La maglia della mia vita

Non so se voi abbiate mai avuto un oggetto dei desideri, un qualcosa che avete sempre voluto, magari fin da quando eravate piccoli. Non lo so, mi piacerebbe saperlo anche perché capireste meglio le mie sensazioni: una gioia incontrollata, un brivido, un tumulto di entusiasmo che mi pervade. Tutto questo per cosa? Per una maglia. Sì, ma non una maglia, per La Maglia, quella della mia vita. Quella che ho rincorso per vent’anni, quella divisa che per me non può essere solo un indumento, ma è lo specchio di tante cose, soprattutto di emozioni.

Penso che da metà anni Novanta non c’è nessun altro oggetto che io abbia mai desiderato tanto. Non esiste nessun regalo che avrebbe potuto esaltarmi di più, niente in grado di elettrizzarmi come stasera, quando mia madre dalla sua borsa ha tirato fuori un pacchetto con dentro una maglia a righe nerazzurre, di uguali dimensioni (uguali di-men-sio-ni cazzo!), della Uhlsport, con sponsor Misura. Oh, sto scrivendo in preda alla tachicardia per il fomento, mi piacerebbe esagerare, vorrei, ma non ci riesco perché sono già OVER, perché in un tardo pomeriggio di inizio dicembre del 2014 sono riuscito a toccare con mano, materialmente, la maglietta dei miei sogni.

L’ho inseguita per due decenni, da quando ho capito definitivamente che io avrei tifato per quella squadra lì, da quando ho deciso che i miei idoli si chiamavano: Zenga, Bergomi, Ferri, Mandorlini, Brehme, Bianchi, Berti, Matteoli, Klinsmann, Matthaus, Serena. Sono cresciuto con gli eroi dello scudetto dei record, ma se ho un primo ricordo preciso è del 1991, della finale di Coppa Uefa contro la Roma.

Andai a Borghesiana, a due passi da casa mia, con mio papà, a vedere l’Inter allenarsi prima della partita decisiva. Di quel giorno ho ancora delle foto, quella con Nicolino Berti idolo indiscusso, appesa in camera, e quella in braccio a Matthaus. Quelli rimangono gli eroi di infanzia e quelli indossavano la maglietta che stasera ho dentro casa. L’ho sempre voluta per questo. Perché è il simbolo della mia passione, di quella cosa che non puoi spiegare se non ci sei dentro.

Da collezionista è dal 1996 che compro la maglia ogni anno, ma quelle storiche, per ovvie ragioni, mi hanno sempre attirato maggiormente, quella del 1990-1991 in assoluto, perché è la prima che ricordo e perché ci abbino in fondo l’inizio di tutto.

L’ho rincorsa, non l’ho mai trovata essendo invendibile, ne vidi una esposta a Via Farini ai tempi del liceo, costava “solo” 189 Euro e lì decisi che nella lista di nozze avrei inserito questa maglietta come regalo considerando il prezzo. Il mondo si è evoluto, la tecnologia mi ha aiutato e feci l’account su Ebay per scandagliare il mercato delle maglie, ma il numero bassissimo di esemplari in giro hanno sempre reso l’oggetto inavvicinabile. Alcune volte mi è sfuggita per poco, spessissimo era fuori budget. Martedì invece l’ho portata a casa e stasera è entrata fisicamente e finalmente a casa.

Un entusiasmo vertiginoso, ho veramente ottenuto l’oggetto sempre agognato, di sicuro non sono riuscito a trasmettere e a esprimere nemmeno il 10% della soddisfazione, della gioia e della libidine che sto provando, ma ho scritto di getto, come era giusto che fosse. Mi dispiace per chi non può capire, mi dispiace ancor di più per chi non ha mai desiderato un oggetto, anche normale, così tanto. Non sapete cosa vi siete persi.

Aladino mio, il terzo desiderio l’ho esaudito.

 

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(Il fatto che sia sul letto non è un caso, stanotte ci dormo pure). 

L’estate in ritardo. Gabriele. La mia maglia.

Attesa e rinviata, sospirata e quasi inutile, la coda estiva alla fine è arrivata. È stato un ottobre magnifico, che per certi versi rientra nella leggenda delle famose “ottobrate romane” di cui genitori e nonni spesso si riempiono la bocca raccontando di come in altri periodi questo mese, in questa città, fosse davvero caldo. Dopo un’estate che è trascorsa fra vento e nuvole, con gli ombrelli aperti e gli ombrelloni appoggiati al muro quasi in castigo, settembre aveva illuso prima di proseguire sulla falsa riga dei mesi precedenti. L’ondata di caldo c’è stata, il problema è che arrivata con scuole aperte e uffici a pieno regime, con le giornata più corte e la luce che si consuma del tutto alle 18.30. In fondo, è stata la beffa finale, il ritardo che ti infastidisce anche se a memoria non ricordo di essere mai uscito da casa in tenuta prettamente estiva (polo e pantaloncini) al 21 di ottobre e l’esperienza ha avuto un qualcosa di piacevole e stravagante. Il freddo sta per arrivare, avremo ovviamente la classica escursione termica, passeremo da t-shirt a giacche pesanti, con il cambio dell’ora che incombe, novembre vicino e le castagne che non si trovano.

 

Inevitabilmente di questo periodo semi-estivo ne ha goduto il mio fidato amico di ritorno dalla Cina. Per giorni l’ho avvisato che il clima era simile a quello delle Baleari ma lui ha comunque deciso di portarsi dietro tutta roba fuori stagione, felpe e maglioni di cotone, capi assolutamente impossibili da indossare anche di sera. Ha superato già la metà del suo soggiorno italiano, altri dieci giorni e poi farà nuovamente le valigie ma fra i tanti impegni, le numerose richieste di incontri e uscite, in qualche modo siamo riusciti a ritagliarci finora uno spazio importante. Tre volte ci siamo visti e in tutte le occasioni il tempo trascorso insieme è volato, in particolare il primo giorno, dalle 15 alle 24, senza pause, un assaggio condito da mille cose. Abbiamo replicato venerdì e sabato, sforando comodamente le tre di notte, come in passato, quando il “Ti riporto a casa” era il preludio alla chiacchierata finale, quella più ricca, la coda che suggellava tutto e si rimaneva in macchina a discutere nuovamente. È successo e non ho nemmeno avuto tempo di godermi questo sapore antico, in fondo mi è sembrato quasi tutto normale, come se fosse ieri, come se l’ultima volta non fosse stata 21 mesi prima. Parte di me vuole passare del tempo con lui, un’altra parte è restia perché creare una sistematicità di incontri in rapida successione potrebbe darmi un vago senso di abitudine che però non posso e non devo prendere sul serio. Fra dieci giorni sarà tutto un ricordo e per questo motivo mi tornerà in mente che quando era più o meno “stabile” a qualche km da casa mia, ero una persona più felice e serena, rincuorato dal fatto che mi sarei potuto rivolgere a lui immediatamente.

 

(Parentesi personale) Qualche giorno fa ho comprato su Ebay una maglietta dell’Inter anno 1993-94, sponsor Fiorucci, firmata Umbro. Ho concluso l’affare ad un prezzo molto vantaggioso e questa divisa va a impreziosire la mia collezione ultra ventennale, ma soprattutto è la mia personale risposta allo schifo con cui la mia squadra deve giocare quest’anno. Gli ottanta euro che pago ogni anno per la maglia dell’Inter per questa stagione li spendo così, comprando altre maglie dell’Inter, quelle vere, quelle con i colori giusti, quelle della storia e della tradizione, quelle che mi scaldano il cuore e mi ricordano quando la domenica era bella o brutta in base al risultato della partita. Il pigiama gessato nero e celeste lo comprate voi, io no.

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L’Inter non esiste più

Non mi stupisce in fondo. Sì, non mi sorprende il fatto che il 2014 me lo ricorderò anche perché hanno raso al suolo la mia squadra, un club che ormai, evidentemente, non esiste più. Fra poco più di un mese scenderà in campo qualcosa che non è l’Inter, una formazione che non ha nulla in comune con la mia idea di quella squadra per la quale ho sospirato per due decenni.

Per la prima volta ci avviciniamo a un campionato senza il presidente Moratti, senza la famiglia che ha scritto la storia di questo club. Per la prima volta non vedremo in campo il Capitano Zanetti che ha ceduto la sua fascia di capitano ad un mediocre pennellone, per la prima volta non ci sarà più nessun reduce del Triplete, di quella seconda Grande Inter in grado di conquistare tutto il mondo.

In tutto ciò, ovviamente, la squadra continua a  non essere competitiva e non lo sarà per il quarto anno di fila, guidata da un tecnico che non sopporta nessuno e che non dice mai niente di “interista”. Uno che ha convocato una conferenza stampa a fine campionato per snocciolare nuovamente i soliti concetti banali ripetuti per tutto l’anno, uno che ha dichiarato con orgoglio che la sua squadra aveva battuto più corner di tutti gli altri. In panchina abbiamo un soggetto mal voluto e in cui nessun interista crede, nella sala dei comandi un quarantenne indonesiano, sconosciuto a tutti fino a 15 mesi fa, che ripete quasi solo la parola “marketing” e invoca pazienza e tempo.

In questo scenario apocalittico, senza più grandi nomi e vecchi campioni, si è deciso un restyling del logo storico a cui è stata tolta la stella, simbolo di successi e gloria. C’è chi se ne mette più del dovuto (prima di abbassare in maniera ridicola il capo) e chi come noi si limita a metterla solo sulle maglie da gioco, come fosse un peso. Ecco, le maglie da gioco, la divisa che per un tifoso è sacra è stata profanata dalla Nike, uno scempio ingiustificabile, una vergogna senza fine.

Ci hanno tolto anche la maglia nerazzurra, le nostre strisce, un segno di riconoscimento per tutti, un legame di appartenenza per chi ha questa squadra nell’anima. In preda a non so quale raptus, la storia è stata bistratta, giocheremo con un bel gessato che per quanto sia elegante non è rappresentativo. Sarà un bella maglia, ma non è quella dell’Inter e io non riesco a tifare per una cosa che non sia nera e azzurra. Davvero. Sono rimasto molto deluso dalla curva che non ha detto nulla, non si è espressa su questo scandalo, un atteggiamento a mio avviso sorprendente. Chi da anni difende e sostiene l’Inter ha incassato il tutto in silenzio. Se anche la Nord si spegne così, ammainando la volontà di conservare un simbolo come quello della divisa siamo veramente al capolinea di tutto.

Non c’è veramente più nulla in grado di legare questa Inter con la storia di quella società famosa di Milano, esistono evoluzioni e cicli, è la vita, è vero, ma il buon senso e il rispetto verso la tradizione sono valori che sembrano sparire in nome di questa accozzaglia sgangherata, lontanissima parente da quel club fondato al ristorante “L’Orologio” nel marzo del 1908.

Sono riusciti nell’impresa titanica e oggettivamente impossibile di non farmi coinvolgere (attualmente) da quella squadra che fa parte della mia vita, quell’Inter (quella nerazzurra e a strisce), che oggi, non esiste più.

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