L’Incubo

Sono cinque anni che tengo questo cartoncino nella tasca della giacca nera. Non l’ho mai tolto. Non so perché, o meglio, non so perché non l’ho buttato subito dopo che mi fu consegnato, di certo so perché negli anni successivi l’ho conservato.

È un promemoria. Mi ricorda quel giorno, quello prima e quello prima ancora. Quel weekend, e tutto quel periodo, quel finale di 2012 e quello che arrivò dopo.

Seduto sui gradini vicino l’Auditorium, mentre parlavo con Francesca, un ragazzo mi consegnò questo invito per Halloween. La scritta “Incubo” sintetizzò alla perfezione il momento, e come spesso capita, in momenti tragici c’è sempre un aspetto bizzarro o involontariamente comico che ti fa ridere. Da qui, di fondo, nasce il detto “ridere per non piangere”.

Tengo questo cartoncino anche se in realtà me lo dimentico ogni volta. Mi torna in mente sempre in questo periodo, quando la giacca nera torna a essere giusta per il periodo e il clima. Dopo il controllo di ordinanza delle tasche, su quella in alto a sinistra trovo sempre questo cimelio e mi ricordo, anche se mi stupisce ogni volta che sia ancora lì. Dopo qualche secondo però, sono “felice” di ritrovarlo.

In quelle settimane, in una e-mail di Alfredo datata 14 novembre lessi:

“Salda il conto intero o tieni in tasca lo scontrino. Non aver paura di tenerti tutto dentro, alla fine è il posto più sicuro in cui custodire le cose preziose”.

Involontariamente questo invito di Halloween è la ricevuta di quel periodo e seguendo il saggio ragazzo di Frascati, l’ho sempre tenuto in tasca, in quella che casualmente, o forse no, è sopra la parte del cuore.

Banale a dirsi, ma indietro di 5 anni non ci tornerei nemmeno sotto tortura, eppure decine di cose mi ci hanno riportato in queste settimane. Non solo il calendario e le ricorrenze, la giacca, il meteo o il cambio dell’ora. L’aria che respiro mi fa ripiombare lì. Anche perché è in fondo la prima volta che mi ritrovo a Roma dopo anni, dal 2012 appunto, e quindi è tutto un ripercorrere. Per quanto sia passata una vita, c’è troppo intorno per non ritornarci con la testa, sarà anche perché ottobre è sempre stato foriero di eventi negativi.

Ripenso infatti al 2005, al 2012, ma anche all’anno successivo e a Cracovia dopo il traumatico secondo inizio irlandese, così come al ritorno in Canada datato proprio 27 ottobre 2015. Certo, per onestà, c’è anche da menzionare quello passato, che ovviamente va in controtendenza con tutti i precedenti, e per quanto sia fresco e recente, si è ritrovato stritolato dagli altri e dal fatto di ritrovarmi a Roma.

A me questo posto non mi fa stare bene, non c’è niente da fare. Mi rende tutto tranne che felice e questa consapevolezza, che si sta facendo strada dentro di me, non mi regala grande serenità.

La grande fase di rigetto che anziché arrestarsi aumenta da quando sono rientrato, sta vivendo la sua fase più acuta ora, anche a causa di una serie di ricorrenze che non possono evocarmi bei ricordi.

Non mi piaceva prima questo posto, mi piace ancora meno oggi. Di fondo, tutto il tempo passato prima di andarmene è stato costellato da momenti non esaltanti, per usare un eufemismo.

Quella è stata la coda e quindi pesa ancora nelle sensazioni e nei ricordi. Da quando sono tornato mi sono realmente goduto tre giorni. Sono state le tre giornate in cui sono stato felice di essere qui: quella a Montalcino e i due matrimoni.

Per il resto, tutto è stato solo motivo di fastidio, soldi spesi, perdite di tempo, totale mancanza di sintonia con il contesto. Se pure avessi idealizzato il ritorno, non penso che questo sia il problema di tale disagio. Non mi dimentico però che a suo modo questo rientro mi ha già insegnato diverse cose, lezioni che se non avessi rimesso piede qua in maniera più o meno stabile non avrei mai appreso.

Se mai la querelle relativa alla casa troverà un suo compimento, se si prenderà il largo da ottobre e dal suo essere evocativo e potrò magari lavorare decentemente, sarò ben felice di rimettermi a posto a livello emotivo, anche se amici con genitori morti e gravemente malati non aiutano.

È strano, ma non casuale, aver scritto l’inizio di questo post con “Rockin’ Chair” di Rod Stewart in sottofondo, a me sembra di essere indietro di anni, e nemmeno pochi a dire il vero. Una ridda di ricorrenze, pensieri, ricordi, tutte quelle cose che ti rendono tetro inevitabilmente e non perché ieri era il 2 novembre.

Mi sembra di essere nella macchina del tempo, e senza voler rinnegare nulla, perché quel cartoncino mi ricorda che c’è stato di peggio, molto peggio, so solo che tutto questo non mi piace affatto e essere lontano da qui mi farebbe stare decisamente meglio.

Ovunque, ma non qui.

Bentornato a Toronto, Matteo. Bentornato!

Di notizie inattese e sorprendenti in senso negativo al 28 di ottobre ne ho le palle piene. Certo, nulla in confronto a tre anni fa, però il fastidio e qualche dubbio mediamente grosso sul futuro mi rimane. Di certo l’impatto con l’ufficio nella saga di “Toronto atto II” poteva andare meglio. E pensare che avevo risolto il problema della casa all’ultimo istante alla grande, che il viaggio in aereo era andato bene anche grazie a un documentario sul buon Ginola e a una bella commedia romantica all’italiana con un fenomenale Neri Marcoré nel ruolo del matto (anche se a me è piaciuta la pazzia di Carola, che cerca il ragazzo morto che di nome fa casualmente Matteo).

Vabbé insomma, nemmeno malaccio era cominciata, poi bum! Sì in pratica ti dicono che vogliono fare di te ben altro o almeno trasformarti mezza giornata dal lunedì al giovedì in un montatore e benissimo non ci sono rimasto.

È strano essere tornato qui, mi sembra tutto normale, è strana appunto questa normalità. Il ritrovarmi a fare delle azioni che mi pare di aver compiuto solo la mattina prima ma la realtà non è proprio così. Intanto in questa ridda di situazioni che si incastrano e si incrociano in un modo talmente perfetto da sembrare assurde, e parlo di dinamiche, date, ricorrenze, eventi, mi è rivenuto in mente che anche il primo giorno del secondo atto dublinese non fu per niente positivo.

Penso pure che Halloween a me continua a non piacere, che nella mia vita succedono cose strane e particolarmente cicliche, e che per un pari con la Roma firmerei subito.

Domani è venerdì, il primo weekend canadese si avvicina, ieri ha piovuto come non avevo mai visto in sei mesi e la prossima settimana mi ricongiungo con la rossocrociata, un evento che mi rende perfino felice. Da Istanbul a Toronto, 22 mesi dopo.

Che cazzo di storia…

Ottobre

Ho aperto il file di Word dei post di ottobre e mi sono reso conto che era ottobre. Ho sbagliato due volte la data del mese da mettere, ho scritto prima settembre, poi aprile, il primo per abitudine, il secondo replicando lo 04 del giorno.

Sì, è ottobre, forse è arrivato troppo in fretta il fresco, quando ti rimetti i calzini e lasci stare i fantasmini, quelli corti, quelli che sanno di estate e raccolgono fra i loro fili ancora un po’ di sabbia.

Ottobre, da quando sono arrivato a Roma non l’ho mai considerato un mese, ma sempre un tunnel, sapevo che mi avrebbe chiuso in una dimensione lavorativa lunga e faticosa prima di slegarmi all’improvviso, intento a chiudere la valigia e riprendere un altro volo intercontinentale. Sarà così ovviamente, lo aveva previsto e capiterà.

Faccio troppe cose nel frattempo, conosco persone, parlo con decine di tizi mai visti che chissà se mai rivedrò, stringo mani, scrivo pezzi, mi muovo come un automa su una specie di binario che gira attorno al luogo sacro per eccellenza. Intervisto, carico video, guardo, controllo, mi rivedo. Prendo la metro e la distanza da coprire viene quasi inghiottita, forse è l’unico momento in cui mi rilasso, e penso.

Ho capito una cosa importante ultimamente, non mi riesco più spiegare. Ho provato a dare una interpretazione a tutto questo ma la risposta esatta, come spesso capita, non ce l’ho. Non mi sento capito spesso, sempre di più e come non mai, forse perché non mi riesco a spiegare come vorrei. Appunto.

Non so perché, magari ho confusione in testa ma non è così, forse uso termini sbagliati, forse sono solamente molto ripetitivo e confondo le persone, probabilmente non dico tutto e dò per scontato degli aspetti, o semplicemente i miei interlocutori non mi capiscono fino e fondo e la colpa non posso nemmeno dargliela del tutto.

Ho capito di non saper tirare fuori dei concetti e questo mi sta allontanando, non sa da chi o da cosa ma ogni volta che non riesco ad “arrivare” ci rimango sempre un po’ male, credo sia la conseguenza di chi vive di parole, dette o scritte. Penso a ottobre e penso che è ancora il 2015, incredibile, impensabile, non può essere che tutto quello che è successo finora, questo anno lungo, intenso e ovviamente stancante, sia un unico anno.

Ma poi penso che è ottobre e per me ottobre è solo uno, per me è quello del 2012 e non mi stupisco se il mio primo giorno a Toronto nuovamente sarà il 28. Stranezze, coincidenze, tutto dentro per complicare ogni cosa, come sempre, come ogni volta stra-maledetta.

Mi sono chiesto cosa mi piacerebbe fare, non ho saputo rispondermi e probabilmente questo la dice lunga. Ci ho pensato ma niente, così. È così. Ieri poi ho tirato fuori una borsa della Lacoste dall’armadio e dentro ho ritrovato due fogli, una scaletta del programma.

Sta dentro la borsa dal 18 luglio del 2012, così recita la data. Mi è venuto in mente cosa vorrei fare a quel punto: salire in macchina alle 13.30 di un giorno qualunque d’estate e farmi un bel pezzo di Raccordo. Non guadagnare una lira, rimetterci i soldi della benzina ma vivere un profondo senso di ottimismo e leggerezza, con la rara e a me sconosciuta convinzione che le cose andranno bene.

Bene, certo, perché in 2, ogni tanto, è anche più facile.

L’estate in ritardo. Gabriele. La mia maglia.

Attesa e rinviata, sospirata e quasi inutile, la coda estiva alla fine è arrivata. È stato un ottobre magnifico, che per certi versi rientra nella leggenda delle famose “ottobrate romane” di cui genitori e nonni spesso si riempiono la bocca raccontando di come in altri periodi questo mese, in questa città, fosse davvero caldo. Dopo un’estate che è trascorsa fra vento e nuvole, con gli ombrelli aperti e gli ombrelloni appoggiati al muro quasi in castigo, settembre aveva illuso prima di proseguire sulla falsa riga dei mesi precedenti. L’ondata di caldo c’è stata, il problema è che arrivata con scuole aperte e uffici a pieno regime, con le giornata più corte e la luce che si consuma del tutto alle 18.30. In fondo, è stata la beffa finale, il ritardo che ti infastidisce anche se a memoria non ricordo di essere mai uscito da casa in tenuta prettamente estiva (polo e pantaloncini) al 21 di ottobre e l’esperienza ha avuto un qualcosa di piacevole e stravagante. Il freddo sta per arrivare, avremo ovviamente la classica escursione termica, passeremo da t-shirt a giacche pesanti, con il cambio dell’ora che incombe, novembre vicino e le castagne che non si trovano.

 

Inevitabilmente di questo periodo semi-estivo ne ha goduto il mio fidato amico di ritorno dalla Cina. Per giorni l’ho avvisato che il clima era simile a quello delle Baleari ma lui ha comunque deciso di portarsi dietro tutta roba fuori stagione, felpe e maglioni di cotone, capi assolutamente impossibili da indossare anche di sera. Ha superato già la metà del suo soggiorno italiano, altri dieci giorni e poi farà nuovamente le valigie ma fra i tanti impegni, le numerose richieste di incontri e uscite, in qualche modo siamo riusciti a ritagliarci finora uno spazio importante. Tre volte ci siamo visti e in tutte le occasioni il tempo trascorso insieme è volato, in particolare il primo giorno, dalle 15 alle 24, senza pause, un assaggio condito da mille cose. Abbiamo replicato venerdì e sabato, sforando comodamente le tre di notte, come in passato, quando il “Ti riporto a casa” era il preludio alla chiacchierata finale, quella più ricca, la coda che suggellava tutto e si rimaneva in macchina a discutere nuovamente. È successo e non ho nemmeno avuto tempo di godermi questo sapore antico, in fondo mi è sembrato quasi tutto normale, come se fosse ieri, come se l’ultima volta non fosse stata 21 mesi prima. Parte di me vuole passare del tempo con lui, un’altra parte è restia perché creare una sistematicità di incontri in rapida successione potrebbe darmi un vago senso di abitudine che però non posso e non devo prendere sul serio. Fra dieci giorni sarà tutto un ricordo e per questo motivo mi tornerà in mente che quando era più o meno “stabile” a qualche km da casa mia, ero una persona più felice e serena, rincuorato dal fatto che mi sarei potuto rivolgere a lui immediatamente.

 

(Parentesi personale) Qualche giorno fa ho comprato su Ebay una maglietta dell’Inter anno 1993-94, sponsor Fiorucci, firmata Umbro. Ho concluso l’affare ad un prezzo molto vantaggioso e questa divisa va a impreziosire la mia collezione ultra ventennale, ma soprattutto è la mia personale risposta allo schifo con cui la mia squadra deve giocare quest’anno. Gli ottanta euro che pago ogni anno per la maglia dell’Inter per questa stagione li spendo così, comprando altre maglie dell’Inter, quelle vere, quelle con i colori giusti, quelle della storia e della tradizione, quelle che mi scaldano il cuore e mi ricordano quando la domenica era bella o brutta in base al risultato della partita. Il pigiama gessato nero e celeste lo comprate voi, io no.

fiouytv