Il 2 ottobre 2006: il mio primo giorno

Mi alzai presto dopo una notte tutto sommato tranquilla, feci colazione guardando costantemente l’orologio e poi mi preparai. Jeans scuri, Shox ai piedi e polo celeste della Nike, quella che con il tempo sarebbe diventata la maglia degli esami di Storia della Lingua Italiana, oltre al mio zaino della Invicta d’ordinanza. Ricordo l’emozione ma anche la consapevolezza, la certezza di andare incontro a qualcosa di importante, qualcosa che mi avrebbe cambiato la vita, almeno per 5-6 anni.

Presi l’autobus ad una fermata che giorni dopo ribattezzai “scomoda” scegliendo un percorso diverso e andai verso la facoltà. Giunsi in tempo, la prima lezione era alle ore 11: Letteratura Italiana con la Prof.ssa Lardo in T12A, l’Aula Rossa. La prima persona a cui rivolsi parola fu Francesca, matricola come me, personaggio tante volte sparito e poi riapparso all’Università negli anni successivi. Un’ora di spiegazioni, dettagli ed informazioni, alle 12 uscimmo tutti per andare alla lezione successiva quella che si teneva all’aula affianco: Geografia. Eravamo un blocco unico, tutte le matricole avevano le stesse lezioni e quindi gli stessi impegni. Prima di entrare in T12B Alfredo mi aprì la porta, entrammo insieme e prendemmo posto in seconda fila. Davanti a noi, da bravi secchioni, un tipo con gli occhiali ed il cappello dell’Italia ed un altro ragazzone: David, il ragazzo di Fiuggi ed Edoardo l’Ariete di Nemi. Fraternizzammo rapidamente, la lezione saltò e tornai a casa per pranzo. Alle 15 mi imbarcai di nuovo verso la facoltà per il seminario di Geografia, ma anche quello in realtà sarebbe iniziato la settimana successiva.

Ricordo il banchetto provvisorio dell’Orientamento davanti la segreteria per l’accoglienza e quella frase che mi è rimasta in testa per anni: “C’è sempre un nuovo inizio”.

Fu un impatto affascinante, nonostante le lezioni saltate, scambiai qualche battuta con diversi ragazzi spaesati come me ed ebbi la convinzione che mi sarei divertito, sarebbe stata una bella storia, migliore di quella del liceo.

Sei anni dopo ripenso a tutto ciò con piacere, con il cuore. L’esperienza più bella, dico questo perché dubito che in futuro mi ritroverò in posto per sei anni, vicino casa, sempre straordinariamente a mio agio, raccogliendo ottimi risultati e stringendo amicizie vere.

Non avrei potuto chiedere di meglio e se torno indietro con la memoria non c’è una cosa che non rifarei.

 

 

Ieri sono passato all’università ed era il primo giorno di lezioni: tante matricole, quelle che riconosci dallo sguardo, hanno trovato un bar nuovo ed una facoltà meno efficiente di quella in cui mi sono imbattuto io nell’ottobre 2006. Gli invidio l’età anagrafica e gli auguro di vivere la metà dei brividi, delle emozioni e degli attimi che ho provato io, se il destino sarà così benevolo anche con loro, saranno ragazzi fortunati.

 

In bocca al lupo.

Pezzi di carta

Ho un piccolo cassetto nel salone, un cassetto sotto un mobile che di fondo serve per tenere una cornice ed un altro oggetto. Ieri, all’improvviso, ho voluto aprire questo cassetto, un gesto che non facevo da anni perché lì dentro non c’è nulla ma soprattutto perché è scomodo da aprire, quando lo tiri verso di te, c’è un punto in cui si blocca quasi del tutto. Senza ragioni specifiche mi sono intestardito nella mia azione e alla fine ho aperto il cassetto scovando dentro un ricordo d’infanzia.

Ho rinvenuto dei pezzi di carta, delle sagome a forma di calciatori in divisa rosso blù, un flash inatteso che mi ha riportato a più di 15 anni fa. Mentre prendevo un giocatore per volta e leggevo i nomi dietro le loro maglie, sono riaffiorati dei frammenti di memoria, di attimi trascorsi fra la spensieratezza ed il divertimento. Essere figlio unico, per me, è stata una cosa molto importante, ho imparato a giocare con niente, a passare il tempo con la fantasia. Il fatto di non avere dei fratelli o dei cugini della mia età ha permesso che il mio ingegno si affinasse, che la mia curiosità trovasse sbocchi insoliti. Tuttora penso che questi aspetti siano stati formativi, se anche oggi quando sto per conto mio non mi annoio mai, è una conseguenza di certe situazioni del passato.

Ho ritrovato così questa fantomatica squadra: 12 giocatori, i titolari più il portiere di riserva e l’ho voluta rivedere anche disposta in campo. L’avevo inventata e disegnata per giocarci sul pavimento di casa di mia nonna, dei pezzi di carta che avrebbero affrontato qualche altro fantasioso avversario vincendo sicuramente, dopo aver trasformato le zampe del mobile nei pali di una porta immaginaria.

Ho sempre avuto fantasia e l’indole di arrangiarmi, di divertirmi anche con poco, se poi riuscivo ad inserire il calcio in qualche modo, il risultato sarebbe stato certamente assicurato.

Detto questo, vi elenco i miei 11 eroi disegnati su carta a quadretti:

1 Roter, 2 Billy (ispirato al soprannome di Costacurta), 3 Frasisco (terzino biondo sudamericano, simile a Alessandro Orlando), 4 Giulian (il perno della squadra, nome ispirato a Giulian Ross il fenomeno malato di Holly e Benji), 5 Tiraivk, 6 Olbik (disegnato da mio padre),  7 Fuding (il sosia di Alessio Pirri, tornante della Cremonese 94-95), 8 Izzij (disegnato da mio padre, un nome impossibile da decifrare per le origini), 9 Bulganiz (l’idolo della squadra, il bomber fenomenale, un po’ Alan Sutter come aspetto estetico), 10 Frish (la fantasia al potere, il clone di Zola), 11 Bichlel (attaccante giovane giunto dall’Est). Portiere di riserva il numero 12 Stilik (nome ispirato a Stielike, difensore arcigno della Germania Ovest anni 80’).

Questi erano i giocatori, passandoli in rassegna ieri ho ricordato le loro storie immediatamente, come se ci avessi giocato la sera precedente, prima di metterli nel cassetto per quasi due decenni.

 

ricordi, infanzia, calcio, memoria