Il bello di Toronto

Vabbè ma ci sarà anche qualcosa di buono o positivo in questa città no?

Ma come no, certo che sì, se non fosse che si tende sempre a sottolineare gli aspetti negativi, soprattutto se questi superano i lati positivi. Ciò nonostante, la primissima cosa che mi viene in mente è il fatto che Toronto sia al 100% una città internazionale, come pochi posti al mondo. Questa caratteristica deriva da diversi fattori, in primis che il Canada è una nazione giovane, terra di conquista e costruita letteralmente da immigrati. Ognuno ha un background diverso, il canadese è questo, di fondo non esiste, è un costante mix di provenienze e lingue e la città ancora oggi, rispecchia questa natura.

Toronto è infatti tutto quello che Roma non è, nel bene e nel male. Se Toronto è internazionale, la mia città è l’opposto, una metropoli che in realtà è una enorme città popolare, senza vocazione europea, dove la gente viene solo per turismo, ma non per investire, studiare o crearsi una carriera. Negli ultimi anni lo scenario sta peggiorando costantemente, ma l’anima di Roma è diametralmente opposta a Toronto, dove si parlano 30 lingue diverse, vedi di tutto e conosci in ogni momento gente che viene da qualunque angolo del globo: una cosa magnifica che arricchisce in modo quasi sconsiderato.

Un’altra caratteristica che mi piace di Toronto è il modo in cui è costruita. A livello urbanistico, tutte le città nordamericane si basano sul concetto di vie lunghissime parallele e trasversali che si intersecano per formare una mega griglia. Una peculiarità possibile grazie al fatto che sono tutti luoghi nati in tempi recenti ma un elemento che aiuta e rende tutto facile: dagli spostamenti, all’orientamento.

Lo skyline della città è molto bello. Soprattutto il colpo d’occhio visto dall’isola che si distende di fronte alla riva dell’Ontario. I grattacieli, soprattutto quando non sei abituato, hanno un fascino incredibile. Altezza, luci, colori, una spinta costante verso l’altro, come ad allungarsi perennemente oltre ogni confine. Un qualcosa che almeno il primo anno e mezzo mi portava a camminare sempre con il naso all’insù rapito da questi scenari, per noi totalmente inusuali.

Il tram è il mezzo che a me piace di più qui a Toronto. Forse perché è un qualcosa che non ho mai usato troppo, ma che per me, nella mia mente malata, evoca lo stadio. A Roma e a Milano, è il mezzo quasi obbligatorio per andare allo stadio se vuoi usare i mezzi pubblici. Il tram, qui si chiama streetcar, passa con grande frequenza arando solo le strade che sono parallele al lungo lago. Il mio tram di riferimento è quello che percorre Dundas e spesso mi porta alla metro per andare al lavoro. Vecchiotti, piccolini, di legno, con la cordicella tesa da tirare per prenotare la fermata, per me hanno un loro indubbio fascino.

Toronto, come ogni città nordamericana è un posto a cui nessuno frega di come ti vesti, ognuno è libero e tutti fanno come vogliono. Questo dettaglio a me non cambia nulla, ma mi piace vedere  -forse mi diverte- persone che se ne fregano di ogni cosa e si vestono in modi improponibili. Conta poco, ma sai che nessuno ti giudicherà per i tuoi abbinamenti cromatici.

L’isola è il mio posto preferito qui. Uno potrebbe ironizzare dicendo che infatti non è propriamente Toronto, ma a mio avviso è un luogo paradisiaco, un’oasi davanti la città. Verde, tranquilla, enorme, curatissima, in mezzo al lago, una via di fuga dal caos cittadino, il rifugio perfetto durante la bella stagione, un posto che in Italia non esiste da nessuna parte.

Toronto è anche la NBA, il campionato professionistico di basket, ma anche la lega più nota e grandiosa in tutto il mondo. Ogni partita è un evento, un misto fra sport e intrattenimento, un inno alla concezione che hanno oltreoceano degli eventi sportivi. Forse mi esalterei per alcuni motivi più in un Partizan – Panathinaikos decisivo di Eurolega, ma il clima che si respira in una gara di NBA trascende dallo sport puro, è una esperienza che un appassionato dovrebbe vivere una volta nella vita. E per chi aveva come me il diario in secondo superiore di Vince Carter, stella dei Toronto Raptors, andare a piedi in mezz’ora al palazzo, all’Air Canada Centre, è semplicemente pazzesco.

A me piace molto fare la spesa, è una di quelle azioni di routine che faccio sempre con piacere, ma proprio fin da quando ero bambino. Poterlo fare anche di notte, o rientrando alle due il sabato sera al supermercato Metro è una bella cosa, una opportunità che spesso colgo e che mi trasmette uno strano senso di libertà.

Facesse meno freddo, ci fosse il mare e non la neve, fosse al massimo a 3-4 ore di volo dall’Italia, ci potrei pure vivere qui. Qualche anno in più intendo.

Terzo episodio, dicaaa…

Un ragazzo di periferia. Ovunque.

Non ho mai avuto complessi, ma se devo trovarne uno per forza, il primo che mi viene in mente è il fatto di essere un ragazzo di borgata, ma non inteso come borgataro, tutt’altro, nessuno potrebbe sostenere questa tesi, ma il fatto di vivere proprio in periferia, lontano dal centro, mal collegato con i mezzi e in un quartiere della cintura romana.

Per anni questa condizione l’ho vissuta a metà, crescere sostanzialmente a casa di mia nonna mi faceva sentire meno periferico: la Stazione Tiburtina sullo sfondo, l’omonima via a 500 metri e tre metropolitane intorno mi trasmettevano un senso di centralità diverso. Certo, scendere a Quintiliani, la fermata metro meno usata e più nascosta fra le fratte di quel che resta della campagna romana, mi respingeva a distanze siderali dal centro, però era un qualcosa che mi scuciva un po’ la veste di ragazzo di borgata.

Tralasciando il valore a volte romanzato del nascere in zone difficili e disagiate, quando andavo alle elementari un po’ mi vergognavo di dire il mio quartiere, alle medie uguale, diverso invece era il discorso alle superiori. Crescendo infatti cambiano le percezioni e la stupidità aumenta, per cui dire che venivi da una zona malfamata accresceva la tua posizione. All’università invece, dire che vivevo a 4 km dalla facoltà era un piacere che ostentavo, per sottolineare la mia fortuna di questa vicinanza alla faccia dei paesani, dei burini e di chi doveva fare decine di chilometri.

Dentro di me però, fin da quando ero bambino ho sempre desiderato vivere in centro. Non nel centro storico, ma in zona molto più dentro la città. Se per raggiungere piazza di Spagna con i mezzi impiego un’ora abbondante (con la macchina nemmeno me lo pongo il problema), vorrei sperimentare il gusto di metterci la metà del tempo, di girare in qualche zona più storica della città, di vivere Roma diversamente, in modo privilegiato.

Sono uno di quelli che vivrebbe a Trastevere, senza dubbio, magari non proprio su piazza Trilussa per il caos e la movida, ma vivrei in tante altre zone, la mia preferita rimane quella intorno Castro Pretorio. Lì ho trascorso gli anni del liceo e un appartamento a Via Montebello, Via Goito o anche Via Alessandria, l’ho sempre sognato. A due passi da Piazza Indipendenza, vicino Termini, con la Nomentana che ti scorre affianco. Il fatto di essere mal collegato con i mezzi è sempre stata una croce, per cui, per me, avere bus e metro a portata di mano e vivere vicino a luoghi nevralgici è un aspetto che vale sopra ogni cosa.

L’etichetta di periferico e di ragazzo di borgata me la sono portata appresso anche nelle altre città in cui ho vissuto. A Dublino ero l’italiano di Stillorgan, poi quando sono tornato mi sono diviso fra Crumlin e Ballaly. A Toronto quando aggiorno il meteo e mi risulta York come località mi infastidisco mortalmente. Forse, anche per questo, non vedo l’ora di traslocare nell’alloggio in centro che dovrebbe essermi consegnato nel giro di un mesetto. Giorni fa guardavo la mappa e sognavo. Poter andare in redazione a piedi senza usare la metro, girare il centro di Toronto comodamente, andare a vedere il concerto di maggio con una semplice passeggiata, un lusso che mi pare impossibile.

Fra un po’ quindi coronerò anche questa fantasia, quella di essere per una volta in vita mia un cittadino del centro, immerso nel cuore pulsante del posto in cui vive, e pazienza se intorno a me avrò grattacieli, Starbuck e McDonbald’s e non monumenti o pizzerie a taglio.

“Cose Romanesche” parte 2

1)  Mangiare il cocomero per strada: questa è un’altra tradizione romanesca, mangiare l’anguria d’estate presso i baracchini che si trovano lungo le strade, soprattutto quelle consolari. Un euro ed una fetta di cocomero che viene servita su un piatto con il coltello, ci si accomoda su uno dei tavolini a disposizione e si gusta la freschezza del frutto. A Roma se ne trovano moltissimi, oggi sono sempre più gestiti da extracomunitari ma il business è molto esteso. Le regole principali sono 2: mangiare e sbrodolarsi del tutto e subito dopo sputare i semi nel piatto. Lo scorso anno ho voluto portarci David, da Zeppetto su Via Tiburtina, l’amico fiuggino è rimasto stupito da tutto ciò, all’1.40 per strada davanti ad una fetta di cocomero fresco, Roma è anche questa.

2)  Mangiare la pizza a San Lorenzo: restando in ambito alimentare la pizza a Roma si può mangiare ovunque ma in questo quartiere è una cosa piuttosto tipica. Proseguendo sulla Tiburtina, superato il Verano, inizia un viale di ristoranti e trattorie che d’estate apparecchiano fuori sui marciapiedi dove la gente mangia la pizza a prezzi modici. Gran parte del quartiere è adibito a questo, a me è capitato moltissime volte, soprattutto ai tempi del liceo. La Pantera Rosa, Formula 1, Il Podista sono tutte trattorie che fanno un’ottima pizza, si mangia bene, si spende poco e si prende quel poco di fresco.

3)  Porta Portese: questo è il grande mercato di Roma, la Portobello de Noantri, quello storico e certamente più caratteristico, dove bisogna andare la domenica mattina presto altrimenti dopo si crea un caos generale per la folla e si rischia qualche brutta sorpresa ad opera dei borseggiatori. Qui si può trovare tutto a ogni prezzo, tanta monnezza ma anche qualche buon affare alla fine si può ottenere. Vestiti, biciclette, animali, libri, oggetti di ogni tipo, Porta Portese è un cuore pulsante che batte da decenni. Bisogna saper trattare con i venditori fino allo stremo, guardare tutto ma senza farsi prendere voglia di ogni cosa, il rischio della fregatura o meglio nota come sòla è sempre presente, ma forse è proprio questo il fascino di Porta Portese, il mercatino delle pulci della città.

porta-portese-0.jpg

 

 

“Cose Romanesche” parte 1

Roma è una città meravigliosa, uno dei posti più belli del mondo, dove la storia e la cultura si fondono creando un connubio magico e forse inarrivabile. Tralasciando i mille aspetti negativi per chi vive Roma e la sua quotidianità, bisogna dire che è una sensazione unica girare per le vie della città, in particolare quelle del centro storico dove si rimane a bocca aperta ogni volta che si svolta l’angolo. Roma ha qualcosa di magnetico, un’atmosfera caciarona e popolaresca che non le possono dare quello status di città austera e chiusa, Roma è un paese allargato nel cuore dell’Italia, al centro del mondo. Oltre alle infinite attrazioni, ai siti archeologici e di interesse culturale, ci sono alcune cose che sono tipicamente romanesche, non si possono trovare altrove se non nella Città Eterna. Nel simpatico ed interessante libro di Ilaria Beltramme 101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita, edito da Newton Compton, prezzo 13.90 euro, troviamo un elenco di cose divertenti che hanno un forte sapore di appartenenza, una serie di obblighi che chi vive in questa città non può non aver fatto. Scorrendo la lista io sono a buon punto, quasi il 50% delle indicazioni che ho trovato le ho fatte in qualche modo, soprattutto quelle più importanti o caratteristiche. Ne ho volute scegliere 4, quelle che mi fanno più ridere o che ritengo più tradizionali per diverse ragioni e che ho già fatto diverse volte.

1) Bere al Nasone: chi non è di Roma si domanderà chi è costui, il Nasone è la fontanella, ed il cannello di quest’ultima è detto così per la sua somiglianza con il naso umano. Girando per la città se ne trovano tantissimi, e sono un mano santa per i turisti e i romani accaldati soprattutto durante i mesi estivi. L’acqua fresca scorre in continuazione, è un vero spreco ma a Roma è così da sempre, bere al Nasone ha un fascino particolare, si tappa il buco del cannello con una mano, ci si piega e si beve dallo zampillo che affiorerà dal buco superiore. Per me due sono i Nasoni storici: quello davanti la chiesa a Sant’Atanasio dove ci dissetavamo dopo le partite di calcio o pallacanestro e quello sulla piazzetta a L.go Beltramelli.

CONTINUA…