La risposta è no

A volte mi chiedono perché non chiedo. Una sottolineatura che mi era scappata, un dettaglio che mi ero perso strada considerandolo forse ormai parte integrante di me. Così tanto presente che nemmeno ci facevo più caso. Bella domanda comunque, lo devo riconoscere. Bella perché mi ha fatto riflettere, mi ha portato a farmi delle domande alle quali ho saputo rispondere in tempi stretti. Perché non chiedi mai? Perché sono stanco di sentirmi dire di no. La risposta è questa, e il post potrebbe finire anche qui, ma ovviamente dietro alla mia replica si staglia un mondo, anzi, un universo vero e proprio.

Settimane fa, durante una riunione di redazione, mi è stato chiesto perché non chiedo, che non significa non proporre, attenzione, ma chiedere delle cose, a volte anche dei diritti che mi spettano e non solo in linea teorica. Non ho fatto scena muta, la faccio raramente, forse non mi è mai capitato, soprattutto se devo rispondere a una domanda diretta e precisa, più che altro ho evidenziato il mio punto di vista, argomentandolo anche in maniera plausibile e poi il discorso è finito lì. Giustamente, aggiungerei.

Io sono arrivato ai punti che nemmeno chiedo quello che mi spetta dicevo, anche le cose per cui non c’è domanda, o non c’è possibilità di una doppia risposta. Nemmeno chiedo più se la risposta è sì. Niente. Non è mutismo, non è indifferenza, non è fregarsene e non chiedere proprio. A volte può sembrare una rinuncia a priori, la verità è un’altra. Mi prendo quello che devo senza chiedere, tutto quello che dipende da me. Il resto invece, non lo domando nemmeno.

Sono figlio della generazione di disperati, quelli che hanno avuto tutto tranne un futuro. Quelli a cui la risposta che ha ronzato per le orecchie più volte è stata “No, non si può fare”. Tutto un no, sempre un no. Al punto tale che nei colloqui a volte avevi quasi paura, o ti sentivi in difetto di chiedere se al lavoro prodotto corrispondeva anche un pagamento, un rimborso, un qualcosa, mica un salario.

Siamo figli di questa generazione, quelli che hanno vissuti la giovinezza adulta peggio dei loro padri pur avendo avuto tutto per i due decenni precedenti. Strano il discorso, bizzarro, quasi al limite dell’assurdo, ma è questa è la realtà.

Non mi va di chiedere, ho smesso di farlo per non subire la risposta. E per quanto non si sai mai, a noi è stato insegnato, sulla nostra pelle, che invece si sa. E la risposta è una. Tra la condanna e l’impossibilità di una via d’uscita.

No. Punto. E allora mi sono rotto i coglioni al punto tale che nemmeno domando più. E mi sto limitando a un discorso prettamente lavorativo, quello che bene o male coinvolge e ha riguardato un po’ tutti noi, tutti i miei coetanei.

Se poi vogliamo lasciare la dimensione professionale e scendere in quella personale, il concetto si triplica. Diventa gigante, come Super Mario dopo che prendeva il fungo. Tralasciamo il discorso, lì i no suonano dal 1993 più o meno come una mazza di ferro che sbatte su una transenna, riconosci il suono senza prestare troppo attenzione. Non chiedo più nulla, nemmeno lì.

Sto suono, queste due lettere mi hanno piuttosto stancato, e per quanto si debba saperle accettare, talvolta sarebbe anche curioso e simpatico vedere l’effetto che fa la risposta opposta.

Ma mica per altro, solo per il gusto di vedere. Solo per quello.