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Qualunque tifoso del mondo vi dirà che la propria squadra è unica e speciale, lo so e li conosco, poi però ci siamo noi, una categoria a parte, noi tifosi interisti, che sosteniamo lo stesso concetto, ovvio, ma lo facciamo con una convinzione diversa, impareggiabile.

Sì, perché noi tifiamo ad esempio per una squadra ritenuta all’unanimità Pazza, un qualcosa che è intriso nel DNA di questa formazione, una peculiarità che perdura e che resiste nonostante gli anni e i cambiamenti.

Tifare per qualcosa che è considerato pazzo ti fa capire quello a cui andrai incontro, perché sai che che ogni volta succederà di tutto, perché l’Inter è capace di tutto e quindi “Never a dull moment” come cantava Rod Stewart.

Ci sono tante citazioni e tanta letteratura sull’Inter, altro evidente simbolo di diversità, ma quella del presidente Massimo Moratti: “L’Inter è un sentimento” a mio avviso è la più bella ed autentica. Sì perché i sentimenti non si spiegano e fra le poche certezze che abbiamo in questo mondo una è proprio quella che al cuor non si comanda. E noi, inspiegabilmente ed acriticamente amiamo l’Inter.

Erano una quarantina quel lunedì sera al ristorante L’Orologio, in pieno centro a Milano, e oggi, siamo milioni, ovunque nel mondo, perché “Noi siamo fratelli del mondo” tanto per citare un’altra celebre frase. L’Inter è una fantastica donna, io l’ho sempre immaginata così, quelle donne però che non ti danno punti di riferimento, che cambiano idea, quelle di cui non puoi fidarti, belle, dannatamente belle ed attraenti ma volubili e vulnerabili, quelle che ti fanno girare la testa e ti tengono per le palle, quelle che in fondo non puoi fare a meno di amare.

Non condivido mai quando paragonano le fedi, si tende a farlo ad esempio fra quella sportiva e quella religiosa. Beh, mi dispiace, ma non è così. Pregando qualunque Dio non vivi l’angoscia del derby il giorno prima, non senti certe emozioni e nemmeno ti ritrovi nello psicodramma del lunedì dopo una sconfitta pesante con il tuo collega pronto a prenderti in giro senza pietà. La fede sportiva richiede molta più fede, perché quest’ultima è messa molto più a dura prova. In qualunque paese civile, professare la propria fede religiosa non comporta nessun problema, e se non scendiamo in casi limiti e disperati, è evidente come tifare sia molto più una questione di fede che pregare. Perché se retrocedi a maggio ma a giugno sei davanti allo sportello per rinnovare il tuo abbonamento, tu sei più che un fedele, sei un martire, e non puoi paragonarti a chi va la domenica a messa, prega e dice il rosario.

Sarei stato molto più sereno se non avessi tifato per l’Inter, avrei avuto molto più tempo libero, mi sarei divertito molto di più, mi sarei incazzato molto meno e da bambino non avrei pianto così tanto. Eppure, in serate come quella di Madrid, dopo il fischio finale di Webb, pensi che ne è valsa la pena soffrire così tanto per assaporare una gioia del genere. Spiegarla è impossibile e ripenso al messaggio di Alfredo, al fatto che si debba stare alla larga da chi pensa che il calcio siano 22 persone in mutande che corrono dietro ad un pallone, o a quelli che ti chiedono perché prendersela così tanto, nemmeno te ne venisse qualcosa in tasca. Questa è la frase che detesto sopra ogni cosa, e credo che chi pensa questo contribuisca a rendere questo mondo più piatto e grigio, valutando tutto su un discorso di soldi e guadagni, ma non di emozioni e sentimenti.

Ho migliaia di ricordi legati all’Inter, e mi ricordo tante cose proprio perché le collego a certe partite e ad alcuni momenti. Ho seguito l’Inter dovunque, fino ad arrivare dall’altra parte del mondo da solo anni fa per l’Intercontinentale e se non è amore questo come vogliamo chiamarlo? Forse pazzia che spesso è sinonimo di amore, ma soprattutto un termine che ci riporta ad un concetto iniziale.

Sarei credo una persona diversa se non tifassi per l’Inter, una scelta che a suo tempo non immaginavo cosa comportasse, di fondo fu la mia prima scelta di vita e paradossalmente una delle più importanti, e sì, perché per assurdo la prima cosa che scegliamo da bambini, quando non abbiamo percezione di nulla ancora, è l’unica che poi ci accompagnerà nella vita, per sempre, e che non cambieremo mai più.

E meno male che quella sera di agosto del 1993 a mio papà è venuta voglia di accompagnarmi allo stadio a vedere l’Inter, ma soprattutto, per fortuna che non mi ha mai riportato a casa.

Con i colori del cielo e della notte, infinito amore, eterna squadra mia.

Auguri