Un sogno, una premonizione, un suggerimento.

Ci sono post che ancor prima di scriverli sai già che non ti renderanno soddisfatto, sai che pur provandoli a scrivere altre cento volte non riusciresti mai comunque a trasmettere ciò che vorresti. Ci sono post che imposti e dopo un po’ t’arrendi. Questo è uno di quelli e pagherei di tasca mia, veramente, per potervi portare dentro al sogno dell’altra notte, per farvi provare la sensazione stranissima che percepivo nel frattempo, in una di quelle classiche avventure oniriche che viaggiano nel tempo, in una dimensione inesistente perché forse perfino troppo realistica da credere.

Andrebbero fatte delle premesse dovute, ma mi perderei e il post vedrebbe scemare la sua capacità attrattiva, rimane il fatto che a fine 2014 ho guardato la serie di Romanzo Criminale, poco dopo aver finito il libro di Imposimato (il Borgia del telefilm) intitolato “La repubblica delle stragi impunite”. A questo punto devo aggiungere un altro dettaglio necessario: da quando sono qui ho fatto spesso sogni, soprattutto le prime settimane. Una costante è stata quella di sognare persone che appartengono tutte ad una certa categoria. Essendo la prima posizione inattaccabile da tempo, ho sognato anche altri personaggi con cui ho avuto dei problemi, conti in sospeso o difficoltà. Non mi sono mai sognato la mia famiglia, e nemmeno un David, un Alfredo, un Gabriele. Mai persone a me vicine, mai persone che mi piacerebbe incontrare in qualche fantastico viaggio notturno.

Eccoci quindi, durante la notte fra mercoledì e giovedì si è sommato tutto in una maniera clamorosa. Cinematografica. Forse emblematica. Magari è una premonizione, probabilmente un suggerimento su come deve finire la nostra serie. Non lo so, resta il fatto che per quanto possa esserci una tristezza di fondo, era tutto così bello che io non ho provato alcun fastidio, al punto che per una volta non mi sono detto “Svegliati che è un incubo” come mi capita quasi sempre visto che ci sto con la testa anche quando dormo e sogno.

Quest’ultimo era di fatto la scena finale di Romanzo Criminale, l’ultimissima proprio, quella celebre del Bufalo che invecchiato rientra nella sua vecchia bisca e rivede con la sua fantasia le immagini di quando era giovane rivivendo fantomatiche conversazioni.

Nel bar dell’università, quello di Luciano, disposto nella maniera attuale ma con il vecchio proprietario, ci sono io, con una polo blu, sembra quella di Slazenger, fa caldo ma non è ancora estate, a un punto, entra David che con una sudatissima t-shirt (quella che aveva prima di andare da Teoria a cena nel luglio 2009) si catapulta dentro e si guarda intorno prima di vedermi. Cerca me e sembra dovermi dire qualcosa di dannatamente urgente. In maniera inevitabile dalla tv del bar escono le note di Liberi Liberi di Vasco, il Catto mi guarda fisso e ancora col fiatone mi dice: “Matté! Sta a parlà con Fermata! Stanno qui de fuori! So brividi Matté, ehhhh mo so’ guai”. Guardo il mio fidato amico che ha interrotto una banale conversazione fra me e Alfredo il quale però non parla mai nel sogno, sorrido e gli dico praticamente le parole del Libanese: “A Dà, tranquillo, ma io so’ morto, non te ricordi? Che me può succede?”. Cerco di tranquillizzare il mio amico e torno a parlare con Alfredo mentre David si piega su se stesso, con le mani sulle ginocchia per recuperare fiato dopo uno sforzo evidentemente esagerato. Poco distanti ci sono Saretta e Martina. Non riconosco altre persone. Finisce così. Tutto. Con la musica che sembra più alta, forse perché non parliamo, la conversazione si è esaurita con una battuta a testa e basta.

Il sogno termina in questo modo, una parentesi notturna tanto intensa, quanto veritiera. In un colpo solo tutto dentro, un sogno con decine di aspetti all’interno che se lo raccontassi ad un analista ci scriverebbe almeno due libri per gli spunti intrinsechi che regala. Un sogno appunto, un incubo, non lo so, un mix infinito, un suggerimento per come dovrà finire la nostra personale serie, chissà, resta il fatto che era tempo che non vivevo un viaggio onirico di tale portata e che ho avuto in testa per tutto il giorno e che non poteva non finire qui.

 

Liberi liberi siamo noi

però liberi da che cosa

chissà cos’è? Chissà cos’è!

Finché eravamo giovani

era tutta un’altra cosa

chissà perché? Chissà perché!

Forse eravamo stupidi

però adesso siamo cosa…

che cosa che? Che cosa se!

Quella voglia, la voglia di vivere

quella voglia che c’era allora

chissà dov’è! Chissà dov’è!? 

Quello che sto iniziando a capire

 

Sono qui da 12 giorni ma ho come l’impressione di essere arrivato a Dublino nel 1998.

È stranissima la concezione del tempo che sto vivendo, queste due settimane scarse sono state molto lunghe, il giorno della partenza da Ciampino potrebbe essere per me qualcosa in bianco e nero.

Sto imparando a conoscere la città e la gente, in particolar modo il comportamento o l’atteggiamento di questo popolo. Finora non ho avuto particolari riscontri sul fatto che siano così socievoli o cordiali, di certo sono molto rispettosi, penso che mi avranno detto “Sorry” già in 50 occasioni ed in 48 era del tutto superfluo, almeno per me. Mangiano male, malissimo, non hanno il minimo senso di cosa sia un’alimentazione corretta, sono molto simili agli americani. Riguardo alla forte matrice cattolica posso dire che non si percepisce così clamorosamente, non è tangibile in ogni momento, tutt’altro. Ho visto più gente brutta che bella. Le ragazze hanno sempre qualcosa che non va, magari un dettaglio ma non hanno un fascino particolare. Poche persone con i classici capelli rossi, molti biondi e parecchi mori. Mi pare che le cose funzionino nel modo corretto, soprattutto i mezzi di trasporto anche se non condivido il fatto di dover pagare il biglietto per l’autobus in base alla tratta, mi pare una stupidaggine, così come i tram della LUAS (delle metropolitane in superficie) che non si incrociano mai e per prendere l’altra linea devi attraversare la città.

I costi sono maggiori rispetto all’Italia, per il cibo spendi sempre un po’ di più, stesso discorso vale per i già citati mezzi di trasporto. Bevono un sacco e questo si sapeva, il tempo è imprevedibile ma tendente al brutto, piove spesso e anche questo si sapeva, mentre ora sono molto curioso di vedere questo popolo in azione nella celebre festa di St. Patrick’s.

Il mio inglese? Dire che è già migliorato forse è troppo, il fatto di essere circondato da italiani o da persone che hanno una conoscenza inferiore alla mia non è il massimo, ma nel frattempo mi sto esercitando e soprattutto ampliando il mio vocabolario.

Riguardo al riposo e al sonno riesco a dormire bene, anche se devo riprendere quell’abitudine ad alzarmi alle 7.15 tutte le mattine, una routine che ho perso negli ultimi anni, da quando non vado più a scuola. Proprio stanotte, a tal proposito, stavo dormendo bene quando alle 5.30 ho fatto un sogno talmente bello che ero così contento da svegliarmi di soprassalto per vedere se era tutto vero. Con grande amarezza ho capito subito che era il mondo onirico, ma come spesso mi capita la persona che sogno la notte poi è particolarmente presente nei miei pensieri l’indomani. Ma stavolta non era necessario il sogno, perché è sempre con me, ogni giorno. Qui ancor più che a Roma.

Le immagini di un sogno

La scorsa settimana sono andato al negozio Nike di Tor Vergata per comprarmi la maglietta dell’Inter, quando ho chiesto in cassa se avevano lo stemma dei campioni del mondo da attaccarci sopra, la signorina mi ha risposto di no, così ho ripreso la maglia in mano, l’ho portata al suo posto e l’ho posata, salutando e ringraziando. Sono certo che la commessa mi avrà guardato con occhi strani, in balia di qualche interrogativo e spiazzata dal mio atteggiamento. So tutto questo ma lei non sa che io quello stemma l’ho vinto, anzi me lo sono andato a conquistare a 4200 km da casa e per me ha un valore semplicemente unico…

Sono una persona fortunata e lo dico senza mezza termini, lo sono per tanti motivi ma anche perché ho avuto la fortuna in vita mia di realizzare il sogno di quando ero piccolo. Dodici mesi fa ero da qualche ora sbarcato all’Abu Dhabi International Airport al seguito dell’Inter, rincorrendo il desiderio di vedere la mia squadra sul tetto del mondo. È passato già un anno, è volato sicuramente, ma nel cuore rimangono ancora dei momenti unici e ancora troppo nitidi per non parlarne un po’, almeno oggi, a distanza di 365 giorni. Avevo sei anni, la maglia dell’Inter della Fiorucci con il 10 di Dennis Bergkamp e vedevo il Milan giocare la finale di Intercontinentale a Tokyo. Guardavo la tv e mi chiedevo se in vita mia sarei mai riuscito a vedere l’Inter lì, a 90 minuti dalla conquista del mondo. Sono diventato grande, dopo anni di sofferenze ho avuto il privilegio di vivere questo sogno, di poterlo accarezzare e finalmente assaporare dal vivo, in prima linea. Ancora oggi quando ripenso a quel meraviglioso viaggio nel caldo degli Emirati mi sembra impossibile che sia successo tutto ciò, di fondo non mi sono mai risvegliato dal sogno e spesso la mia mente corre a quei momenti e a quelle sensazioni uniche. Ho tante immagini della settimana trascorsa ad Abu Dhabi e nella vicina Dubai, ma ce ne sono alcune in particolare che mi riportano al giorno della finale, a sabato 18 dicembre 2010.

Ero tornato la mattina da Dubai e dopo essermi sistemato e riposato un po’ al Royal Regency Hotel sono andato a fare merenda in un Burger King che distava circa duecento metri dall’albergo. Nel fast food ho incontrato una famiglia di tifosi del International di Porto Alegre con le loro maglie rosse e ricordo ancora il modo cattivo con cui li ho squadrati, guardavo loro e pensavo “Siete venuti qui con il sogno di portarci via sta coppa e invece siete usciti in semifinale, maledetti che non siete altri, la coppa me la vado a giocare io, strozzatevi con gli hamburger”. Ho un rapporto decisamente conflittuale con i brasiliani e questo è dovuto allo shock più grande della mia infanzia: la finale dei Mondiali persa nel 1994 contro il Brasile ai rigori. Per un bambino di 7 anni appassionato di calcio, una sciagura sportiva del genere, può segnargli l’infanzia e a me è successo proprio questo. Da quel momento è un popolo che non adoro troppo e prima di partire per gli Emirati pensavo che ancora una volta dei brasiliani mi avrebbero potuto soffiare un titolo mondiale. Dopo aver ritirato il mio panino alla cassa mi sono seduto in disparte e ho iniziato a ragionare che mancavano 3 ore ormai ad un momento che aspettavo da una vita. In quell’istante mi sono commosso: da solo, dall’altra parte del mondo a caccia di un sogno con la maglia della mia squadra addosso. Quel momento rimarrà per sempre dentro di me per quell’intimità che ho avvertito, un qualcosa di raro che non mi era mai capitato prima. L’altra immagine che ho di quella sera rimane il viaggio in taxi. Sentivo una tensione esagerata e considerando che per 15 minuti non ero riuscito a prendere un taxi perché erano tutti pieni ho cominciato la più lunga sequela di parolacce e insulti della storia dell’universo. Una filastrocca di volgarità terminata solo quando mi sono accomodato dentro il taxi, una sequenza di parole anche esageratamente fuori luogo ma che aveva avuto il fantastico merito di farmi buttare fuori un po’ di ansia. Il viaggio in taxi verso lo Zayed Sport City rimarrà uno dei ricordi più belli sempre. In quei 20 minuti mi è ripassata davanti veramente tutta la mia vita da tifoso, e mentre guardavo dal finestrino le luci del traffico mi è venuto nuovamente da piangere a dimostrazione del vulcano emotivo che avevo ormai dentro. Ho pensato ai miei genitori e a mia nonna, e così ho mandato un sms a mia madre. Alle ore 22.50 ero campione del mondo, avevo realizzato il sogno che avevo da bambino e potevo lasciarmi andare al sapore della gloria, ad un’emozione per così tanto tempo inseguita e che era finalmente lì davanti a me, pronta per essere vissuta.

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La notte dei sogni impossibili

L’interpretazione dei sogni è una cosa che mi ha sempre molto incuriosito, sono affascinato da ciò che produce il cervello in momenti in cui noi siamo meno padroni delle nostre funzioni o dei pensieri che ci frullano in testa. La mia ultima notte è stata costellata da una serie di sogni assurdi, strani e a mio modo di vedere praticamente impossibili da spiegare. Devo dire che la giornata appena conclusa era stata sicuramente molto intensa dal punto di vista emotivo, soprattutto la mattina, ma nelle mie avventure oniriche non sono riuscito a collegare nulla a ciò che avevo vissuto durante il giorno. Il primo sogno è stato più un’immagine che una storia o una situazione, ero in una sorta di collegio di suore che in realtà era la mia residenza Erasmus, ero in un edificio grande, vecchio ma decisamente imponente nel centro città. Faceva freddo e il cielo era coperto, con delle nuvole grigie e cariche di pioggia, l’ambientazione era molto nordica, ma più britannica che scandinava. In questo ambiente c’ero io alle prese con delle Magnum ai piedi e stavo cercando di sistemare i lacci delle scarpe. La cosa che mi fa sorridere è che io non ho mai avuto queste scarpe nemmeno quando andavano di moda a cavallo del 2000. Ero preso dalla mia faccenda all’interno di un atrio in cui una suora dava udienza agli altri ragazzi Erasmus e il sogno è finito così. Terminata questa avventura ne è iniziata un’altra, eravamo io, Federico e Alessandro, dopo il tramonto con il cielo che si stava per oscurare in una sorta di bosco cittadino, un’ambientazione che poteva essere una via di mezzo fra il Casal Galvani e il Casal Quintiliani ma anche qualche angolo di Ponte Lanciani. Io e Federico eravamo seduti su una panchina sul lato di un campo incolto, mentre Alessandro era su un’altra panchina su un altro lato di questo campo. All’improvviso Alessandro viene verso di noi quasi di nascosto e mi passa un sorta di piantina dicendomi che Federico non doveva vederla, perché era la sua preferita e la stava facendo crescere con molta attenzione. Federico si accorge della piantina che ho appena ricevuto, si alza e inizia a rincorrere Alessandro colpevole di avermi passato la sua pianta preferita. Io rimango seduto con sta specie di fiore in mano mentre loro due si rincorrono in questo bosco a pochi metri da me interrogandomi sulla nuova passione di Federico e sul suo pollice verde nascosto. L’ultimo sogno che ho fatto è stato quello più lungo ed inspiegabile. Ero sulla metropolitana come quando tornavo dal liceo, sento tre ragazzi (due femmine e un maschio) che parlano vicino a me ed una delle due ragazze fa una battuta sull’Inter, sul fatto che non vinceva da un sacco di anni, io cerco di non risponderle, ma poi la guardo e le dico una serie di volgarità ricordandole che un anno fa abbiamo vinto tutto. Il gruppetto scende e sale una ragazza sui 17 anni bellissima con un vestito azzurro chiaro di raso, prende posto e inizia a parlare al cellulare sotto la metropolitana. Dopo pochi secondi inizia a conversare ad alta voce e sento che dice testuali parole “Sì! Io tifo per la Fortitudo e sono Testimone di Geova” a quel punto dentro di me un po’ sbalordito mi dico “Io anche tifo per la Virtus e credo in Cristo ma non lo dico così”. La metro si ferma, la ragazza riprende la conversazione su toni normali ed entra dalle porte Dan Peterson e non capisco perché, va bene che si parla di squadre di basket ma non vedo la ragione del coach in quel momento. Con un vestito blu scuro elegante e una cravatta rossa, il vecchio Dan mi si avvicina con il cellulare in mano e mi dice di chiamare un numero nella sua rubrica con scritto Siena. Faccio il numero ma non riusciamo a chiamare, lo comunico a Peterson che mi dice Well  ma non capisco se devo intendere la sua risposta come il suo classico intercalare o se va bene davvero. Si aprono le porte e scendo, Dan mi dice di rientrare, lascio la borsa sulla banchina, la porta si chiude e io riparto con lui mentre il mio bagaglio rimane lì alla stazione. Mi dispero, decido di scendere subito ma non ci riesco, alla fermata dopo non riesco a scendere nuovamente, arrivo a Quintiliani e vedo Christian che alla fine della scala mobile mi saluta e mi dice di cambiare lato per tornare indietro e prendere la valigia. Poco dopo vedo Silvia da lontano che mi saluta mentre sto risalendo per andare a prendere la metro dal lato inverso. Mi sveglio definitivamente, ho dormito ma ho sognato un sacco di cose, queste sono quelle che mi ricordo in modo nitido, ho riposato ma sono stanchissimo, come se avessi corso una maratona stanotte, avverto la fatica, ma la sveglia suona e la giornata sta per iniziare.

 

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