Il trasloco

Deve aver puntato tutto sul finale, per forza dai. Altrimenti non si spiega. Sì, sto parlando di chi sta scrivendo questo scorcio recente della mia esistenza. Visto quello che sta succedendo l’unica speranza è che sia tutta una strategia per una serie di botti finali monumentali. O così, oppure boh. Veramente.

Quello che doveva essere il trasloco definitivo si è trasformato (e lo è tuttora) in una catastrofe di dimensioni abnormi. Meno male che doveva aprire una nuova pagina della mia vita, spero non sia così altrimenti c’è poco da stare allegri, anzi è meglio tornare al capitolo precedente e anche in fretta.

D’altra parte, la settimana era iniziata con la sconfitta beffarda di Napoli, il sito per vedere la replica della partita bloccato e una litigata serale per colpa di Elena (sì, dopo 4 anni e mezzo io litigo con una italo-canadese per colpa di Elena, pensate un po’ in che magie riesco) a condire un lunedì splendido, un preludio superbo a tutto quello che sarebbe poi seguito.

Traslocare con una giornata di pioggia continua (la seconda in 6 settimane) per tutto il giorno è di per se una grande rottura, farlo e avere l’amara sorpresa che dentro casa non c’è il letto e che bisogna provvedere a rimediarlo prima di sera non è stato un momento dei più memorabili.

La soluzione è stata un materasso pagato 279 dollari che a detta del padrone del negozio era una specie di regalo, forse le due ore di attesa che ho dovuto patire mi hanno permesso di ottenere questo trattamento speciale. Il peggio doveva ancora venire, ossia un km di strada in mezzo ad una delle vie più affollate della città con un materasso sotto braccio, uno sforzo dal quale ho recuperato solo ieri quando ho ripreso l’uso totale delle mie articolazioni.

E poi una prima serata a pulire tutto, al buio, a sistemare ogni cosa dopo tremila giri, a dormire senza cuscino ma su due asciugamani piegati, mangiando la bistecca con il cucchiaio (da Dollarama e da Metro avevano finito le forchette). Un sonno pessimo, una sveglia altrettanto fastidiosa, prima di tornare al lavoro, dopo un giorno di ferie, il primo dopo undici mesi di fatiche consecutive e speso oltretutto a  fronteggiare una situazione al limite del paradossale.

Senza internet, senza numero canadese, senza un tavolo e una sedia, senza un cazzo insomma, ho tirato avanti mercoledì, mentre giovedì, dopo aver comprato una lampada, questa ha generato un corto che mi ha fatto saltare l’utilizzo delle prese in mezzo appartamento, lasciandomi ancora la buio e senza frigorifero.

È evidente che tutto stia andando nel verso non corretto, una wrong way che sembra aver preso una piega definitiva. Fra 16 giorni lascerò sto cazzo di paese (lasciatemi un minimo di libertà nel dire anche cose un po’ così, gratuite) l’unico al mondo in cui tutto costa un miliardo e dove internet e il telefono hanno dei prezzi fuori dal mondo, l’unico posto al mondo presumo in cui chi riceve una chiamata paga come se la stesse facendo, dove un abbonamentino con 1 Giga e minuti non sta sotto i 35 dollari e dove devi pagare 15 dollari per un mese per una sim prepagata, ma se non li usi, quel credito al trentesimo giorno lo perdi. Un paese in cui ancora stranamente non ha nevicato, dove la gente va piano, un posto dal quale porterò via i coglioni il prossimo anno.

Volevo dire anche questo ma i ben informati già lo sapevano. Sì perché se il destino ha fatto un po’ come gli pare negli ultimi tempi e mi ha condotto a queste latitudini, è bene che ora si faccia anche ‘na saccociata di cazzi sua (come si suole dire educatamente dalle mie parti) e il sottoscritto riprenda il comando della situazione.

E visto che qua non mi ci terrà niente e nessuno, non il lavoro e nemmeno i soldi (avessi detto) o la carriera, (che avete detto? Onna? Gonna? Nonna? Ah, Donna! Una donna? Dai su, smettiamola di prenderci in giro) so che non sarà il paese in cui trascorrerò più di un certo periodo ancora.

Avrei molto da dire, forse troppo, spiegare gli ultimi giorni è veramente complicato, ma l’umore che mi accompagna è talmente tetro che l’atmosfera del Verano a confronto sembra un sambodromo.