Caro cane ti scrivo, così mi sfogo un po’…

Caro cane ti scrivo,

ho deciso di rivolgermi a te direttamente perché non ne posso più. Sì, mi hai rotto i coglioni e non uso altre espressioni o giri di parole. Non ce la faccio più a sopportarti, non tollero più il tuo modo puntuale di abbaiare dopo mezzanotte e mezza. Non se ne può più. Io non so quale sia il tuo problema, onestamente mi interessa anche poco, conosco invece il mio e te lo spiego molto chiaramente: dormo poco, fatico ad addormentarmi e mi sveglio a ogni rumore.

Bene, capirai di conseguenza quanto il tuo stridulo rumore sia fastidioso e assolutamente fuori luogo. Perché cane? Perché inizi ad abbaiare sempre alla stessa ora e rimbombi in questo quartiere ovviamente desolato dal periodo agostano? Cosa ti succede a quell’ora della notte? Spiegamelo. Torna il tuo padrone e tu lo accogli così per dargli il benvenuto? Impazzisci? Ti disturba il fatto che sia finito il programma in seconda serata di Italia Uno?

Io inizio a essere infastidito. Parecchio. Il problema però è molto più grande perché quando incominci ad abbaiare il tuo compare o nemico (non lo so) ti risponde e a quel punto inizia un dibattito, un botta e risposta interminabile che esaspera. Di cosa parlate? Io spero che litighiate e che l’altro ti minacci, a nome degli abitanti del quartiere, mi auguro che te le prometta ogni notte. Sarei molto più infastidito se il vostro dialogo a distanza fosse amichevole, magari sulle ultime manovre di mercato delle vostre squadre. Io però, caro cane, ti dò un suggerimento, anzi, un avvertimento. Stai in campana bello, perché alcuni tuoi predecessori hanno fatto una finaccia qui vicino. Il primo, un esemplare malefico, figlio del demonio, per anni ha imperversato e impaurito tutti.

Era chiuso sempre dentro un cortile adiacente alla strada e ha fatto prendere colpi a tutti. Chiunque passava davanti al cancello di casa sua (cosa oltretutto obbligatoria) rischiava la morte perché l’infame aggrediva, ringhiava ed abbaiava. Ho visto con i miei occhi persone spaventate e bambini piangere disperati, quasi terrorizzati, per la paura. Io lo detestavo con tutto me stesso, perché seppur abituato e consapevole che il simpaticone era lì pronto ad aspettarmi, ogni tanto ci cascavo e rischiavo il malore. Questo cane avrà attirato milioni di maledizioni e le romanissime “paralisi” per altro tutte giustificate. Io, un giorno, per il fastidio, mi avvicinai al cancello dopo che mi aveva portato a due centimetri da un coccolone e guardandolo dritto negli occhi gli dissi: “Sei un pezzo di merda. Sì, un pezzo di merda, capito? Merda!”.

Quando il destino se lo è portato via, abbiamo festeggiato questa liberazione, ringraziando Santa Rita e percorrendo le strade del quartiere con una processione festosa. Al suo vicino di casa, che aveva lo stesso vizio di spaventare tutti abbaiando e gettandosi addosso al cancello, è andata anche peggio visto che lo hanno ammazzato. Una polpetta avvelenata e lo hanno ritrovato a “panza all’aria” la mattina dopo. Un attentato, tutt’altro che giustificabile e bello, però, dopo qualche settimana anche io ho beneficiato di questa pace nel camminare serenamente per andare a prendere la macchina al parcheggio. Ecco, come vedi, ti ho raccontato due episodi, qui non si scherza e tu stai andando oltre, tormentando il sonno mio e quello di altri. Il caldo ci obbliga a tenere finestre aperte e serrande tirate su, siamo costretti a sentirti ancora meglio. Io te lo dico, fai attenzione e stai attento caro mio, hai già oltrepassato il limite consentito di pazienza.

Cane avvisato, mezzo salvato…

Dormire lì

Alla fine è successo che per una serie di coincidenze e un po’ per comodità, sono rimasto a dormire da mia nonna. Una cosa che fino a qualche anno fa non avrebbe meritato nemmeno mezza riga di un post semplicemente perché era normale amministrazione, routine. Da anni non è più cosi, dalla fine del liceo di fondo, ma stanotte invece, dopo due anni ,sono tornato a dormire in quella che sostanzialmente considero casa mia. L’ultima volta era stata il primo luglio del 2012, dopo la sfortunata finale dell’Europeo contro la Spagna, tornando dal Circo Massimo rimasi lì a dormire, mia nonna non c’era ed il giorno dopo sarei dovuto andare in redazione prestissimo. Stavolta i motivi erano ben differenti, nessuna finale di mezzo e nessun impegno lavorativo ma una comodità semplice e pura. Ho impiegato un po’ a prendere sonno, come sempre d’altra parte, forse perché la situazione mi ha riportato indietro a quando dormivo lì, a quando questo appuntamento era fisso il venerdì e la domenica. Una sequenza infinita di ricordi e dettagli, una lista interminabile di attimi, come il profumo del pane bruscato quando mi svegliavo, la tazza del tè preparato da mia nonna con dentro tanto zucchero e limone. Lo zaino preparato rigorosamente la sera prima e lasciato sulla cassa panca in corridoio, la finestra da cui sbirciavo il tempo e annusavo l’aria di una giornata pronta a cominciare. Lì ho vissuto le corse affannose per prendere il 111 alle 7.21, o la camminate più serene per raggiungere la metro dal 2003, le strade umide del mattino, l’odore dell’androne del palazzo, il rumore del portone, le macchine parcheggiate sempre allo stesso modo, le foglie bagnate a terra che si appiccicavano alle suole delle scarpe. Paolo seduto sui gradini della scala che attendeva me e Ramona per andare insieme a prendere l’autobus. Stamattina non c’era nulla di tutto ciò naturalmente, ma ho sorriso quando ieri notte ho visto che lo spigolo della scrivania non toccava il letto nel solito punto ma era più spostato a destra, e da vecchio “esperto” ho capito che le cose non erano state sistemate e riordinate come al solito. Pensieri, magari banali, ricordi che si accavallano a vecchie sensazioni, come quando si scendeva sotto al cortile a giocare e non esistevano ne Facebook e nemmeno la Playstation e la voglia di sbucciarsi le ginocchia sull’asfalto o sul brecciolino era una calamita troppo forte da cui fuggire.

Casa di mia nonna, appunto, ho dormito là stanotte, dopo tempo, ma è sempre un qualcosa di diverso e speciale, qualcosa che non si può racchiudere nel riposo notturno tra un giorno e un altro.

 

Frase del giorno

Serena: “Beato te Mattè che puoi portare ancora tua nonna a fare le analisi o accompagnarla a fare la spesa…beato te”.

L’importanza della Pennichella

Sono tanti i piaceri della vita: mangiare, bere, dormire, leggere, vedere un film, fare sesso, stare su Facebook (una nuova indagine ha evidenziato come il richiamo di aggiornare il proprio status sui social network sia più forte che quello sessuale) ma per me, la pennichella, stravince su ogni cosa al mondo.

Ho sempre avuto un rapporto tortuoso con il sonno, fin da quando ero piccolo. Non sono mai stato un dormiglione, non mi sono mai alzato la domenica mentre finiva il TG delle 13, ma la pennichella dopo pranzo è un vezzo che spesso mi sono potuto concedere.

Lo scorso anno, durante una conversazione piuttosto bizzarra con Paolo all’università, teorizzavamo su come la possibilità di dormire dopo pranzo fosse un segno di distinzione. Se puoi permetterti un lusso del genere sei padrone del tuo tempo, e quindi, proprietario della tua vita. Sicuramente non tutti possono fare una cosa del genere, io durante gli anni del liceo a volte venivo risucchiato nella tentazione del sonnellino verso le 14.30. Mi alzavo la mattina alle 6.10 e dopo pranzo ero già cotto dal sonno.

Spesso però la pennichella pomeridiana mi ritardava il sonno serale, mi addormentavo quasi a notte fonda, la mattina mi svegliavo prestissimo con troppe poche ore di sonno e in classe ero un zombie. Ovviamente, come in tutte le cose, il riposino pomeridiano deve essere dosato, altrimenti si entra in un circolo (tipo il mio) dal quale se ne esce con parecchie difficoltà.

Sono uno che dorme il giusto, fatico sempre un po’ prima di prendere sonno, e soprattutto sono nella top five delle persone in grado di rimanere sveglie e vigili per ore senza crollare se la notte prima ho dormito decentemente. Il mio record rimane quello dell’agosto 2010 quando rimasi sveglio ininterrottamente per 37 ore di ritorno da Montecarlo.

Tornando alla pennichella, la mia preferita si svolge sulla mia veranda in primavera: temperatura tiepida, pochi rumori e nessuno che gira per casa. Se ci sono queste tre condizioni dormo meravigliosamente e non proprio mezz’ora. Oggi ad esempio, dopo pranzo, mi sono allungato e mi sono svegliato dopo due ore di sonno intenso. Ho recuperato dalla sveglia mattutina, alle 7.20 ero in piedi senza motivo, di domenica poi, è quasi un reato.

Pennichella, riposino, sonnellino, nap come dicono gli inglesi, il gusto di accasciarmi sul letto (io riesco a dormire solo su un letto, mai durante un viaggio, e su nessun mezzo) lo annovero tra le cose più strabilianti e piacevoli che si possano fare.

 

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La notte dei sogni impossibili

L’interpretazione dei sogni è una cosa che mi ha sempre molto incuriosito, sono affascinato da ciò che produce il cervello in momenti in cui noi siamo meno padroni delle nostre funzioni o dei pensieri che ci frullano in testa. La mia ultima notte è stata costellata da una serie di sogni assurdi, strani e a mio modo di vedere praticamente impossibili da spiegare. Devo dire che la giornata appena conclusa era stata sicuramente molto intensa dal punto di vista emotivo, soprattutto la mattina, ma nelle mie avventure oniriche non sono riuscito a collegare nulla a ciò che avevo vissuto durante il giorno. Il primo sogno è stato più un’immagine che una storia o una situazione, ero in una sorta di collegio di suore che in realtà era la mia residenza Erasmus, ero in un edificio grande, vecchio ma decisamente imponente nel centro città. Faceva freddo e il cielo era coperto, con delle nuvole grigie e cariche di pioggia, l’ambientazione era molto nordica, ma più britannica che scandinava. In questo ambiente c’ero io alle prese con delle Magnum ai piedi e stavo cercando di sistemare i lacci delle scarpe. La cosa che mi fa sorridere è che io non ho mai avuto queste scarpe nemmeno quando andavano di moda a cavallo del 2000. Ero preso dalla mia faccenda all’interno di un atrio in cui una suora dava udienza agli altri ragazzi Erasmus e il sogno è finito così. Terminata questa avventura ne è iniziata un’altra, eravamo io, Federico e Alessandro, dopo il tramonto con il cielo che si stava per oscurare in una sorta di bosco cittadino, un’ambientazione che poteva essere una via di mezzo fra il Casal Galvani e il Casal Quintiliani ma anche qualche angolo di Ponte Lanciani. Io e Federico eravamo seduti su una panchina sul lato di un campo incolto, mentre Alessandro era su un’altra panchina su un altro lato di questo campo. All’improvviso Alessandro viene verso di noi quasi di nascosto e mi passa un sorta di piantina dicendomi che Federico non doveva vederla, perché era la sua preferita e la stava facendo crescere con molta attenzione. Federico si accorge della piantina che ho appena ricevuto, si alza e inizia a rincorrere Alessandro colpevole di avermi passato la sua pianta preferita. Io rimango seduto con sta specie di fiore in mano mentre loro due si rincorrono in questo bosco a pochi metri da me interrogandomi sulla nuova passione di Federico e sul suo pollice verde nascosto. L’ultimo sogno che ho fatto è stato quello più lungo ed inspiegabile. Ero sulla metropolitana come quando tornavo dal liceo, sento tre ragazzi (due femmine e un maschio) che parlano vicino a me ed una delle due ragazze fa una battuta sull’Inter, sul fatto che non vinceva da un sacco di anni, io cerco di non risponderle, ma poi la guardo e le dico una serie di volgarità ricordandole che un anno fa abbiamo vinto tutto. Il gruppetto scende e sale una ragazza sui 17 anni bellissima con un vestito azzurro chiaro di raso, prende posto e inizia a parlare al cellulare sotto la metropolitana. Dopo pochi secondi inizia a conversare ad alta voce e sento che dice testuali parole “Sì! Io tifo per la Fortitudo e sono Testimone di Geova” a quel punto dentro di me un po’ sbalordito mi dico “Io anche tifo per la Virtus e credo in Cristo ma non lo dico così”. La metro si ferma, la ragazza riprende la conversazione su toni normali ed entra dalle porte Dan Peterson e non capisco perché, va bene che si parla di squadre di basket ma non vedo la ragione del coach in quel momento. Con un vestito blu scuro elegante e una cravatta rossa, il vecchio Dan mi si avvicina con il cellulare in mano e mi dice di chiamare un numero nella sua rubrica con scritto Siena. Faccio il numero ma non riusciamo a chiamare, lo comunico a Peterson che mi dice Well  ma non capisco se devo intendere la sua risposta come il suo classico intercalare o se va bene davvero. Si aprono le porte e scendo, Dan mi dice di rientrare, lascio la borsa sulla banchina, la porta si chiude e io riparto con lui mentre il mio bagaglio rimane lì alla stazione. Mi dispero, decido di scendere subito ma non ci riesco, alla fermata dopo non riesco a scendere nuovamente, arrivo a Quintiliani e vedo Christian che alla fine della scala mobile mi saluta e mi dice di cambiare lato per tornare indietro e prendere la valigia. Poco dopo vedo Silvia da lontano che mi saluta mentre sto risalendo per andare a prendere la metro dal lato inverso. Mi sveglio definitivamente, ho dormito ma ho sognato un sacco di cose, queste sono quelle che mi ricordo in modo nitido, ho riposato ma sono stanchissimo, come se avessi corso una maratona stanotte, avverto la fatica, ma la sveglia suona e la giornata sta per iniziare.

 

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