31 agosto 1997

Ieri pomeriggio mentre ero intento a scrivere un articolo sulla imminente canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, mi è tornata in mente la sua morte avvenuta il 5 settembre del 1997.

Ricordo molto bene quella settimana, ed il fatto che oggi sia 31 agosto mi riporta alla memoria questa data di 19 anni fa. Era una domenica di fine estate e ci svegliammo con il dramma avvenuto la notte prima a Parigi con la morte di Lady Diana. Ricordo questo senso di sgomento e di profonda tristezza per la tragica fine di un personaggio così popolare ed amato.

Quella domenica andai a Torvaianica con i miei genitori, posto che per la prima volta dopo sette anni di fila non ci aveva visti presenti a giugno con la casa affittata a Via Rumenia. Poco dopo essere arrivati in spiaggia, con mio padre andammo a comprare il giornale alla solita edicola ed in seguito allungammo un attimo la camminata per raggiungere Celori e comprare qualcosa per il pranzo. Non credo che il Messaggero titolasse qualcosa sulla morte di Diana, il dramma era avvenuto troppo tardi e il giornale era già in stampa presumo. Rimane il fatto che quella domenica di fine agosto la ricordo così: calda e triste, ma di una tristezza che per quanto non mi toccasse nel profondo, potevo constatare in giro. Anche a 10 anni un bambino riesce a percepire quando qualcosa di grande sta succedendo, o quanto meno quando c’è un evento insolito che catalizza l’attenzione in modo diverso.

La parte finale di quella domenica mi rimase impressa per tutt’altro però. Tornammo a casa mentre la prima giornata di Serie A era in corso e l’Inter, con Ronaldo all’esordio, era sotto a San Siro per 1-0 contro il Brescia per un gol di Darione Hubner. Un minuto prima di passare in svantaggio era entrato al posto di Ganz un giovane uruguaiano che nel giro di pochi minuti ribaltò tutto in maniera clamorosa con due autentiche bombe di sinistro. Di quel piede mancino ce ne saremmo innamorati poi in modo incurabile per il decennio successivo, e in quel pomeriggio dall’atmosfera cupa, scoprii il “Chino” Recoba e le sue uniche capacità balistiche, talmente grandi che offuscarono l’esordio di Ronaldo.

Madre Teresa passò a miglior vita il 5 settembre, pochi giorni dopo Diana, e il mondo nuovamente fu colpito dalla morte di un personaggio tanto grande ed importante. Non ricordo infatti altre settimane in cui due figure così note ed apprezzate se ne andarono in rapida successione.

Il giorno dopo la morte di Madre Teresa ci furono i funerali di Lady D e ho chiaramente stampata nella mia memoria bene la canzone di Elton John “Candle in the wind” riadattata per la Principessa di Galles nella sua straziante melodia.

A me il 31 agosto ha sempre messo profonda tristezza. Una sorta di update delle sensazioni già raccontate in precedenza per Ferragosto, ma nella mia mente di bambino credo che quel 31 agosto del 1997 abbia indubbiamente aiutato molto a creare in me questo senso di malinconia.

Vincenzo Paparelli

Hanno messo uno striscione stanotte, lo hanno appeso su un muro che si allunga sotto casa mia per ricordare chi non c’è più perché se ne è andato in modo inspiegabile. Questa mattina, mentre mi dirigevo verso la macchina, l’ho letto, ma in fondo non mi ha ricordato nulla perché già mi era venuto in mente, già ci avevo pensato. Oggi è San Simone, è 28 ottobre e quindi anche l’anniversario di Vincenzo Paparelli, tifoso laziale ucciso una domenica di 32 anni fa durante un derby Roma-Lazio. L’aspetto più assurdo dell’uccisione di quest’uomo rimane il modo, drammatico, crudo, violento e soprattutto inatteso. Paparelli è morto in un attimo, mentre mangiava un panino seduto sui gradoni della Curva Nord in attesa che iniziasse la partita, vicino a sua moglie. Paparelli è morto per un razzo che gli si è conficcato in un occhio, un razzo sparato da oltre 150 metri, dalla curva dei tifosi romanisti. Soltanto pochi minuti prima aveva visto due razzi volare, due traiettorie strane e imprevedibili che avevano terminato la loro pericolosa corsa lontano, addirittura all’esterno dello stadio. Testimone dei suoi carnefici era ignaro che poco dopo un terzo razzo lo avrebbe ucciso strappandolo per sempre ai suoi cari, ad una partita, ma non dalla memoria di chi lo ricorda dopo oltre trent’anni. La scia del razzo sparato termina sul volto di Paparelli, una maschera di sangue, un momento di silenzio e poi una disperata corsa verso l’ospedale Santo Spirito dove l’uomo giungerà già privo di vita. Cala il gelo sullo stadio e su una partita maledetta che viene fatta disputare lo stesso per evitare ulteriori incidenti, una giustificazione drammatica che verrà utilizzata anche nella tragica notte dell’Heysel sei anni più tardi. In Italia è il primo caso di morto ammazzato durante un incontro di calcio, la caccia all’assassino parte immediatamente, dopo una breve indagine, viene indicato in Giovanni Fiorillo l’autore materiale del gesto criminale. Fiorillo ha 18 anni ed è un pittore edile disoccupato. Già la sera dell’omicidio si dà alla latitanza fuggendo senza una meta ben precisa in giro per l’Italia riuscendo anche ad espatriare in Svizzera. Dopo quattordici mesi si costituisce e nel 1987 viene condannato dalla Cassazione a sei anni e dieci mesi di reclusione per omicidio preterintenzionale. Muore pochi anni dopo a causa di un male incurabile. Sono passati trentadue anni ormai ma il ricordo di Vincenzo Paparelli non si è affievolito, soprattutto nei tifosi laziali i quali lo ricordano sempre con affetto e dolore. È trascorso molto tempo, non ho vissuto quella giornata ma ogni 28 ottobre il mio pensiero vola a Vincenzo, morto prima di una partita di calcio per colpa di un razzo nautico per segnalazioni luminose sparato da 150 metri.

 

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Raccontare la morte

Un filo spezzato, un percorso interrotto drammaticamente una domenica di autunno in un luogo lontano da casa, in un altro continente. È finita al secondo giro di un Gp inutile la vita di Marco Simoncelli, una fatalità micidiale che ha fatto calare il gelo nel caldo circuito della Malesia e il silenzio in chissà quante case che si erano da poco ravvivate con le prime luci di una domenica come tante altre. Piangere un ragazzo di 24 anni è qualcosa di impensabile, piangerlo per un incidente durante una gara ti fa pensare e riflettere sul destino ed inevitabilmente sulla vita. È stato un risveglio inatteso per tutti, anche per il sottoscritto che mentre faceva colazione si era sintonizzato su Italia 1 per assistere alla gara, un po’ per svegliarmi del tutto, un po’ perché non c’erano alternative interessanti. Ho visto l’incidente, ho capito fin da subito la gravità dell’avvenuto, soprattutto quando ho visto il casco volare, un pessimo segnale, un tristissimo indizio. La gara è stata posticipata una volta, e poi un’altra fino alla cancellazione finale, un altro presagio che si incastrava perfettamente in un quadro tragico. Ho pensato al peggio, fin dall’inizio. Le notizie che circolavano parlavano di un Simoncelli giunto all’ospedale già con un arresto cardio-respiratorio in corso da tempo ed un segno evidente e maledettamente vistoso sul collo.  Ho visto il padre scuotere la testa, la ragazza piangere, ho capito che il disegno più sconvolgente si stava compiendo. Seguendo la diretta ho apprezzato moltissimo il modo in cui è stato raccontato il fatto, Guido Meda è stato impeccabile, nessuna “notizia di corridoio” ma solo certezze, meglio un punto interrogativo pesante che una mezza frase, nessuna illusione. Ho provato a immaginare cosa si potesse provare in momenti del genere, quando devi raccontare un evento sportivo, quando devi fare il tuo lavoro e ti ritrovi a parlare di morte e di qualcosa che riguarda una persona che conosci perfettamente. Per questo ragioni ho apprezzato l’umanità di Meda, la sua voce con il magone e quei silenzi di attesa. Ho ammirato il suo lavoro e quello degli inviati, soprattutto di Paolo Beltramo che conosceva benissimo Simoncelli e che nonostante la palese paura ha fatto tutto il possibile con dignità e serietà. Il lavoro è una cosa, gli affetti, le conoscenze e i drammi sono su un altro livello, quando queste strade si incrociano il risultato è sempre strano. Ieri tutti si sono distinti, malgrado le scuse sulla loro professionalità che in quei momenti stava lasciando spazio al dolore e al timore. Prima di essere giornalisti e cronisti sono uomini, persone come noi e hanno fatto un gran lavoro, io amo quel tipo di giornalismo, quello di persone che vivono il loro mestiere con il cuore e con passione e anche in situazioni estreme come ieri hanno dimostrato di essere grandi uomini, gente con una tale dignità che non può non essere ammirata.   

Tristezza per favore vai via

È stata una settimana un po’ così e quando dico così forse non lo so nemmeno io cosa intendo, di certo sono stati sette giorni tutt’altro che felici e sereni perché sono stati segnati dalla tristezza in diversi modi. Una morte ed un conseguente funerale all’improvviso, senza quasi che nessuno di noi si accorgesse veramente della realtà. Ci ha lasciati prematuramente una nostra amica di famiglia, a 51 anni se ne è andata un venerdì sera senza preavvisi, di botto, come uno sparo in una notte di primavera silenziosa e uguale a molte altre fin qui vissute. È stato un finesettimana caratterizzato dall’incredulità e dallo shock derivato da questa tragedia vera e propria che ti lascia con molte poche parole e mille dubbi sull’instabilità della vita. Il sabato del derby ha preso inevitabilmente dei contorni diversi, meno marcati ed uno spirito ovviamente coinvolto a metà. In quattro giorni abbiamo buttato via un paio di mesi a grandi livelli e un’impresa storica a Monaco. Due partite per essere sbaragliati totalmente, senza pietà e con tanto rammarico dinnanzi ad una resa clamorosa tanto quanto inattesa. L’entusiasmo di sabato pomeriggio è svanito in breve tempo, tutto finito, fuori dall’Europa e con il campionato appeso ad un filo e sempre più lontano, i due bersagli grossi questa volta sono stati mancati in modo assurdo perché a mio parere abbiamo gettato via delle opportunità clamorose che diventeranno a breve degli enormi rimorsi. A tutto ciò devo dire che l’allarme per il mio ginocchio ormai è ad altissimi livelli, dopo 40 giorni di riposo sono andato a correre e ho avvertito nuovamente l’immancabile dolore che la prossima settimana mi condurrà in uno studio medico per una visita un po’ più accurata, perché è evidente come la cosa stia prendendo dei contorni un po’ più seri dopo tutto questo tempo. Oggi intanto la prima delle 126378 tesine da fare è stata consegnata e discussa, era la più facile ma anche quella che contava di meno, l’importante era fare una buona figura, a tutto il resto ci penserò da questo week-end. Ieri finalmente abbiamo vissuto il primo brivido di questo semestre, all’improvviso, al termine di una lezione, abbiamo incontrato Federica che era in fila in segreteria per consegnare nuovamente i documenti della tesi che stavolta pare ormai certa, il 31 maggio anche lei taglierà questo traguardo. Sono stato contento di questo incontro inaspettato e le auguro che a questo giro tutto possa andare bene, mi sembra il minimo dopo che ci ha regalato finalmente il primo mezzo grande brivido.

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(A proposito di derby, ecco qua svelata la coreografia del milan. Mi sembrava una trovata troppo originale considerando gli artefici, era evidente come non potesse essere farina del loro sacco, sono pur sempre milanisti e vanno in giro ad attingere dagli altri, stavolta dai rumeni della Dinamo Bucarest. Grandi.)

 

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