Un sacco di cose. Random.

Sono rimasto indietro e lo so bene. A volte mi verrebbe quasi da scusarmi con il blog per essere stato lontano o per non aver marchiato magari una data speciale, come quella recente del 6 marzo, giorno del mio compleanno. In tutto questo però, c’è una vittoria.

Un successo che affronta la pigrizia ed un concetto che per anni ho teorizzato: più non aggiorni, più rinvii e lasci stare, e più poi potresti essere attanagliato dall’angoscia del non sapere da dove cominciare quando vuoi parlare, con il rischio di desistere nuovamente. Ho diverse considerazioni da srotolare ma trovare un senso a tutto è impossibile e quindi vado, un po’ a caso, randomico e riallaccio il filo del discorso.

Cinque anni dopo siamo tornati a votare per il nostro governo e non mi volevano far votare per una svista al seggio. Un errore sciocco, che perdoniamo e che mi ha fatto tornare ai tempi di scuola. Sul registro degli elettori, affianco al mio nome, c’erano già firme e dati, se non fosse che tutte queste informazioni riguardavano mio padre, il quale sull’elenco risulta sopra di me. Dopo momenti concitati, e chiarito il disguido con tanto di domanda che ci ha proiettati nel mondo surreale – “Ma lei è sicuro che questo signore è suo padre?” – ho votato.

A quel punto, dopo aver inserito la schede – anche quella per il Senato – nonostante per tutti i presenti al seggio non potessi essere un over 25 – ho ritirato i miei documenti, mentre sul registro una meravigliosa doppia freccia invertiva di fatto i nomi e i dettagli del sottoscritto con quelli di mio padre. Come si direbbe a Roma, una pecionata in piena regola.

Un po’ come quando a scuola mettevi la freccetta con tanto di dicitura “segue” per far capire al professore di turno che lo svolgimento del compito proseguiva altrove.

Abbiamo votato e anche stavolta nessuno ha vinto. Vinto inteso come successo che ti permette di governare. Via così a consultazioni, impicci, previsioni, lotte e altre sfide dialettiche, un po’ quello che ci attendevamo. Renzi ha perso, il M5S ha trionfato come partito, Salvini ha fatto lo storico sorpasso e ora vediamo quale altra acrobazia bisognerà trovare per formare un governuccio.

Sullo sfondo delle elezioni, c’è stata la morte del povero Astori e una fastidiosa retorica del mondo pallonaro, conosciuto oltretutto come uno degli universi più sporchi, forse anche più della politica. Il derby è così saltato, io invece sono tornato a visitare il Colosseo dopo quasi sei anni mentre ho perso il calcolo dell’ultima volta in cui ero stato anche a passaggio dentro il Foro.

In tutto questo, per un bizzarro e fastidioso scherzo del destino, sto vivendo il mio personale inverno canadese fuori dal Canada.  Forse a molti è sfuggito, ma l’ultima giornata di sole, degna di essere chiamata così, è datata venerdì 16 febbraio, il giorno della mia passeggiata a Villa Pamphilj.

Pioggia in stile dublinese, freddo in salsa torontiana, e neve che dopo sei anni esatti è tornata a imbiancare la città, per la gioia di molti ed il mio profondo fastidio.

Dicono che sia tutta colpa dello stratwarming, uno strano fenomeno che capita ogni tanto, l’ultima volta nel 1985 e quella precedente nel lontano 1963. Resta il fatto che la mia antipatia per la pioggia non è solo roba da metereopatici di bassa lega, visto che a me impone cambi di programma e di registrazione importanti, con soluzioni di ripiego e qualità della luce sempre lontana da ciò che desidero. Questo interminabile maltempo mi perseguita e ripenso a quando lo scorso anno dicevo ripetutamente “A se fossimo a Roma…” Ecco, siamo qui e il risultato è tale che qualcuno potrebbe dire che ho sempre inventato tutto o esagerato ampiamente.

Qui si sono intanto festeggiati due compleanni e il fatto di averli celebrati insieme, a distanza di un anno e in un altro continente, è un risultato vero. Questo avevo sperato lo scorso sei marzo mentre soffiavo sulla candeline e questo è ciò che accaduto con buona pace nostra ed una gioia mista a soddisfazione per avercela fatta malgrado tutto.

Non mi pesavano i 30, non mi pesano ora i 31. Mi dispiace per quelli che provano ancora a mettermi pressione o angosce varie. So bene che il mio 30esimo anno l’ho impiegato e vissuto come meglio non potevo. Fra progetti, traslochi intercontinentali, ricerche di casa, traslochi cittadini, viaggi intercontinentali non previsti come vacanze, investimenti emotivi, economici, impegni seri e condivisione di tutto da un giorno all’altra, di più non potevo.

Di roba ce ne è stata e quindi diventa complicato, se non impossibile, lamentarsi del tempo che è trascorso se sai di averlo utilizzato nel modo migliore. I 31 saranno chiaramente diversi. Certi percorsi iniziati devono ora maturare, e per quanto un inizio abbia sempre un grande fascino, è anche vero che poi è bello mettersi all’opera e dare seguito a ciò che si è cominciato, come il mio ritorno a Roma e le mille cose che ha racchiuso.

C’è stato spazio nel frattempo anche per una polemica a distanza con la vicina di casa e lo scontro crudele con la burocrazia italiana, con la Polizia e quel modo tutto nostro di essere superficiali, impreparati, incompetenti, spocchiosi, velenosi, antipatici, lavativi, sciocchi e menefreghisti.

Due situazioni che mi hanno regalato un profilo nuovo di ciò che è questo paese, aspetti però su cui mi voglio concentrare meglio in un post a parte…

Little Britain

“Nobody knows the way it is gonna be” cantavano gli Oasis in Stand by me nel 1997, singolo del loro terzo album che dava seguito ai precedenti due capolavori, due emblemi della Cool Britannia di metà Anni 90. Il 1997 appunto, l’anno della fine del dominio quasi ventennale Tory con il conseguente insediamento di Tony Blair alla guida del paese.

Era una Gran Bretagna pop, giovane e ruggente, che aveva appena ospitato gli Europei del 1996, una realtà che tornava a guidare le fantasie dei giovani, una replica contemporanea di quella degli Anni 60, quella del “You have never had it so good” del primo ministro Harold MacMillan, frase pronunciata nel luglio del 1957 mentre l’antica Albione cavalcava il primo boom post seconda guerra mondiale.

Ci sono molte analogie fra quelle due epoche, due squarci Brit a distanza di 30 anni, due istantanee che parlano di una Gran Bretagna che nel frattempo è cambiata, evoluta, che si è mescolata nel nuovo millennio, ma che da alcune ore però è fuori dall’Unione Europea.

L’esito del referendum sorprende ma ci racconta tante cose. Ad esempio tutte le previsioni di voto sono state rispettate: Londra e la sua area circostante hanno votato per rimanere, le due roccaforti laburiste come Manchester e Liverpool hanno scelto remain, così come la Scozia che compatta in modo quasi surreale ha chiesto di non uscire. Tutto ruotava intorno alle campagne, alla gente che vive lì, lontana dai grandi centri, a quanto questa fetta di popolo avrebbe votato compatta il leave. Loro hanno spostato la bilancia dando un colpo decisivo all’esito finale.

Molti sostengono che anziani, gente con problemi di lavoro, nazionalisti e persone senza nulla da perdere abbiano composto il fronte del leave e in ciascuna di queste categorie si ritrova facilmente il motivo del voler abbandonare l’unione. Chi ricorda la GBR prima del 1973 e dell’ingresso nella CEE, chi spinto da un sentimento distorto di patriottismo, chi sostiene che il Regno Unito fuori possa portare dei benefici ai britannici stessi. Posizioni rispettabili ma indubbiamente miopi. E sì, perché ora l’attenzione si sposta su quello che sarà, sull’impatto che questo uragano avrà per l’Inghilterra ed il resto d’Europa.

I britannici non si sono mai sentiti europei, hanno sempre avuto un sentimento contorto verso il continente, da isolani, da gente di mare e scollegata dal resto del mondo. Pirati di natura, commercianti nati, isolati e fieri, dentro l’Europa ma sempre con distacco, sì all’Unione, ma no all’Euro. Compromessi e status speciali, ma soprattutto un equilibrio che non è mai stato veramente solido, supportato da quel sentimento un po’ troppo comune di sentirsi, in fondo, diversi.

Ha vinto la democrazia, questo rimane un dato di fatto. Ha vinto la possibilità di scegliere, di votare. Senza delegare parlamentari o altre persone, ma assumendosi delle responsabilità, senza poter poi rivoltare su qualcun altro le conseguenze, se non magari sul vicino di casa che aveva votato diversamente. Dovrà cambiare qualcosa ora, ma nessuno sa bene cosa e in che termini. Chi si sforza a fornire analisi non può andare troppo in là e chi lo fa a mio avviso non è credibile perché, appunto, “Nobody knows the way it is gonna be”.

La GBR ha scelto, e per quanto sia giusto che siano fuori per un discorso naturale e di sentimenti, la scelta costerà cara, ma intanto nessuna delle 3 squadre ha lasciato l’Europeo ed almeno una raggiungerà sicuramente i quarti.

Ironie della sorte, scherzi e coincidenze in questa estate appena cominciata e con una Union Jack piuttosto scolorita a fare da sfondo.

L’esame di Gara 2

Dopo una sconfitta il vero nemico al secondo esame della sessione non è mai davanti a te: è lì dentro che prova a roderti le sicurezze e a metterti paura. Non esistono alternative oggi, vincere per alimentare le speranze e continuare a crederci, anche perché quando sei con le spalle al muro, puoi soltanto avanzare: dalla T18 è Ciofi-St.della lingua italiana, più di un derby.

 

Fabio Caressa diceva che la vita è circolare così come le nostre esperienze di vita, oggi si è chiuso un altro piccolo cerchio con l’esame numero 42, quello che ha sancito la fine dei miei orali di St.della lingua italiana con un voto che vendica in parte la figuraccia del 3 giugno e mi rilancia in questa sessione. Volevo 30 e me lo sono portato a casa, in 20 giorni ho vissuto due esperienze che non avevo mai fatto in 5 anni di università: rifiutare un voto troppo basso e fare l’esame per primo come è successo oggi. Il 20 giugno del 2007 in P24 facevo il mio primo esame in questa disciplina ed oggi 20 giugno 2011 ho sostenuto l’ultimo, il percorso in questo caso si chiude con una precisione clamorosa e con una votazione importante che testimonia come questo esame sia forse il mio preferito. Sono felice per come è andata, non è durato molto il colloquio, credo di aver meritato il voto e ora la mente è già rivolta a venerdì quando scenderò nuovamente in campo per rimediare al mezzo disastro dell’appello del 3 giugno. Affrontare tutto ciò con un 30 in mano ha un suo valore, partire da un voto del genere dà comunque sicurezza, anche se fra 4 giorni sarà tutta un’altra storia con il triplo delle difficoltà. Sapevo di poter fare un bell’esame, ero molto sicuro e convinto, tranquillizzato da un preparazione che mi aveva dato numerose certezze e quel tipo di serenità che alla fine ha pesato parecchio. Anche Antonio ha conquistato un bel 30, io ho aperto la giornata, lui l’ha chiusa e ha avuto pure l’onore di assaggiare una delle ciliegie del professore regalando l’ultimo brivido a questo lunedì. Gara 2 è già in cassaforte, venerdì si ritorna sul parquet per la terza sfida e sarà di nuovo in trasferta, una partita determinante, quella che potrebbe decidere le sorti della serie e non solo.