dicembre successivo.

“Dimenticavo la cosa più importante: il pronostico sul prossimo 16 dicembre. Spero lontano da tutto questo, sotto ogni punto di vista”.

Questo era il pensiero finale dello scorso anno, una settimana dopo il primo disastro che inaugurava una catena di un certo livello.

La risposta è che sono qua. Per niente lontano, ma felice almeno di scrivere queste righe da casa di mia nonna, da questa camera, sopra questa scrivania.

Un anno che mi ha messo in sospeso, tenuto appeso, e vincolato. Un anno in cui a un punto mi è stato chiaro che non era possibile essere altrove oggi, una conseguenza dei tanti problemi, alcuni vissuti indirettamente.

Quindi? Che 16 dicembre 2020 pronosticare? Cerco la controtendenza, dico quello che non spero, e allora scrivo l’opposto di quanto detto 365 giorni fa.

Fra dodici mesi esatti ci vediamo qua, in questa provincia. Spero di no, ma temo di sì. A essere ottimisti in certi tempi è impresa semplicemente ardua.