Ipse dixit: Alfredo

Stavolta non è come nel 2008, nel senso che quei mesi a Siviglia del nostro amico borghese ebbero un impatto diverso avendo un rapporto meno profondo e stretto, qui invece la storia è cambiata, sono trascorsi anni e la distanza e l’assenza pesano perché il legame è aumentato e allora, mentre è immerso nella faticosa avventura mondiale, concediamogli un meritato tributo con le sue frasi storiche che vengono tirate fuori ripetutamente, per non dire quotidianamente.

 

“Non se finisce mai…”: questa è un marchio di fabbrica, esclamata a fine giugno 2011 mentre con Fabi finivano di sistemare il grazioso appartamento al campus di Tor Vergata in vista di uno dei tanti traslochi. L’onere di essere uomo di mondo è anche questo: spostamenti, cambi, viaggi, pacchi e scatoloni. Lui con dei piatti in mano che si avvicina verso il divano guardando David con questa frase è una immagine storica.

 

“A Catto, ma che ne sai tu…”: siamo davanti ad un tormentone, forse l’ultimo vero tormentone. Frase rivolta al celebre velocipede fiuggino che ormai se la ripete da solo per quanto gli piace, il fatto che la usi come frase su WhatsApp certifica la passione di David per questa esclamazione, a dire il vero lui l’ha anche un po’ modificata e sviluppata con tanto di versione blasfema, rimane il fatto che non è una frase, ma una sentenza.

 

“Ma il Catto dorme con la vestaglia”: una delle mie preferite, preparando il Lettone, mentre armeggiava con un pupazzo ed un cappellino bianco del Real Madrid gli chiesi dove avrebbe dormito David e lui mi rispose spiegandomi il modo più che il posto. L’immagine del nostro amico sotto le coperte con la vestaglia per me è impareggiabile.

 

“Dai Catto, mi racconti un po’ di te, mi parli dei tuoi sogni, dei tuoi progetti”: altra frase cazzara, il bersaglio è sempre lui, evidentemente David lo ispira oltremodo. Siamo sulla piazza di Frascati, è fine luglio del 2010 e dopo una serata allegra passata in compagnia, mentre ci salutiamo, Alfredo abbraccia amichevolmente David e gli chiede di accompagnarlo alla macchina esortandolo a raccontargli qualcosa. Fantastica.

 

“Ma il Catto ha detto tutto ormai”: mano in tasca, l’altra (la destra) che volteggia a mezza altezza con le prima tre dita aperte, posizione stanca, postura discutibile e altra sentenza sul nostro amico, sempre in chiave ironica, certo, però l’obiettivo è lui. Su David non ci “crede” più tanto, lo reputa destinato al tramonto, questa frase lo certifica.

 

“Ma il Catto è pesante…”: questa fa il paio con la precedente, anche se cambia la posizione per dirla, mano sinistra in tasca, l’altra invece passata fra labbra e naso, inspirando, viene mostrato un falso e profondo scoramento, con un po’ di stanchezza, e poi giù ancora con l’ultimo giudizio che a volte si collega anche con un: “Sì, ma è trito ritrito”.

 

“Ma il Ciofi è un esaltato”: Napoli, gennaio scorso, ore 9 del mattino e io vengo bollato così perché non dormo mai e soprattutto perché “la volevo fare partire troppo presto” e di conseguenza vengo invitato a non insistere con un “Dai Mattè, dormiamo ancora un po’”.

 

“Ma la mela stanca”: altra frase celebre pronunciata ad ottobre del 2012. Cena a casa sua, dopo un pizza si comincia a parlare di succhi di frutta, dei gusti di ciascuno di noi e delle varie marche, ma lui, uomo di mondo, e dal palato fino, la chiude così prendendosela con il frutto più celebre nella sua versione green, per Alfredo la mela dopo un po’, come sapore, stanca.

 

“Catto sei terribile…”: Lettone, prime luci del mattino e mentre David si dimena inspiegabilmente, ecco un’altra storica frase, impareggiabile perché detta con il sonno addosso, la bocca impastata e soprattutto le braccia conserte. Un altro classico.

 

“Ma sta lì, con il braccio un po’ così…”: altro tormentone al quale deve essere aggiunto il gesto, quella specie di cigno fatto con il braccio con la dita raggruppate e il movimento del polso. Non è facile da spiegare ma chi sa ha capito. La frase indica chi non prende posizione o chi non si fomenta il giusto, chi tergiversa, cincischia e non si schiera. Ripresa da tutti, spesso vale solo il gesto senza le parole per quanto è ormai simbolica e identificativa.